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Itinerario del 8 marzo 2010

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8 marzo 2010

Dopo un meraviglioso risveglio ai piedi delle Torres de Paine, le Tofane locali, ed un’abbondante colazione, siamo partiti con un vento pazzesco per completare il tour del parco nazionale.

Gli scorci di montagne innevate e valli infinite hanno corroborato il nostro spirito. La guida con vento, sul “ripio”, è sempre difficoltosa.

Ci siamo quindi trasferiti a nord, verso El Calafate, una cittadina “muy linda”, sulla strada che conduce al Perito Moreno, lo spettacolare ghiacciaio il cui fronte si arresta sul lago.

Domani dovremo anche cercare un meccanico ed un gommista per cambiare il mio pneumatico posteriore, l’olio e rimettere al suo posto uno dei due ponti che bloccano il manubrio che ho perso con le vibrazioni sullo sterrato.
Sono già ormai mille i chilometri percorsi con il manubrio bloccato da un solo ponticello e delle cinghie.


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Itinerario del 7 marzo 2010

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7 marzo 2010

La notte per me è stata molto breve. A letto alle 2 e sveglia alle 7. Devo alzarmi presto per tentare di riparare il guasto senza rovinare la giornata agli altri.

Smonto tutti i bagagli per l’ennesima volta e tolgo anche la valigia in alluminio. Sostituisco le centraline e parto per il giro di prova. Niente da fare, la moto va peggio di prima. Cambio la combinazione delle centraline. Una vecchia ed una nuova ma nulla da fare. Sono piuttosto demoralizzato e preoccupato.

Nini mi ricorda di controllare il filtro dell’aria. Lo faccio senza convinzione, in quanto non appare particolarmente sporco. Vado tuttavia a rifare il giro di prova, senza filtro dell’aria montato e…….la moto va!! Il motore prende tutti i suoi giri e non strattona più. Vado con il filtro in mano dal distributore più vicino per farlo pulire con l’aria compressa. Il soffio non rivela particolare presenza di polvere.

Ho tuttavia individuato il problema e non voglio rischiare di partire nelle condizioni di ieri. Entro pertanto in un supermercato ed acquisto delle spugnette in fibra. Si, quelle per lavare le pentole. Verdi! Nini me ne sistema una davanti alla presa dell’aria. Strappo la carta che avvolge il filtro originale e lo rimonto così, affidandomi alla spugnetta.

Intanto si son fatte le 11 e finalmente possiamo ripartire. La prima mezz’ora è di trepida fiducia, ma sempre in attesa di sentire uno strappetto del motore che invece funziona e gira a meraviglia. Piovicchia e fa freddo, anche stamattina.

250 km di asfalto ci portano a Puerto Natales. Una bella cittadina turisticizzata al massimo. Qui mangiamo in maniera divina e per la prima volta da quando siamo in sud america. Il Cile è carissimo. A differenza dell’Argentina, dove la benzina costa la metà che in Italia, qui costa addirittura più che da noi.

Il territorio che percorriamo è straordinario e si alternano basse colline su cui si inerpica la strada e pianure sconfinate, battute dal vento. Il cielo è nero, carico di pioggia ma all’orizzonte si intravvede una linea di azzurro. Noi ci stiamo dirigendo da quella parte. Il vento fa correre le nubi e le stira in cielo. Dei laghetti, ai lati della strada, sono popolati da fenicotteri rosa. Il vento aumenta e nell’ultimo tratto di 145 chilometri, trasforma il piacere in sofferenza. Già sull’asfalto risulta molto difficile tenere la moto quando le raffiche si abbattono su di noi. La traiettoria che percorre la moto attraversa zigzagando le due corsie. Sono tutto inclinato verso sinistra e vedo nello specchietto che anche per gli altri il problema è lo stesso. Contrastare il vento ma con attenzione. Quando cala la raffica bisogna risollevare prontamente la moto, altrimenti mancherebbe l’appoggio e si cadrebbe di lato. Ho quasi la sensazione che il vento possa portarmi via le ruote da sotto.

