25 maggio 2010
Stanotte pioveva, stamattina pioveva, oggi piove. Ho ritardato la partenza nella speranza che smettesse, poi sono andato a comperarmi un paio di stivali di gomma, mi sono infilato la tuta da pioggia e sono partito. Non fa particolarmente freddo, probabilmente mi ci sto abituando. Ho indossato la mutina felpata a contatto con la pelle e infilato un paio di calzettoni di lana merinos. Rimane ancora il problema dei guanti che dopo un po’ si inzuppano. Dovrò costruirmi dei paramani in tessuto impermeabile.
La strada si snoda a bordo oceano e tra le foreste della costa. La velocità ridotta comincia però a diventare un problema. Non si avanza. I limiti sono assolutamente ridicoli e nei paesi che lungo la costa sono numerosi, si scende anche a 20 miglia/ora. Le strade sono belle ed invogliano a correre ma nessuno lo fa ed io mi adeguo, ovviamente. Con questo andare mi addormento ma soprattutto non avanzo. Ci sono mille deviazioni che segnalano punti di interesse o strade panoramiche ed ogni tanto ne seguo qualcuna per alcune miglia. Purtroppo la luce è poca e non riesco a scattare foto decenti. Con la tuta addosso ogni movimento diventa difficile e così, alla fine, rinuncio anche dove invece ne varrebbe la pena.
I campeggi sono uno dietro l’altro e sono tutti affollati di camper enormi. Credo che una buona parte appartengano a turisti e viaggiatori ma tanti sono in sostituzione delle abitazioni fisse. I paesi che attraverso danno l’idea di insediamenti precari, in attesa di sistemazione, ma sono invece semplicemente e definitivamente così, con casette in legno che sfilano lungo la strada, negozietti e ristorantini con insegne luminose e vetrate all’inglese, le grandi costruzioni larghe e basse dei supermercati.
La maggior parte del territorio appare ancora selvaggia e solo in prossimità dei centri abitati si scorgono pascoli ed animali d’allevamento. Non noto industrie e non c’è apparentemente traffico commerciale. Probabilmente lungo la costa la vocazione del territorio è prevalentemente turistica ed infatti i lodge, gli hotels ed i motel sono numerosissimi.
Mi sono fermato a Seaside per la notte. É ormai buio e non ho avuto modo di visitarlo ma sembra carino. Alle nove di sera è già tutto chiuso ma domattina farò un giretto lungo la main street.
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24 maggio 2010
L’Oregon mi sembra molto interessante. Lungo la via si alternano visioni di fitte foreste, laghi, torrenti tortuosi che sfociano in mare e spiagge deserte bagnate da un’acqua plumbea che tutto ispira fuorchè la voglia di tuffarcisi dentro. Tra la strada e l’oceano, per molte miglia si costeggiano delle alte dune di sabbia e quest’area, oltre che parco nazionale, è diventata un centro di attrazione per motociclisti e quaddisti che ne hanno libero accesso.
Ho percorso le strade interne che mi hanno condotto fin dentro le dune. Quanto avrei voluto buttarmici sopra con un moto più leggera e scarica!!
Nei numerosi parcheggi disseminati ai piedi delle colline di sabbia, gli spazi sono giganteschi, realizzati a misura dei camper con rimorchio che si vedono ovunque. Come tutto qui in America, anche i camper hanno dimensioni spropositate e molti si trascinano a rimorchio l’auto o la barca. I noleggiatori di quad sono numerosi e la tentazione è forte. Ormai è quasi sera e dal cielo cominciano a scendere dei goccioloni. Meglio continuare e trovare un rifugio per la notte. Sulle dune ci andrò un’altra volta.
Il traffico in Oregon è praticamente nullo. Il problema maggiore sono i limiti di velocità: finora max 90 km/ora. Nell’attraversamento dei rari paesi il limite scende al livello impossibile dei 35 km/h.
Poichè a Reno mi hanno montato un pignone più piccolo di un dente, perchè avevano solo quello, vado in crisi proprio attorno ai 90/100 km/ora perchè in quinta il motore va giù di giri ed in 4 sta troppo su. Appena trovo una salitina sento che la moto rallenta subito.
Con l’olio invece va molto meglio. In messico ne consumavo 200/300 grammi al giorno, ora in 5 giorni non ha più mangiato nulla. É tutta questione di qualità.
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Nota: Quando ieri ho letto sui cartelli segnaletici della presenza in zona degli Elks, avevo subito pensato agli Alci, rimanendone sorpreso in quanto la latitudine a cui mi trovavo non mi sembrava compatibile con il loro habitat ideale. I cartelli specifici del parco riportavano invece, inequivocabilmente, la fotografia dei cervi, appellandoli come Elk.
Ho compiuto qualche ricerca in rete ed ecco i risultati:
American Elk – Cervus elephus: http://www.nps.gov/archive/wica/Elk.htm
The name “elk” was given to the second largest member of the deer family by early explorers because they resembled the elk or moose of Europe. Because the American elk is not very closely related biologically to the European elk, the American Indian term “Wapiti” is sometimes used interchangeably to identify the animal.
This article is about the North American and East Asian animals, also known as wapiti. For the animal Alces alces, called the elk in Europe, see moose.
