8 aprile 2010
La decisione presa ieri sera è stata saggia. Per percorrere l’ultimo tratto da Santo Domingo a Quito stamattina ci abbiamo impiegato due ore e mezza. La strada era tutta una curva e siamo saliti oltre i tremilametri di quota. Di notte e con la pioggia, ci avremmo impiegato almeno il doppio del tempo.
Lasciato Santo Domingo, la strada si inoltra subito tra le montagne. Entriamo nella foresta tropicale con vegetazione fitta ed impenetrabile, corsi d’acqua impetuosi e densi di fango, cascate.
Curva dopo curva si sale fino a 3250 metri. Il panorama cambia ancora. L’Equador di ieri oggi ha un’altra faccia. Sull’altopiano fa freddo ma le piante che vi crescono sono tuttavia molte e rigogliose.
Arriviamo a Quito che riveste di case un’intera vallata. Riusciamo a percorrere le tangenziali senza dover entrare in città. Quello che vediamo ci basta. Povera umanità!
L’unica nota particolare di oggi è il taglio dell’Equatore. E registriamo 15.000 km percorsi……
Download itinerario del 8 aprile 2010 >> (per visualizzare il tour è necessario Google Earth)
7 aprile 2010
La giornata comincia male. Dalla sala dove stiamo facendo colazione vedo un rivoletto d’acqua che scola dal tetto. Sta piovviginando. Lo temevo. Dopo 40 giorni di viaggio senza una vera pioggia, ormai sarà inevitabile.
Dopo mezz’ora invece, quando partiamo, c’è il sole ed il caldo è già “agobiante”.
Usciamo dal garage e dopo nemmeno 100 metri un passante mi avverte che la mia gomma posteriore è a terra. Ma possibile!! Non poteva succedere dentro al garage? No, qui, al semaforo, nel flusso di auto e nell’ora di punta. Riesco tuttavia ad eseguire un’inversione ad U, nonostante sia senso vietato e mi infilo nella strada laterale che avevo appena superato, dove, dicono a Nini, dovrebbe esserci un meccanico. Percorsi meno di 100 m, mi fermo davanti alla bottega di un gommista.
Ci vuole un’ora, ma approfitto anche per sostituire il copertone, ormai liso, con quello che mi sto trascinando dietro da Mendoza (Argentina). Tutta l’operazione diventa spettacolo ed una piccola folla di curiosi si accalca attorno alle moto. Tremiamo all’idea che si operi il saccheggio di cui in molti ci hanno parlato. E invece solo domande. Ogni nuovo arrivato deve sapere e chiede, ma nessuno tocca niente. Passano anche due pattuglie di polizia che uno dei presenti appella col nome di “pajazos” e li definisce “ladrones’. Così va il mondo….
Nessuno di noi due osa spogliarsi della tuta da moto. Nelle tasche teniamo tutte le nostre risorse economiche ed i documenti. Il caldo è torrido ed umido. Grondo sudore. Dal volto mi cadono gocce in continuazione e quando mi piego in avanti per osservare il lavoro, gli occhiali si bagnano. Mi sento indebolito. Nini trova una bottega ed acquista una bibita. Come bevo mi sento inondare dal sudore.
Fortunatamente, prima di partire, ho fatto montare il cavalletto centrale, che non c’era. Ciò nonostante il forte carico sul retrotreno rischia di far cadere la moto. Il giovane meccanico monta a modo suo la ruota che devo far regolare più volte per averla finalmente posizionata correttamente.
Alla frontiera le formalità sono sempre le stesse. La dogana dell’Equador si trova a 10 km dal confine e la cosa ci sembra così strana che ci fermiamo varie volte per chiedere informazioni, temendo di aver capito male. Tutto procede bene ma, tra le carte del Perù e quelle dell’Equador, se ne va un’altra oretta.
Sono le undici e mezza quando finalmente iniziamo il nostro viaggio nel nuovo Paese. L’Equador non ha una sua moneta e qui utilizzano il dollaro americano. Il resto però ce lo danno con monete equadoregne. Non hanno esercito, però è pieno di militari.
