3 maggio 2010
Ho cominciato anch’io a misurare le distanze in termini di tempo, anzichè di chilometri. Il risultato è più attendibile. Il ragionamento tiene conto del percorso, se pianura o montagna, del fondo stradale, del traffico, del mezzo e delle condizioni del tempo. Così facendo riesco a programmare l’arrivo con buona approssimazione. Tanto, gira e rigira, la media non supera mai i 50 km/h.
Il percorso di questa mattina mi ha portato ad oltre 2.000 metri di quota, tra splendide pinete (miste a banani) che mi hanno regalato profumo di resina ma purtroppo anche l’acre odore del fumo degli incendi che riempiva i fondovalle. I “topes” mi hanno tormentato in continuazione, costringendomi a continue frenate. Quando ti avvicini ad un villaggio cominci a cercarli con lo sguardo. Li vedi da lontano (non sempre) e li studi mentre ti avvicini. Cerchi il punto più basso da dove attaccarli. Se non riesci a rallentare a tempo non ti resta che alzarti sulla sella e stringere le mani sulle manopole. In genere sono in gruppi di quattro ma spesso ce n’è qualcuno di anomalo e ti inganna. Anche la loro forma varia e quando ne infili una serie e pensi di aver capito, ti capita quello strano, alto 30 centimetri, che ti fa decollare. Ogni volta che ti rilassi o ti distrai te ne piazzano uno sotto alle ruote. Ma da dove li tirano fuori? Ci sono quelli federali, dipinti a righe gialle e segnalati con anticipo, quelli statali, dipinti si, dipinti no, con il segnale posto in corrispondenza del “tope” stesso (troppo tardi!), quelli municipali di forma e consistenza variabile, poco segnalati ed infine quelli autocostruiti dai residenti con ubicazione, forma e dimensioni assolutamente imprevedibili. Ce ne sono di cemento, di asfalto, di terra e di corda (una grossa gomena stesa trasversalmente alla strada). Ah, dimenticavo, ci sono anche quelli dell’esercito, fatti con striscie di copertoni e quelli della polizia, multipli e ravvicinati. Ce n’è, insomma, per tutti i gusti.
Avevo letto, in uno dei tanti diari scritti da visitatori di questa terra…… – “…..superi lentamente una macchina malconcia che in tempi più gloriosi probabilmente circolava in America e senti l’odore pesante del sudore del campesino che la guida (baffi e pancia di tutto rispetto, canottiera, con una birra in mano e il resto di un “six” sul sedile, la Virgen de Guadalupe tatuata sulla spalla, il rosario appeso allo specchietto, il cruscotto ricoperto di moquette color marrone-e-polvere……….” -.
No, nulla di tutto questo. A parte il popolo dei pick-up, che ho ampiamente descritto, io vedo solo macchinoni fuoristrada belli, lucenti e possenti. Al loro interno non ci si vede, perchè hanno tutti i vetri oscurati, ma non me lo immagino proprio il campesino in canottiera con baffi e pancia. Storie di altri tempi.
Sono rientrato nell’entroterra, precisamente ad Oaxaca (si pronuncia Auacha, chissà perchè?) per recarmi sul Monte Alban, noto per le sue rovine.
Quando sono arrivato in periferia della città ed ho letto il cartello indicatore, stavo scoppiando dal caldo ed il termometro della Honda era costantemente al massimo. Stavo per tirare dritto e dirigermi su Puebla che avrei comodamente raggiunto prima di notte. Poi ci ho ripensato ed ho preso la decisione giusta. Il Monte Alban meritava assolutamente una visita. Le rovine coprono un’estensione molto vasta di terreno e sono ben conservate. Si trovano ad un’altitudine di circa 1940 metri sul livello del mare.
Il sito comprende centinaia di terrazze artificiali e una dozzina di raggruppamenti di costruzioni piramidali che ricoprono la sommità e i fianchi della piccola catena montuosa.Anche le rovine delle vicine colline di Atzompa e di El Gallo a nord sono considerate parte integrante dell’antica città.
La città viene ritenuta una delle prime della Mesoamerica e la sua importanza consegue dal suo importante ruolo come centro socio-politico ed economico della civiltà zapoteca, ruolo che ricoprí per quasi un millennio. Nel periodo compreso tra il 100 a.C. ed il 200 d.C, Monte Albán divenne la capitale di uno stato espansionistico che dominò una parte importante dell’attuale territorio dello stato di Oaxaca.
Terminata la mia rapida visita, ho inforcato la sella per dirigermi su Puebla ma il buio mi ha colto prima che arrivassi e così ho ripiegato su Tehuachan.
Download itinerario del 3 maggio 2010 >> (per visualizzare il tour è necessario Google Earth)
…..sempre bellissime le foto….quelle delle rovine sono le mie preferite….grazie x farci vedere quello che vedono i tuoi occhi…
P.S.: appena visto Nini…wow se gli ha fatto bene ’sto viaggio…sembra un’altra persona….nel corpo e nello spirito ))))
Ciao Ugo, inutile chiederti qualcosa, tutto chiaro qui sul sito. Spero di vederti prima di partire x scambiare 2 parole. Sempre avanti, senza mai voltarsi indietro. Niente rimpianti. Come diceva Machado: “Caminante no hay camino, se hace camino al andar. Al andar se hace camino y al volver la vista atràs se ve la senda que nunca se ha de volver a pisar. Caminante no hay camino sino estelas en la mar”. 1 abbraccio. Max
Bello, davvero entusiasmante sai. Non so se sarei all’altezza di un’avventura come la tua ma mi piacerebbe provarci. Ti seguo tutti i giorni.
Un fortissimo abbraccio