3 marzo 2010
Ieri mattina faceva veramente freddo. Per le prime due ore mi sono ghiacciato e mi son dovuto fermare per prendere un giornale da inserire sotto la giacca a protezione del vento.
Il cielo era coperto e minacciava pioggia. Nini si è messo la tuta antipioggia ma io mi sono limitato a coprire le borse con del nylon. So che se indosso la tuta impermeabile mi bagno di sudore più dentro che fuori e così solitamente attendo le prime gocce prima di metterla. Invece è andata bene e dopo poca strada il cielo si è aperto e sono rimasti solamente dei batuffoli bianchi la cui ombra però, proiettata sulla strada, correva più o meno alla nostra velocità (120 km/h).
Il sole cambia sempre le cose e a me cambia l’umore. La luce ma soprattutto il calore mi ridà vita e mi sento bene.
Il viaggio proseguiva spedito fino a che la mia moto non ha cominciato a lanciare brutti segnali, strattonando ed infine spegnendosi a varie riprese. Speravo fosse un’episodio come quello già occorsomi alla partenza e che poi si era risolto da solo consentendomi di percorrere senza intoppi i successivi 2000 km. Invece il problema non dava cenno di volersi risolvere e così, approfittando della vicinanza di una pueblo, abbiamo fatto una deviazione per consultare un meccanico locale.
A parer suo, di primo acchito,sembrava trattarsi di presenza di acqua nel carburatore. Fatto uno spurgo, abbiamo ripreso il cammino, dovendo percorrere, prima di sera, altri 400 km. Dopo un quarto d’ora il problema si è ripresentato e a questo punto ho deciso di ritornare all’officina per evitare di trovarmi fermo a metà strada senza alcuna possibilità di ottenere assistenza o ricovero. Il meccanico però non sarebbe stato disponibile prima delle 19, in quanto impegnato in altra riparazione fuori sede. Nini non ha preso posizione e mi ha lasciato decidere se aspettare o tentare di ripartire. Ho deciso di rimanere ed abbiamo pertanto atteso per 4 ore il suo rientro. Ho approfittato del tempo disponibile per smontare tutto e predisporre la moto per la riparazione. Sembrava potesse dipendere da un problema di presenza d’acqua nel carburatore. Ho pertanto tolto tutti i bagagli per poter smontare sella e quindi serbatoio. Poi ho atteso. Al suo arrivo, in 2 orette ha fatto delle prove ed infine smontato e sostituito la pompa di alimentazione della benzina con l’altra che avevo portato di scorta. Spero che ora la moto funzioni. Tra poco ripartiremo ed avremo modo di verificare.
Questi episodi, ancorchè fastidiosi, sono quelli però che ti fanno entrare in contatto con la gente che altrimenti scorrerebbe via lungo la strada senza lasciare nessun segno.
Con l’officina vuota ed in assenza del marito, la moglie mi ha fatto entrare per lavorare sulla moto mettendomi a disposizione tutti gli attrezzi, senza mai venire a controllare cosa io stessi facendo. Ho smontato le parti che andavano tolte e poi è arrivato il marito. Ha lavorato 2 ore e spero che mi abbia risolto il problema, chiedendomi l’equivalente di 10 euro. Poi uno dei personaggi che giravano nell’officina ci ha portati a mangiare in un suo ristorante, accompagnandoci in moto. Bravi no?
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Il territorio è cambiato. Nei giorni precedenti osservavamo vaste aree cespugliose, poi i cespugli son diventati ciuffi d’erba. Infine tutto è diventato deserto di sabbia e pietre.
Si son cominciate a vedere delle rugosità del terreno che in precedenza era di un piatto assoluto. Sulla carreggiata, a cadenza di qualche centinaio di metri si notano tracce di sangue di animali che hanno impattato con auto o camion, probabilmente durante la notte. A lato della strada ci sono innumerevoli carcasse di guanachi, lepri, uccelli e perfino di un cavallo. Benchè lungo tutta la strada, sui due lati, corrano recinzioni continue, gli animali pascolano appena fuori dall’asfalto a centinaia. Gruppi di guanachi brucano l’erba fin sul bordo della carreggiata e si spostano appena al nostro passaggio. Lungo il tragitto, di tanto in tanto, scorgiamo delle grandi pozze d’acqua dove si ritrovano per bere pecore, uccelli e perfino dei fenicotteri rosa. Vediamo e ci fermiamo a fotografare un branco di nandù, sorta di struzzi di taglia ridotta. Si spostano velocemente ma non scappano e riesco ad avvicinarmi abbastanza da poterli fotografare.
La moto va abbastanza bene ma ho sempre la sensazione che possa accadere qualcosa. Ogni tanto percepisco uno strappetto, segnale che la benzina non giunge al carburatore con costante pressione. Non me la sento di continuare il viaggio addentrandomi verdo l’interno della zona meno popolata senza avere almeno un’altra pompa di ricambio. Temo inoltre che questa difficoltà di alimentazione finirebbe, presto o tardi, col danneggiare anche il motore.