Il paesaggio appare totalmente diverso. Il verde è di un’intensità mai vista. Ogni metro di terreno è ricoperto da vegetazione. La novità, dopo migliaia di chilometri di incolto o rare coltivazioni, sono le piantagioni. Banane, mango, papaie, avocado, canna da zucchero, riso, mais, frumento, ananas e palme da cocco. Qui c’è tutto ma in quantità e qualità mai vista. I bananeti ricoprono la maggior parte della superficie. Sono di estensione tale che per rendere l’idea si dovrebbe immaginare di percorrere l’autostrada da Venezia a Milano immersi nei banani sui due lati, senza soluzione di continuità e per altrettanta profondità. Le piante sono rigogliose, alte 4/5 metri, densissime e cariche di caschi in maturazione. E quando termina il bananeto, iniziano a vedersi le piante di papaia e mango. E così via, all’infinito. percorriamo centinaia di chilometri e non arriviamo mai.
Alcune aree sono acquitrinose e sui canali sorgono capanne su palafitte. Nell’acqua torbida e coperta da rifiuti di plastica, i bambini giocano, gli adulti si bagnano, le donne lavano il bucato. La strada è buona ma il traffico è impossibile. A differenza degli altri Paesi nei quali il traffico, ancorchè intenso e congestionato, si limitava ai centri urbani, qui non c’è differenza. I camion e le corriere sono una fila continua. I paesi sono uno dopo l’altro e nei centri abitati la congestione è tale che la nostra media scade a livelli bassissimi.
Come già in Perù, qui nessuno sa quanti chilometri manchino a questa o quella destinazione. Le distanze si esprimono in ore, o giorni. E non sbagliano. Nonostante il nostro scetticismo, quando ci dicevano che per arrivare a Quito sarebbero state necessarie 12 ore (550 km), non sbagliavano. Qui i chilometri si dilatano. Il tempo scorre inesorabile e non si arriva mai.
I cartelli stradali riportano solo i nomi dei paesi più prossimi, che non sono segnati in carta e bisogna chiedere più volte.
Ci fermiamo solo per dissetarci e rifornire le moto. A singhiozzo piove. Non ce la sentiamo di indossare la tuta da pioggia. Il caldo è soffocante e preferiamo continuare così.
Comincia l’imbrunire e siamo ancora distanti 200 km. 5 ore, ci dicono. Sorridiamo. Per noi sono 2, al massimo 3.
E piove. La strada peggiora ed iniziano ad esserci buche sulla carreggiata. La luce cala, i fari ancora non illuminano a sufficienza, la pioggia sulla visiera rende difficile la visibilità. Cominciano i problemi. Da più di un’ora si è accodata a noi una moto e percorriamo assieme un centinaio di chilometri. Ad un certo punto la difficoltà di avanzare è tale che preferisco fermarmi ad un distributore. Nini si accosta. Anche lui ha difficoltà a vedere la strada. Il tizio dietro a noi si avvicina. Parliamo. Anche per lui la visibilità è nulla. Ha una Honda stradale 600 cc. É un poliziotto fuori servizio, si chiama Alexander. Lo invitiamo a bere qualcosa.
Riusciamo a telefonare all’hotel che avevo prenotato via internet a Quito, per informare del nostro ritardo. L’amico poliziotto ci dice che la strada per Quito è ancora lunga. Ormai è buio pesto. Ripartiamo. Non si vede nulla. L’asfalto è nero e senza alcun segno di riferimento. Ci sono le buche, i dossi rallentatori sono frequestissimi, alti e quasi invisibili, il traffico bestiale. Sono titubante e Nini mi sorpassa. Quando mi giunge a lato, lo vedo sbandare paurosamente. Non so come, rimane in piedi (il poliziotto ci dirà poi che era finito su un gradino causato da lavori in corso che non avevamo visto).
Il quarto d’ora successivo rimarrà tra i miei ricordi più drammatici. Impossibile fermarsi, la strada non ha bordi, nè linea centrale. Piove e la visiera è diventata inutile, anzi impedisce la visuale e la devo alzare. Gli occhiali si riempiono di goccioline. É fatta, sono praticamente accecato.