The elk, or wapiti (Cervus canadensis), is one of the largest species of deer in the world and one of the largest mammals in North America and eastern Asia. In the deer family (Cervidae), only the moose, Alces alces (called an “elk” in Europe), is larger, and Cervus unicolor (the sambar deer) can rival the C. canadensis elk in size.
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23 maggio 2010
Oggi, 23 maggio 2010, sono trascorsi esattamente tre mesi dalla partenza dall’Italia e 27.000 kilometri percorsi, con una media giornaliera, soste comprese, di circa 300. Ho celebrato con un pensiero rivolto a tutti e poi ho inforcato la moto ed ho ripreso la Freeway 101.
Lasciata la foresta degli alberi secolari, mi avvio verso la costa del Pacifico. Fa freddo e rimpiango di aver eliminato i guanti pesanti e le sottobraghe. Indosso il girocollo leggero e la pettorina. Sto procedendo a tappe lente, in modo da non arrivare in Canada prima di giugno ed affrontare poi il grande nord con una temperatura più mite. Quando sarò a Seattle dovrò acquistare calze pesanti, guanti imbottiti ed una calzamaglia. La moto va bene ma il vento a raffiche continua a darmi percezioni di rumori e vibrazioni mutevoli, cosa che mi crea qualche allarme ma senza motivo.
Entro ed esco da foreste monumentali, costeggio l’oceano, attraverso fiumi e torrenti carichi d’acqua. Ad un certo punto esco dalla freeway ed imbocco lo svincolo. Mi trovo subito davanti un’intera famiglia di cervi. Rimango sbigottito ad osservarli a distanza. Poi lentamente mi avvicino per poterli fotografare. Sono bestie stupende. Sono tutti esemplari giovani, tranne uno, il capobranco, che rifiuta di farsi vedere e nasconde il suo palco tra le foglie degli alberi. Il branco è sdraiato a terra e rimane ad osservarmi senza allarmarsi. Dopo aver scattato numerose foto, riprendo il cammino.
In serata attraverso il confine tra California ed Oregon e mi fermo subito dopo in una sorta di residence costituito da graziosi chalet in legno. La vista sulle scogliere del Pacifico è suggestiva. Il bungalow ha la cucina ed anche il barbeque. Decido così di ritornare al paese appena attraversato per fare acquisti di vettovaglie. Stasera mi cucinerò una buona porzione di linguine al pomodoro e basilico ed una grossa bistecca americana ai ferri.
L’aria è fresca e profumata. Quando torno allo chalet sorprendo due cerbiatti che stanno brucando l’erba del giardino. Mi avvicino fino a pochi metri. Non hanno paura ma preferiscono mantenere le distanze. Si allontanano lentamente e dopo un po’ si perdono tra i rami del vicino boschetto. Mi piacerebbe poterli rivedere domattina. Mi piacerebbe poterne vedere anche sulle nostre montagne, dove sono rimasti i cartelli segnaletici sulle strade di montagna, ma di loro non c’e’ nemmeno l’ombra.
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22 maggio 2010
Da San Francisco ho seguito la freeway 101 fino a Santa Rosa, dove mi sono fermato per la notte. Tutta la contea è conosciuta per la produzione del vino che, iniziata da oltre quarant’anni, ha cominciato a rivaleggiare per quantità e qualità con le più blasonate concorrenti europeee.
Correndo lungo l’autostrada si possono ammirare le file ordinate di vigne che ricoprono le colline. La temperatura è ancora bassa e le foglie stanno appena germogliando. Uno dei paesi si chiama Asti ed è circondato da basse alture che ricordano appunto le Langhe. Un cartello informa che qui vive una colonia di italiani ed una di svizzeri.
Proseguo verso nord e comincio a salire. Arriva anche la pioggia e la temperatura scende fino ai cinque gradi.
La strada è sempre bella e non passa mai tra i paesi che sembrano non esistere. I chilometri scorrono veloci in questa parte del globo, nulla a che vedere con quanto percorso nelle regioni del sud, dove non si arrivava mai. Dove però ci si godeva una guida vera, con curve continue e corse sfrenate. Qui è tutto un susseguirsi di cartelli che indicano, consigliano, vietano. Ho la sensazione di essere sotto sorveglianza continua, che se sbaglio anche una sola manovra mi salti fuori l’auto dello sceriffo della Contea.
La strada entra nella foresta e costeggia un fiume tortuoso dall’acqua verde scuro, di cui vedo scorci di tanto in tanto. Ad un certo punto un segnale indica la possibilità di percorrere una strada alternativa e parallela, il cui nome solletica la mia curiosità. Si chiama “Avenue of the Giants”, la strada dei giganti. Non esito ad uscire ed in breve mi ritrovo in un tempio verde, le cui colonne sono i fusti altissimi di monumentali alberi dalla corteccia rossastra solcata da profondi solchi e la cui volta è verde di foglie ed azzurra di cielo. Senza saperlo mi sono ritrovato nel “third largest California State Park” che ospita e protegge la “Rockfeller Forest”, la più estesa foresta di “redwood” del mondo. Sono loro i “Giganti”, le sequoie. La maestosità di queste piante, la penombra che crea il loro ombrello di rami e foglie, dona al luogo un’atmosfera di sacralità. Non si può che fermarsi e contemplare in silenzio.
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