Arriviamo comunque bene e velocemente fino a Rio Gallegos e qui, al distributore di benzina, reincontriamo due motociclisti brasiliani che avevamo conosciuto ieri. Loro avevano proseguito in viaggio quando noi avevamo invece deciso di rimanere al paese di San Julian per la riparazione. Oggi li abbiamo incontrati dallo stesso nostro meccanico. Loro per un problema di camera d’aria, anzi, di 2 camere d’aria rotte entrambe, benchè nuove. Io ho deciso di cambiare la pompa della benzina, sostituendo quella a depressione attualmente montata con una pompa elettrica originale che fortunatamente si è trovata in loco. L’operazione ha richiesto, come ieri sera, lo smontaggio di tutto il bagaglio, delle borse, sella, fianchetti e serbatoio. Il meccanico se la sta prendendo comoda e temo che farà notte, prima che mi consegni la moto. Per adesso scrivo e aspetto, seduto su un quad, all’ombra. Credo che rivedremo i brasiliani stasera, se decideremo di rimanere qui e ripaartire domattina. Lascerò a Nini la decisione in quanto lo sento smanioso di ripartire e non desidero creargli problemi.
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2 marzo 2010
Man mano che scendiamo verso sud la temperatura scende e specie la mattina e verso sera comincia a far freddino.
Abbiamo l’impressione però che anche il calore che avevamo colto con sorpresa e piacere nella gente del nord, stia sparendo con la stessa velocità delle nostre motociclette. Salvo qualche raro episodio, siamo accolti con indifferenza e nessuno ci gira più attorno per chiedere di noi o raccontare di se stessi.
A Buenos Aires, a parte il caos del traffico, chiunque, interpellato o no, si prodigava per darci assistenza, indicarci la strada e perfino accompagnarci per chilometri fino a trovare quella giusta.
Qui le cose sono diverse. A mala pena ti rispondono ed i modi sono piuttosto freddini se non addirittura maleducati.
Ieri abbiamo fatto alcuni incontri simpatici. Un ragazzo di La Plata (dintorni di Buenos Aires) che stava scendendo ad Ushuaia in bicicletta. Ammirevole e simpatico. Al solo pensiero di questo giovanotto che pedala da giorni controvento nella steppa più desolata, carico e senza la sicurezza di arrivare ogni sera in un paesino dove dormire o mangiare, mi ha fatto sentire piccolo ed ho provato quasi un senso di vergogna per l’opulenza dei mezzi con cui ci stiamo muovendo noi e per tutto il carico di comfort che ci portiamo dietro. Bravo, bravo davvero!!
Ad un distributore abbiamo poi incontrato una coppia di tedeschi che stavano risalendo da sud con una Holda Africa Twin 750. Provenivano da Ushuaia, dove erano arrivati partendo da Saltiago del Cile. Lì erano giunti dall’Australia, dove erano arrivati partendo dall’India. Il raid era iniziato in Germania ed avevano percorso i balcani, Grecia, Turchia, Siria Giordania e da Dubai, in volo, fino all’India. Gran bel viaggio. Un po’ strettini su di una moto sola in due e con tutto il necessario per sopravvivere e viaggiare dall’agosto scorso. Bravi, anzi bravissimi anche loro.
Il vento rinforza sempre più. Stamattina abbiamo cercato di cambiare gli euro o i dollari ed abbiamo tentato in 4 posti differenti. Chi per una ragione, chi per un’altra, non siamo riusciti a cambiare fino alle 11. Mattinata persa e in più una sudata pazzesca alll’interno della banca. Una volta partiti, il sudore ha cominciato a raggelarsi. Minacciava di piovere e Nini ha indossato la tuta da pioggia. Io ho posizionato dei sacchi di nylon sulle borse. Naturalmente è uscito il sole…
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1 marzo 2010
La penisola di Valdes è una piattaforma di terra che si allunga sull’oceano Atlantico per un centinaio di chilometri.
Da qualche anno, grazie alla ricca e particolare avifauna che la popola, è stata inclusa tra le aree protette dall’UNESCO e definita “Patrimonio dell’Umanità”. Lo stesso Charles Darwin, nel suo peregrinare alla ricerca di nuove specie da catalogare, ne era rimasto colpito.
Nell’interno, la sua enorme superficie è attualmente suddivisa in 80 proprietà terriere. Vi crescono esclusivamente sterpaglie e piccoli arbusti adatti solo all’allevamento di ovini che si contendono i germogli con i numerosi e graziosi guanachi selvatici, presenti ovunque.
Ogni Estancia (fattoria) possiede e gestisce decine di migliaia di pecore che forniscono una lana così pregiata da avere giustificato, in passato, la creazione di un porto per favorirne l’invio verso i mercati lontani.
Oltre alle volpi grigie, alle lepri di Patagonia dalle lunghe zampe, tanto da farle apparire più come piccoli cani che come le nostre lepri, alle faraone selvatiche che razzolano ovunque lungo la pista e a “los aves caroneros”, grandi uccelli veleggiatori mangiatori di carogne, la caratteristica peculiare sono le numerose colonie di pinguini, di elefanti di mare e di leoni marini. Qui, lungo le coste frastagliate, trovano il loro habitat ideale e qui vengono per riprodursi. Un solo maschio di elefante riesce a coprire fino a cento esemplari di femmina.