Avanzo seguendo le luci davanti a me e con le mani serrate sulle manopole in attesa dei colpi delle buche. Dietro a me il poliziotto, con il suo faro, mi sta abbagliando. Vorrei fermarmi ma non posso. In qualche moto arriviamo al paese di cui ci aveva parlato Alexander. Lui lo conosce bene. Passa davanti e ci fa segno di seguirlo. Dopo un attimo ci troviamo tutti e tre su uno spartitraffico in centro strada!!!
Io non ne posso più, affianco Nini e gli urlo che ci dobbiamo fermare qui, che proseguire in queste condizioni sarebbe suicidio. Nini condivide e a sua volta chiede all’amico che ci trovi una sistemazione per la notte, sul posto.
Tutto si svolge in pochi istanti, approfittando dei rallentamenti del traffico causati dai dissuasori a terra. Ci fermiamo ad un incrocio, a centro strada. Nini posa il piede a terra e………..non trova appoggio. La moto si corica su un lato. Il tempo per fermare la mia e scendere ed il traffico sta sopraggiungendo. Siamo in centro strada e non ci sono luci. In pochi istanti, in tre, riusciamo a raddrizzarla. É andata bene.
Ci facciamo guidare fino al primo hotel e qui ci fermiamo per la notte. Mancano ancora 120 km per Quito. Li faremo domani. Per ora piove ancora………..
Download itinerario del 7 aprile 2010 >> (per visualizzare il tour è necessario Google Earth)
6 aprile 2010
Guardo fuori dalla finestra. É ancora presto ma il cielo sembra sgombero da nubi. Scendo per il desajuno. Nini non c’è.
Risalgo e comincio a prepararmi. Ogni mattina il rito della vestizione. Calze, paramalleoli, sottobraghe di protezione, ginocchiere, corazza con tartaruga, tuta e stivali. La parte più difficile è sempre quella di stipare apparecchiature varie e vestiario nelle borse e nello zaino. A volte, se arriviamo tardi o siamo particolarmente stanchi, non scarichiamo nulla e così, nello zaino, dobbiamo sempre avere il minimo necessario per cambiarci.
Trovo Nini nella hall. Paghiamo e scendiamo in garage. Nessuno dei due parla. Le moto sono li. Lo sguardo corre sul pavimento sotto alla KTM. Tutto asciutto. Primo sospiro di sollievo. Nini accende la moto che parte subito. Mi guarda con un sorriso. Secondo sospiro di sollievo. Sembra tutto a posto. Sembra quasi impossibile di aver risolto il problema a cavallo di Pasqua e con dei mezzi così artigianali. Eppure è così, finalmente possiamo partire. Grazie Jimmy (il meccanico).
Attraversiamo il “Desierto de Sechura” con dune di sabbia e qualche raro cespo d’erba. Sono 250 chilometri di caldo e luce abbacinante. La moto di Nini va molto bene e supera il collaudo. Appena dopo il deserto, traversato un ponte, la vegetazione esplode. Alte palme da cocco e basse coltivazioni di banani arrivano fin sulla strada. Enormi estensioni di terra sono coltivate a risaia. Banchetti lungo la strada offrono latte di cocco ghiacciato. La strada prosegue asfaltata ma le buche si moltiplicano sulla carreggiata. Dobbiamo avanzare a zig zag. Spero non sia un’anticipazione di quanto troveremo più a nord, in Equador e Colombia. I pareri raccolti finora sono contrastanti. Anche il cielo si sta coprendo e temo che ci dovremo presto abituare a piogge quotidiane. Confido comunque sulla buona sorte.
É quasi notte, quando arriviamo a Tumbes, abbiamo percorso da stamattina 550 km e dall’inizio del nostro viaggio più di 14.000.
Entriamo in città e ci mescoliamo con il traffico. La presenza dei tuk-tuk è così numerosa da farci credere di essere precipitati in una strada di Hong Kong.
