29 aprile 2010
Dalla cittadina di Palenque, per raggiungere “Las Ruinas”, come le definiscono qui, bisogna percorrere una decina di kilometri.
Alle 8 sono già all’ingresso. Ci sono pochi turisti a quest’ora e il caldo è ancora sopportabile. Mi dicono che servono un paio d’ore per girare il sito. Sono ancora in sella, a motore acceso, che già una folla di “postulanti” mi circonda. C’è chi si offre di lavare e custodire la moto, ed esibisce tanto di cartellino con fotografia, chi mi vuol vendere paccottiglia, chi offre cambio di denaro e chi si offre come guida. Sono un po’ asfissianti, non c’è dubbio. “Prendo” la custodia della moto e per non avere sorprese, piuttosto frequenti ultimamente, pattuisco già il prezzo. 50 Pesos (4/5 dollari) compreso il lavaggio. Rifiuto le guide che sono molto care. Mi sono già documentato in rete su cosa vedere. In questi luoghi, specie quando ti trovi da solo, sembra sempre di star per entrare nell’arena. Sui due lati del percorso di avvicinamento alla biglietteria si sono appostati i venditori di souvenir, bibite, frutta, le guide, i ragazzetti con oggettini vari e tutti ti chiamano, ti mostrano la mercanzia, insistono e ti vengono attorno pressanti. Non potrei comunque comperare nulla, visto che sto sempre cercando di “eliminare” peso e volume dal carico. Resisto alle ultime guide che cercano di lusingarmi parlandomi in italiano ed abbassando il prezzo via via che diminuiscono le probabilità di concludere.
Finalmente passo oltre la barriera. Mi incammino lungo il sentiero che si inoltra nella jungla. La vegetazione infittisce ed i rumori della natura aumentano. Urla laceranti come sirene e grugniti possenti riempiono l’aria. Sono uccelli e scimmie che popolano la foresta. Piante dai fusti smisurati da cui pendono liane ed arbusti fioriti fiancheggiano il sentiero.
Attraverso un gruppo di piante dalle enormi foglie che sbarrano la strada ed il sentiero sbocca su un prato verde e ben curato, ai cui lati sorgono costruzioni possenti. Sono i palazzi e le piramidi dei Maya. Quanto ho letto su di loro e con che curiosità. Ora sono qui e davanti a me i resti di questa civiltà sulla cui storia controversa si è parlato meno che non della loro distruzione, ad opera dei famelici conquistadores. Mi sono sempre stupito della barbarie e della stupidità che hanno ispirato l’azione di questi eserciti di straccioni che hanno avidamente stuprato ed annientato interi popoli in nome del dio oro e sotto l’egida della cristianità.
Un po’ di storia?
Le strutture più vecchie risalgono al 600 d.C., ma il sito si pensa sia stato popolato fin dal periodo Pre-classico dei Maya. Al tempo dell’arrivo degli spagnoli, Palenque era tuttavia già abbandonata ed in rovina da molto tempo.
Fu la capitale dell’importante Stato di B’aakal, dell’età Classica Maya, il cui regnante più famoso fu K’inich Janaab’ Pakal.
Le costruzioni presenti nel sito:
La Piramide delle Iscrizioni è una costruzione di grandi dimensioni ed è attualmente in fase di restauro.
Il cosidetto Palacio è un complesso di edifici interconnessi, con portici e cortili, e con delle rappresentazioni di regnanti maya dei quali impressiona l’inconfondibile profilo del cranio, probabilmente ottenuto con la deformazione artificiale dello stesso in età postnatale.
Il Tempio del Teschio (Templo de la Calavera), il primo che si incontra, dove si può ammirare, tra l’altro, la scultura di un teschio.
Il Gruppo de Las Cruces, con vari templi dedicati al Sole. Tutti presentano una struttura piramidale che supporta in apice il tempio vero e proprio con all’interno alcuni bassorilievi. Quasi tutti ricavati su malte e quindi in condizioni di sfaldamento e degrado avanzato. Poche le sculture in pietra.
Di tutto il complesso, ciò che più affascina è il contesto. Sono i percorsi nella jungla, tracciati tra gli alberi che incombono sulla testa, mente attorno a te si sente pulsare la natura.
Per sera devo essere a Tuxtla, capitale dello stato del Chiapas. Sono 300 km da percorrere a medie bassissime. Devo partire al più presto.