Sul “ripio” (lo sterrato), le cose vanno assai peggio. La polvere che si solleva rende scarsa la visibilità. Il vento rende incerta la traiettoria e si fatica a tenere la traccia battuta, finendo spesso sui cumuli di ghiaia che corrono nel centro strada e sui lati. La cosa peggiore è la “tole ondulee” o “costeletas” come la chiamano gli amici brasiliani. Innesca una vibrazione continua e toglie completamente aderenza al terreno. Il vento forte sposta così il retrotreno della la moto verso sottovento. Nelle curve poi, diventa davvero difficile tenere l’assetto.

É da un po’ che in lontananza si intravvedono le propaggini della Cordillera. Le cime in distanza appaiono innevate. Scorci di mare luccicante con sullo sfondo cime appuntite bianche di neve ed il cielo più drammatico che io abbia mai visto. Nero e tempestoso, sopra alle cime, stracciato da squarci di cielo dai bordi candidi e rilucenti che grandi fasci di luce attraversano per finire sulla superficie del mare rendendola d’argento.

Verso sera affrontiamo l’ultimo tratto ed arriviamo al Parque Nacional de Torres de Paine. La vista sullo sfondo lascia senza fiato. Svettante in lontananza una copia delle nostre dolomiti. In particolare le tre Torri di Lavaredo sembrano lì, ad attenderci.

Non c’è nessuno nel parco ed abbiamo la fortuna di trovare due stanze in un rifugio. Sono confortevoli e ci sistemiamo per la notte. La locandiera ci prepara una cena deliziosa a base di “sopa” biancastra ma saporita e l’immancabile cordero (agnello).
Alle 11 spengono il generatore e ci tocca andare a letto. Che dormita. Il vento tira per tutta la notte, fortissimo. Chissà domani come sarà.


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Itinerario del 6 marzo 2010

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6 marzo 2010

Partenza da Ushuaia alle 10. Ci siamo dati appuntamento con Renato e Ricardo, i nostri amici brasileiri con cui avevamo cenato ieri sera. La mia Honda non gira come dovrebbe. Perde colpi e strattona. Cade una pioggerellina sottile e fastidiosa. Fa freddo. Qui aspettano la prima neve entro un paio di settimane.

Percorriamo a ritroso la strada che si inerpica tra le gole dei monti, alle spalle della città, tra boschi e valli meravigliose.

Peccato dover già riprendere il cammino. D’altra parte appare opportuno non sfidare troppo la sorte che ci ha permesso di godere, finora, di belle giornate e soprattutto senza pioggia. Temo che non tarderà a farsi viva. L’importante è cominciare risalire verso latitudini più alte che ci assicurino anche delle temperature accettabili.

Il viaggio prosegue senza inconvenienti, salvo quello della mia moto che proprio non va. Ci fermiamo ogni 150 chilometri per il rifornimento di benzina e poi riprendiamo. La destinazione fissata prevede una lunga tappa da Ushuaia a Porvenir, sulla riva sud dello stretto di Magellano. Da qui parte un tragetto che ci dovrà portare a Punta Arenas in due ore e mezza.

La strada è, per buona parte, in sterrato. Il problema principale sono i camion che sollevano una polvere impenetrabile che rende impossibile il sorpasso e fa perdere completamente la visibilità. Dopo 400 chilometri arriviamo al porto dove apprendiamo che il traghetto è stato annullato. Il prossimo partirà domani, alle ore 17. Decidiamo pertanto di dirottare sul traghetto più a nord, quello che avevamo preso per venire in terra del Fuoco. Si tratta però di percorrere altri 300 chilometri, non previsti, dei quali una metà su fuoristrada e di arrivare sicuramente a notte inoltrata. La benzina inoltre non sarebbe sufficiente, qualora non arrivassimo in tempo all’unico distributore che si trova circa a metà percorso.

Ripartiamo e fortunatamente non c’è molto vento. Arriviamo al distributore, dopo una folle corsa, mentre il benzinaio sta chiudendo. Anzi, ha già chiuso e se ne sta andando. Dopo molte preghiere e spiegazioni, acconsente e ci fa il pieno. Almeno così siamo sicuri di non doverci accampare per strada. Arriviamo al traghetto ed aspettiamo gli altri due.

In attesa di salire, mi accorgo che il manubrio della Honda ha qualche cosa di strano. Con la pila verifico gli attacchi e mi accorgo di averne solamente uno. L’altro, a causa delle scosse e vibrazioni, ha perso i bulloni e si è staccato. Non è un bel vedere. Improvviso una legatura di primo intervento con una fettuccia e salgo sul traghetto. La traversata è relativamente breve e ci consente un po’ di riposo.