Anche l’Armadillo “peludo” è presente con numerosi esemplari. Sembra un gigantesco bruco corazzato con un simpatico musetto da porcospino e la coda di un gigantesco ratto. E’ curioso e non teme l’uomo, per cui si riesce ad avvicinarlo fino a pochi centimetri. Con le lunghe unghie di cui e’ dotato, è in grado di scavarsi un rifugio sottoterra e sparire alla vista in pochi secondi. I locali lo mangiano, trovandone il sapore gradevole. Io devo dire che riuscirò a farne a meno senza rimpianti.
L’osservazione dei mammiferi del mare è semplificata dalla creazione di osservatori, posti a debita distanza e soprelevati. Gli esemplari presenti sono numerosissimi, stipati uno a fianco dell’altro, mescolati tra razze e dimensioni. I giganteschi elefanti si distinguono facilmente per la loro mole (arrivano a pesare fino a 4000 kg) ed il loro colore biancastro. Sono meno numerosi dei leoni marini che si crogiolano al sole finchè i loro piccoli sguazzano nelle piscine naturali tra “las restingas” (canali scavati nella roccia dall’acqua che sale e scende con la marea) e si satollano di alghe, pesciolini e piccoli crostacei.
Sulle restingas si notano anche resti di antichi velieri che vi si sono arenati nel tentativo di trovare rifugio dalla tempesta. La visita ci ha riempito gli occhi. Abbiamo ricaricato lo spirito e siamo pronti a ripartire.
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Siamo partiti presto stamattina e lungo la strada il traffico era intenso. Via via che scendiamo diventano sempre più rari i distributori e la mia Honda è davvero assetata. L’autonomia è più bassa del previsto ed abbiamo dovuto ricorrere all’uso delle tanichette di emergenza che teniamo appese alle casse di alluminio. La KTM di Nini non ha invece problemi di questo tipo. Consuma meno ed ha un serbatoio molto più capiente del mio.
Il vento è divenuto ormai il compagno più assiduo. Non ci molla mai. E’ molto forte e temo che ci accompagnerà fino a destinazione. Quando lo abbiamo di lato, ci spinge e ci si appoggia con la sensazione di viaggiare di bolina stretta. Sbandati ma stabili. Quando invece viene di fronte o da dietro e cambia anche di pochi gradi a destra e sinistra, ci fa ondeggiare visibilmente. I camion che passano rappresentano un ulteriore momento di destabilizzazione e ci schiaffeggiano con pesanti spostamenti d’aria che si aggiungono o sottraggono alle raffiche del vento.
L’asfalto a tratti è fortemente deteriorato e bisogna evitare di entrare nelle profonde orme delle ruote dei camion, impresse sulla carreggiata ed evitare le buche che la punteggiano.
Abbiamo attraversato la città di Comodoro Rivadavia, lasciandola scorrere senza fermarci. Come si fa a vivere in un posto così?
Ora, percorsi più di 650 chilometri, ci siamo fermati a Caleta Olivia. Ma quanto è lunga l’Argentina? Domani proveremo a farne altri 700.
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28 febbraio 2010
L’alberghetto ha una splendida veduta sul golfo dove, in stagione, si possono osservare le evoluzione delle balene. La stagione però è passata e purtroppo non riusciremo a vederle. Già la notte scorsa Nini non era riuscito a dormire (dice lui), a causa dei continui latrati di un cane (che io non ho sentito). Immagino che anche il vento di questa notte, che squassava incessantemente le lamiere della copertura dell’hotel, lo abbia disturbato. Per me invece è stata una compagnia.
All’alba, appena il cielo ha iniziato a tingersi di rosa, mi sono alzato per prendere qualche foto del golfo.
Abbiamo poi cercato una sistemazione alternativa all’albergo di questa notte che, individuato ieri sera tardi, si era rivelato piuttosto caro. La nuova sistemazione, assolutamente dignitosa, per alcuni versi è più carina.
Riusciamo a trovare un’auto con guida e partiamo per un tour della penisola. Abbiamo così modo di visitare da vicino alcune colonie di pinguini, di elefanti marini e leoni di mare. Siamo spettatori dei giochi dei piccoli nati che si trastullano tra le onde vicino alla riva.
Oggi non si vedono le orche che a volte arrivano fino a spiaggiarsi nel tentativo di azzannare un cucciolo di foca.
Le fotografie che campeggiano in ogni locale del paese, ritraggono incredibili scene dei salti di questi mostri del mare mentre giocano con le loro sfortunate vittime.
Il vento oggi non ha mai smesso di soffiare e la sabbia ci ha tormentato entrando negli occhi e sferzandoci il viso.
Questa sola giornata è valsa il viaggio.
Nini e’ sereno e sta bene, io pure. Avanti cosi!!!!!