6 aprile 2010
Guardo fuori dalla finestra. É ancora presto ma il cielo sembra sgombero da nubi. Scendo per il desajuno. Nini non c’è.
Risalgo e comincio a prepararmi. Ogni mattina il rito della vestizione. Calze, paramalleoli, sottobraghe di protezione, ginocchiere, corazza con tartaruga, tuta e stivali. La parte più difficile è sempre quella di stipare apparecchiature varie e vestiario nelle borse e nello zaino. A volte, se arriviamo tardi o siamo particolarmente stanchi, non scarichiamo nulla e così, nello zaino, dobbiamo sempre avere il minimo necessario per cambiarci.
Trovo Nini nella hall. Paghiamo e scendiamo in garage. Nessuno dei due parla. Le moto sono li. Lo sguardo corre sul pavimento sotto alla KTM. Tutto asciutto. Primo sospiro di sollievo. Nini accende la moto che parte subito. Mi guarda con un sorriso. Secondo sospiro di sollievo. Sembra tutto a posto. Sembra quasi impossibile di aver risolto il problema a cavallo di Pasqua e con dei mezzi così artigianali. Eppure è così, finalmente possiamo partire. Grazie Jimmy (il meccanico).
Attraversiamo il “Desierto de Sechura” con dune di sabbia e qualche raro cespo d’erba. Sono 250 chilometri di caldo e luce abbacinante. La moto di Nini va molto bene e supera il collaudo. Appena dopo il deserto, traversato un ponte, la vegetazione esplode. Alte palme da cocco e basse coltivazioni di banani arrivano fin sulla strada. Enormi estensioni di terra sono coltivate a risaia. Banchetti lungo la strada offrono latte di cocco ghiacciato. La strada prosegue asfaltata ma le buche si moltiplicano sulla carreggiata. Dobbiamo avanzare a zig zag. Spero non sia un’anticipazione di quanto troveremo più a nord, in Equador e Colombia. I pareri raccolti finora sono contrastanti. Anche il cielo si sta coprendo e temo che ci dovremo presto abituare a piogge quotidiane. Confido comunque sulla buona sorte.
É quasi notte, quando arriviamo a Tumbes, abbiamo percorso da stamattina 550 km e dall’inizio del nostro viaggio più di 14.000.
Entriamo in città e ci mescoliamo con il traffico. La presenza dei tuk-tuk è così numerosa da farci credere di essere precipitati in una strada di Hong Kong.
Nessun semaforo è sincronizzato e rimaniamo fermi a lungo. Un’auto si affianca e il conducente ci avverte, con aria preoccupata, di non procedere in quella direzione perchè la zona sarebbe, per noi, rischiosa. Gli spiego che stiamo cercando un hotel e ci invita a seguirlo. Quasi stritolati dal traffico assordante ed indisciplinato, riusciamo a stento a seguire l’auto che finalmente ci conduce fuori dal caos e a destinazione. Domani dovremmo attraversare la frontiera e dirigere su Quito.
Download itinerario del 6 aprile 2010 >> (per visualizzare il tour è necessario Google Earth)