25 marzo 2010
Ancora una volta sono le carte che ci fermano. Alle 10 di questa mattina eravamo pronti a partire. Chiedo in albergo indicazioni per reperire una compagnia di assicurazioni, convinto di poter espletare le pratiche per la polizza di copertura RCT per il Perù in pochi minuti.
La compagnia che ho individuato è la stessa con la quale ho stipulato la polizza in Argentina e si trova a poca distanza. Un inserviente dell’hotel mi accompagna ma, sorpresa (?), la burocrazia ha i suoi tempi. Ritorni alle 4 della “tarde”, mi dicono! A nulla valgono le preghiere e le insistenze.
Nini è già pronto dalle 7 di questa mattina, io ho scritto ed operato sul PC fino alle 9 ma poi mi son vestito di tutto punto, con protezioni e stivali. Comincia a fare caldo.
La mia “passeggiata”, in cerca della Compagnia di Assicurazioni, mi ha fatto percorrere le strade del centro cittadino, intasate da mercati e gente che brulica in un misto caotico di modernità e tradizione.
Ricchezza e povertà. Cravatte e costumi contadini. Negozi di alta moda e bancharelle che vendono 4 pannocchiette spelacchiate e moltissimi lustrascarpe. Sovrana, su tutto ciò, la capillare diffusione di centri internet. Ad ogni piè sospinto c’è una porta o una vetrina che espone PC e consente il collegamento alla rete. Anche il cellulare la fa da padrone. A parte i numerosissimi negozi che li vendono, la cosa più anacronistica mi è sembrata la vista di donne in costume tradizionale, bombetta, trecce e gerla di lana sulla schiena e cellulare all’orecchio.
La Paz di giorno è ancora più impressionante che di notte. Quando alla fine, ormai alle 17, riusciamo ad accendere le moto e scendiamo in strada, ci sembra di scendere nell’arena. Un traffico scatenato ci avviluppa tra le sue spire e ci trascina nella corrente senza possibilità di scegliere la direzione. La situazione mi fa tornare alla mente l’antico gioco dello shangai. Noi siamo due tra quei mille bastoncini.
Non so come ma il flusso ci trascina nella giusta direzione e finalmente imbocchiamo l’avenida principal nella direzione corretta.
Cominciamo a risalire il fianco della caldera in senso inverso a ieri sera. Man mano che si guadagna quota, lo sguardo spazia sullo strano presepio che riveste ogni spazio disponibile. Chissà come faranno a raggiungere le loro case, abbarbicate una sopra l’altra, dal fondo valle fino alla cresta dei monti.
Appena fuori dal “cratere” o “valle” che ospita La Paz, ci si trova a El Alto, città satellite, se possibile più caotica e trafficata della stessa capitale. É la patria delle furgonette Nissan ed altre giapponesi. Sono come formiche e formano un fiume ininterrotto. Sono il trasporto pubblico per eccellenza.
Dopo più di un’ora riusciamo a scrollarci di dosso il traffico che ci ha intossicato con i fumi di scarico, assordato con il suono dei clacson, affaticato per la tensione.
Ci lanciamo verso il lago Titicaca. Le moto stentano a prendere velocità. Poverette, se pensiamo a quanto sono cariche, ai 12000 chilometri percorsi, dei quli circa 2500 su piste e sterratoni, alla quota in cui ci troviamo, alla benzina da 75 ottani ed alla polvere che ancora intasa i loro filtri, si capisce quanto siano brave.
Ormai è sera. L’aria è limpida e frizzante. Sulla nostra destra si staglia contro il cielo blu la Cordillera Oriental, carica di neve. Ecco perchè fa così freddo. I picchi raggiungono i 6500 metri di altezza e sono a 10 o 20 chilometri dalla città.
Davanti a noi un cumulonembo si sta scaricando. Anche questa volta ci va bene ed il vento ci trasporta solamente qualche scroscio d’acqua ed una sottile grandinata.
In vista del lago Titicaca, il più alto lago del mondo, le cui dimensioni sono quelle di un mare, ci fermiamo sulle alture per cogliere il panorama impreziosito dalle ultime luci del giorno che ne fanno risaltare la bellezza. Ci attende un traghetto per attraversare uno stretto braccio d’acqua. É una barcaccia sgangherata con un impiancito in assi dissestate e mobili, sulle quali saliamo con molta titubanza.
Una volta a bordo la moto rimane in un equilibrio instabile e la dobbiamo mantenere puntellata per evitare che si ribalti con il movimento della barca. Nini, che è rimasto a cavallo della KTM, a poppavia del battello, mi informa che la struttura del “barco” si contorce visibilmente all’impatto con le ondine provocate da altri natanti che incrociamo.
Lo scarico delle moto avviene con difficoltà, con l’aiuto dei traghettatori, ma senza conseguenze. Tutto bene pertanto, un’altra esperienza da raccontare agli amici.
Arriviamo a destinazione col buio ed intirizziti, com’è ormai diventata abitudine. Siamo sul mitico Titicaca, culla di antiche civiltà e ricco si storia.
Per cena ricorriamo ad un piatto di tradizionali spaghetti, scotti al dente. Si sa che la quota rende impossibile la cottura della pasta in quanto l’acqua bolle a temperatura più bassa. Io li assaporo comunque. Nini proprio non ce la fa e tenta con del riso in bianco che lascia nel piatto dopo due forchettate. Forse non sta bene?
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Annotazioni di viaggio
Alla periferia di La Paz (il cui nome corretto non è, a mio avviso, La Pace ma La Pazza) e qui, sul Titicaca, ho visto i primi ed unici, spelacchiati esemplari arborei (eucalipti di montagna) made in Bolivia.
Notizie accessorie
Errata Corrige. Nel testo ho impropriamente definito La Paz quale capitale della Bolivia. In realtà ne è solo la sede governativa, mentre la capitale indicata nella Costituzione boliviana è Sucre.
Nel 2001 aveva una popolazione di 800.000 abitanti. Non ci sono dati piu’ recenti. Si trova ad un’altitudine media di circa 3.600 metri sul livello del mare. Assieme alla città satellite di El Alto, posta sulle alture prospicenti, a circa 4.000 metri sul livello del mare, che conta circa 700.000 abitanti, La Paz costituisce il nucleo abitativo più popolato della Bolivia.
Download itinerario del giorno >> (per visualizzare il tour è necessario Google Earth)