Nessun semaforo è sincronizzato e rimaniamo fermi a lungo. Un’auto si affianca e il conducente ci avverte, con aria preoccupata, di non procedere in quella direzione perchè la zona sarebbe, per noi, rischiosa. Gli spiego che stiamo cercando un hotel e ci invita a seguirlo. Quasi stritolati dal traffico assordante ed indisciplinato, riusciamo a stento a seguire l’auto che finalmente ci conduce fuori dal caos e a destinazione. Domani dovremmo attraversare la frontiera e dirigere su Quito.
Download itinerario del 6 aprile 2010 >> (per visualizzare il tour è necessario Google Earth)
5 aprile 2010
Siamo dal meccanico da questa mattina. La moto di Nini sta riprendendo forma, i pezzi cominciano a sparire dal pavimento e tornano al loro posto.
Io approfitto per smontare la valigia in alluminio che si era danneggiata sabato, quando Andrea (motociclista colombiana) non era riuscita a mantenere l’equilibrio della sua, ferma davanti al caffè e si era rovesciata facendo cadere anche la mia Africa. La scelta delle valigie in alluminio si dimostra, ancora una volta, opportuna. Se avessi usato le borse in plastica, probabilmente sarebbero già esplose. La borsa in alluminio invece si è solo deformata. Ora, con quattro martellate al posto giusto, sta riprendendo la sua forma originale.
Attorno alla KTM proseguono i lavori di montaggio. Io torno all’hotel per preparare il bagaglio, vestirmi e partire.
Torno da Nini, convinto di trovarlo quasi pronto e invece non è così. I lavori sono in stallo. In fase di saldatura si sono persi i riferimenti che erano stati posti per rimontare il carter laterale com’era ed ora il meccanico non riesce più a posizionare correttamente la catena di distribuzione e registrare le valvole. Ora sono le 14. I tentativi sono stati innumerevili. Non resta che aspettare. Le ore passano.
Vado nella bottega (?) dall’altro lato della strada e compero due pagnotte e qualche “simil wurstel”. Li porto a Nini che senza batter ciglio inizia a masticare. Non l’avrei mai detto. Gli assistenti del meccanico si alternano in continuazione. Ogni tanto arriva una faccia nuova, fa le solite domande – “da dove venite, dove state andando, ma va, si beh, però, che moto è questa, che cilindrata e la velocita?…..”. Poi si sistema in prima fila e non se ne va più. Se serve una chiave…….eccola. C’è chi si prende cura di qualche particolare, chi scopa la pipì della povera Lola (il bulldog che vive a catena tra i nostri ed i loro piedi), chi fornisce consigli non richiesti. Uno in particolare risulta particolarmente referenziato. Suo padre, mi informano, era un meccanico!!!
Arriviamo ad un massimo di 18 presenze in contemporanea, più il cane. Torna a trovarci anche il poliziotto gentile, quello che mi aveva fatto da scorta sabato scorso. Molti fanno fotografie con il telefonino e riprendono noi e le moto. Vi si siedono sopra e si fanno le foto tra loro. Ad un certo punto li invito a far gruppo e faccio anch’io la foto ricordo.
Nini è paziente. La cosa mi sorprende. Si fa sera ed la speranza di partire si fa sempre più debole. Comincia anche a piovicchiare. Ormai, ad un’ora dal tramonto, decidiamo di rinunciare alla partenza. Abbiamo davanti 250 km di deserto puro, segnato così sulle carte.
La moto richiederebbe un collaudo, sta per piovere e tra poco sarà buio. Nini sembra rassegnato ed io parto per cercare una sistemazione per la notte. Oggi è stato il viaggio più corto……. e stasera una pizza non me la leva nessuno!
4 aprile 2010
Il motore della KTM giace a pezzi sul bancone e sul pavimento dell’officina. Alcune ciotole raccolgono bulloni e rondelle di varia provenienza. Ci si chiede se poi ogni cosa riuscirà a tornare al proprio posto.
Tolta la testa, mi è sembrato di notare il segno di una “soffiata”. La causa del problema potrebbe essere imputato alla mancata circolazione del liquido refrigerante e quindi ascrivibile alla pompa. Oppure carenza del medesimo liquido e quindi bruciatura della guarnizione di testa o, più drammaticamente, incrinatura della testa stessa. In quest’ultimo caso l’approvvigionamento del ricambio, escludendo la presenza in loco di saldatori qualificati per questo tipo di riparazione, potrebbe richiedere diversi giorni di attesa. Per ora siamo nel campo delle ipotesi ma siamo sempre ottimisti. Nini è fisso al capezzale della KTM, io mi muovo di qua e di là.