Ripartiamo. Ormai è notte fonda. A me non piace viaggiare di notte in quanto ci sono troppi animali selvatici che attraversano la strada. Ne vediamo infatti un paio. Una lepre ed una volpe ci sfrecciano davanti alla ruota. Fortunatamente non c’è traffico.

A mezzanotte arriviamo a Punta Arenas. Siamo stanchi, dopo 14 ore ininterrotte di moto e 700 chilometri percorsi. Io ho fatto fatica ad arrivare con la moto ma domattina avrò modo di consultare un meccanico. Devo anche cambiare il pneumatico posteriore che ormai è finito.

Una volta in albergo apprendiamo che domani, domenica, tutto sarà chiuso. Meccanici compresi. Dormo male. Ho il pensiero di rappresentare un peso per gli altri, a causa del cattivo funzionamento della moto. Domattina mi alzerò presto per sostituire le centraline e provare poi come va il motore.


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Itinerario del 5 marzo 2010

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5 marzo 2010

Oggi ce la siamo presa comoda. L’alberghetto che ci ospita è davvero carino. Abbiamo a disposizione due piccoli bungalows, davvero graziosi e puliti.

Le moto sono davanti alle camere, chiuse nel recinto dell’hotel. Un’abbondante colazione con vista dall’alto sul Canale di Beagle non è cosa da tutti i giorni. E noi ce la siamo goduta.

Con comodo e soprattutto con moto scariche, abbiamo percorso la ventina di chilometri che rimanevano da percorrere della “Ruta 3″, per arrivare alla mitica “Fin del Mundo”.

La zona è Parco Naturale ed è maglifica. La si percorre su sterrato tra boschi di rara bellezza e densità. Le montagne innevate sovrastano laghetti argentei e lagune dall’acqua ambrata. I castori sono al lavoro. Difficile non fermarsi ogni pochi metri per contemplare queste bellezze.

La strada finisce sulla baia ed è la strada che giunge alla più bassa latitudine.

La passeggiata su passerella in legno conduce ad una piattaforma in legno da cui si può contemplare il mare e sognare.

Poco oltre si percepisce la presenza de mitico Capo Horn, sogno e tormento di navigatori d’ogni tempo.

Oggi sarebbe stato un giorno ideale per doppiarlo in calma di vento. Ma non e’ ancora giunta l’ora………………..


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Itinerario del 4 marzo 2010

Itinerario del 4 marzo 2010

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4 marzo 2010: arrivati ad Ushuaia

Oggi dovrebbe essere il giorno del nostro arrivo ad Ushuaia, la prima grande meta del nostro viaggio. Aspettiamo le nove per partire, perchè prima la temperatura è ancora bassa.

Generalmente le ore più calde sono quelle pomeridiane ma si sta già bene dalle undici. Ad una settantina di chilometri ci fermiamo alla frontiera tra Argentina e Cile. Le formalità doganali sono lunghette ma relativamente semplici. Moduli da riempire nell’una e nell’altra frontiera. Tutti simpatici e gentili. Un doganiere mi offre perfino il matè dalla sua tazza. Amaro ma buono.
Dopo meno di un’ora arriviamo in vista del braccio di mare noto come Stretto di Magellano.

Il Ferry è già lì che aspetta e dopo un’ora siamo già sbarcati nella Terra del Fuego.

Lo spirito si esalta con la sensazione di essere protagonisti di un’avventura che ripercorre luoghi e ricorda personaggi che hanno fatto la storia della navigazione e delle scoperte geografiche.

Di qua son passati i grandi navigatori, primo tra tutti Magellano che scoprì il passaggio interno verso ovest nel 1520. Era con lui il nostro concittadino Antonio Pigafetta. Tra gli avventurieri dei primi secoli della storia moderna ricorderò solamente i famosissimi Drake e Cook. Tra gli scrittori Chatwin e Sepulveda e tra gli scienziati naturalisti Charles Darwin che percorse il canale a bordo della nave Beagle da cui trasse il nome, nell’ottocento, questo braccio di mare ed il botanico Joseph Banks, compagno di viaggio di Cook nella scoperta della Terra Australis a bordo della HMS Resolution.