Rientro in albergo, mi “doccio” e carico la moto. Controllo catena, olio e bulloni vari. Parto e vado subito a fare il pieno. Vedo che l’addetto al distributore osserva la moto con una strana espressione. Mi incuriosisco ed abbasso lo sguardo. La fiancata destra mi appare tutta sporca d’olio. Un lampo! Il tappo dell’olio, mi sono scordato di chiudere il tappo dell’olio. Lo avevo inserito in un anfratto tra marmitta e carter ed ora non c’è più. L’ho perso per strada. Fortunatamente ho percorso un tratto breve. Se avessi fatto il pieno ieri sera, come avevo pensato di fare, ora sarei in viaggio senza rendermi conto che sto perdendo olio. Tento di tappare con mezzi di fortuna ma non trovo nulla di adatto. Ritorno all’hotel seguendo le tracce percorse ma non trovo nulla. Mi fermo in un negozio di ricambi auto e recupero un tappo filettato che in qualche modo riesco ad avvitare ma senza riuscire a rendere ermetica la tenuta. Riparto, un po’ sconsolato, pensando di cercare un meccanico e risolvere in maniera più efficace. Arrivo al semaforo ed eccolo lì, il mio tappone con asticella. É lì a terra e mi sorride. Ed io a lui. Che sospiro di sollievo. Per una stupida dimenticanza ho rischiato di fondere.
Finalmente inizio la via del ritorno. Mi attende un’infinità di topas. Dopo 60 km incrocio la deviazione per Agua Azul, ne avevo sentito parlare. Non resisto e svolto a destra. Fortunatamente la deviazione è breve e ne vale la pena. Trovo due biglietterie, una municipale ed una federale. Pago naturalmente, ed entro nel parco. La vista dell’acqua chiara e delle cascate mi rinfresca lo spirito. Quanto vorrei tuffarmici così, vestito come sono. Invece resisto e dopo una mezz’oretta riprendo la strada verso Tuxtla Gutierrez.
Sto attraversando le terre zapatiste, teatro delle ribellioni storiche, oltre che di quelle recenti. Ci sono ancora i segni della guerriglia e mi fermo per fotografare i cartelloni che ancora campeggiano in qualche tratto di strada.
Inizia a piovere, tanto per cambiare, ma non mi fermo. Sto per raggiungere il traguardo dei 20000 km percorsi in questo viaggio. Tengo d’occhio il contachilometri e quando i numero arrivano a girare lo 0000 mi fermo, brindo con Lei, la mia Africa, e mi faccio pure una foto con l’autoscatto. Che soddisfazione, eh?
Arrivo a Tuxtla, telefono a Carlos che mi risponde dall’aeroporto di Città del Messico. Riesce a darmi nome ed indirizzo dell’hotel di un suo amico. Fermo un taxi e mi ci faccio portare. Naturalmente è pieno. In città è in corso una convention governativa e gli hotels sono tutti esauriti. Bella sfiga. Alle solite, sta per farsi buio. Il direttore dell’hotel mi da una mano e dopo qualche ricerca riesco a trovare posto.
Gli impiegati dell’hotel sono anche questa volta sgarbati e poco disponibili. A parte la povera gente che qui come altrove è sempre buona e gentile, il ceto medio continua a perdere punti. Spero di sbagliarmi però è troppa la differenza con quanto ho avuto modo di vedere e sentire negli ultimi 60 giorni. Qui, a mio avviso, conta solo il dio denaro ed io sono uno yankee……….
Download itinerario del 29 aprile 2010 >> (per visualizzare il tour è necessario Google Earth)
Sembra proprio un viaggio dentro la parte più incontaminata dell’anima… in compagnia del passato più profondo del mondo e del delicato alito della natura, anche di quella più selvaggia ed ostica.
A volte mi vien da pensare che questo tuo viaggio non potrà terminare al tuo rientro e che ti porterà con sé ancora, facendoti proseguire per quelle strade che hai percorso mettendoci il cuore, l’anima e tutta la forza che hai…
Continua a raccontarci, Ugo, di questo tuo viaggio…con le parole, le immagini, i colori…con le gioie, le meraviglie e le difficoltà… mi aiuti a credere che sia vero che, come scrive R. Bach, “mai ti si concede un desiderio senza che inoltre ti sia concesso il potere di farlo avverare”..
Un abbraccio.
Cristina N.