Innumerevoli gli altri personaggi, famosi o no, attirati qui da curiosità scientifica, desiderio di gloria, di ricchezza o per semplice curiosità. Su tutti ed a tutti, questa terra ha lasciato un segno indelebile. Nessuno è rimasto indifferente al fascino dei suoi contrasti.

Qui da Ushuaia, da dove ora sto scrivendo, vedo il braccio di mare del Canale di Beagle entro cui si specchia una cornice di basse montagne dalle cime innevate. Oggi il cielo è ceruleo e cade una lieve pioggerellina che crea la giusta atmosfera di calma e serenità ed invita alla riflessione. La temperatura è di 2 gradi.

Superato lo Stretto, appare tangibile il cambiamento del territorio. Ci si addentra nell’isola seguendo una starda sterrata per 150 chilometri. La via è tortuosa e sale di quota, addentrandosi in un ambiente ancora mai visto dalla partenza. Appare più come un paesaggio alpino, con pascoli gialli d’alta quota, su cui appaiono incastonati, di tanto in tanto, specchi d’acqua di un blu intenso o lagune secche, bianche di sale. Oltre le recinzioni che sfilano da ambo i lati della via, pascolano mandrie di vacche che sembrerebbero appartenere al tipo europeo Simmental, greggi di pecore dal vello grigio e gli immancabili guanachi. Difficile resistere e non fermare la moto per immortalare questi paesaggi bucolici. Raramente si intravvedono insediamenti umani.

Al primo contatto con lo sterrato Nini si rivitalizza. Finalmente si trova nel suo ambiente e dà gas. Per me la cosa è differente. Sono almeno 2 anni che non esco in fuoristrada e siamo carichi come muli. Il retrotreno sculetta e la cosa mi agita un po’. La velocità va tenuta altina e non mi sento ancora sicuro. Dopo la prima ora di cammino le mani sono indolenzite e mi accorgo di stringere le manopole con troppa forza. Devo rilassarmi. All’incrociare dei camion che transitano in senso inverso, la polvere che ci investe è tale da oscurare tutto per alcuni secondi e non mi diverto per niente.
Stiamo correndo a 100/110 km/ora e dobbiamo avvicinarci al bordo dove si sono accumulati depositi di ghiaia sciolta ed in piu’ alla cieca. Tutto sommato l’asfalto non mi dispiaceva.

Eravamo entrati in Cile ed ora ci stiamo nuovamente avvicinando alla frontiera. Altro passaggio in dogana e via, verso Ushuaia, attraversando paesaggi sempre più belli. Per la prima volta, da quando sono in Argentina e dopo aver percorso 3400 chilometri, vedo la sagoma di una albero. Rinsecchito, contorto, spezzato. Dopo poco eccone un altro, no, sono due, tre, cento. Come definirli, residuati di boschi? Gli alberi sembrano simili al nostro Pino Cirmulo d’alta quota, bassi e contorti, con qualche ciuffo di verde e molti rami spezzati e cadenti. Il terreno ne è ricoperto. Sembra una foresta pietrificata. Procedendo la strada si inerpica ed affrontiamo un paesaggio decisamente alpino.

Dopo molte ore di viaggio non sentiamo ancora la stanchezza perchè la strada costeggia bracci di mare, foreste via via più fitte e verdi. Nini passando scorge dei castori sul bordo di un laghetto. In cielo volteggiano grandi rapaci. Il freddo è sempre più intenso e finisco per cambiare le marce senza usare la frizione perche’ muovo le dita, ormai ghiacciate, con difficoltà.

Finalmente attraversiamo la catena montuosa che ci separa dalla cittadina ed iniziamo la discesa. Si coglie il sapore del mare e l’aria si riscalda. Arriviamo in città e con noi i due motociclisti brasiliani con i quali abbiamo percorso gli ultimi 400 chilometri. E’ d’obbigo una fotografia di gruppo davanti alla tabella di benvenuto della città di Ushuaia. Domani sarà dedicato al riposo ed alla revisione dei mezzi. Faremo una capatina fino al limite meridionale dell’isola e poi programmeremo l’itinerario che ci porterà verso nord.


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