Alle porte dell’officina c’è sempre qualcuno che viene a curiosare. Chiedono di tutto ed hanno voglia di parlare. Ricordo che in Argentina ci avevano allarmato sulla pericolosità dei boliviani e peruani. In Bolivia ci avevano spaventato con storie di malfattori peruani. Da quando sono qui, l’unico fastidio vero è il suono continuo dei clakson dei Tuk-Tuk. Un vero concerto, il concerto dei Tuk-Tuk!!!
É buona gente e come sempre bisogna avere l’umiltà di abbassarsi un po’, scendere per strada e conoscerli. Quanti ne troveremmo in Italia oggi, giorno di Pasqua, disposti a lavorare per noi? Eppure qui sembra normale. C’è un’emergenza? Si lavora!
Fa molto caldo ed io approfitto per lavare i sottotuta imbottiti, ginocchiere e gomitiere che da qualche giorno non odorano più di fresco. Credo e spero che per domattina saranno asciutti. Tra un po’ raggiungerò Nini che non si è voluto staccare dalla sua KTM, poi decideremo sul come trascorrere la serata di Pasqua.
Raggiungo Nini verso le 16. La moto è sempre lì, con le viscere all’aria. Il meccanico sta trafficando con le valvole. Quando mi vede, mi mostra con un sorriso i lavori che hanno fatto: una bellissima guarnizione di testa nuova ed una ricostruzione di parte della testa che si era sbrecciata o fusa. Nini mi racconta:
<< Saliti su un tuk-tuk, lui, il meccanico e il blocco di testata, sono andati a caccia di “ricostruttori’. Il primo, lo specialista di guarnizioni, ha rovistato per mezzora entro vecchi scatoloni stracarichi di ciarpame, nell’inutile ricerca di una guarnizione adatta. Si è poi rassegnato ed ha estratto dei fogli di un bel prodotto stratificato, con l’anima in alluminio, su cui ha lavorato di martello e cesello, fino a produrre un meraviglioso succedaneo di quanto necessitava. Il tutto per la modica cifra di 3 euro. Si sono così trasferiti nell’antro del drago. Entro un corridoio oscuro, dietro ad un radiatore rotto, stava il ciclope. Nero, vestito di nero, sporco di nero, con un occhio strabico e la camicia sbottonata. Nella stretta caverna cumuli di ciarpame di ferro e nell’angolo più oscuro la fattucchiera che rimestava la pozione del mezzodì in un pentolone nero di fumo. Tornate alle due!, gli disse l’omone. Alle due il pezzo era pronto, saldato e…..rettificato (?). La spesa? Meno di 4 euro equivalenti. Funzionerà l’accrocco? Ai posteri l’ardua sentenza……..>>.
Nini si aspettava di tornare in albergo già stasera, con la sua moto. Troppo ottimista! Alle 16 l’officina chiude. Oggi è domenica – dice il meccanico – e di domenica non si lavora. Boh, vallo a capire. Domattina “temprano” – dichiara – e chiude la baracca.
Meditando sulla propria sfortuna, Nini sale di malavoglia sulla mia moto e lo riporto all’hotel. Doccia, riposino ed eccoci a spasso per Chiclayo.
Il traffico ci avvolge e ci confonde. Una cacofonia di clakson di tutti i tipi ci stordisce. Suonano sempre e suonano tutti, instancabilmente, inspiegabilmente. I pedoni sono esclusi da ogni diritto. La polizia c’è, vede e non provvede.
La cittadina è un vulcano di attività commerciali. Bar, ristoranti, negozi di tutti i tipi, cambiavalute, lucidascarpe. L’attività è frenetica, anche se oggi + Pasqua. Cinesi, banche e farmacie vincono su tutto. Ce ne sono a decine.
Un “caldo de pollo” (brodo di gallina), una bistecca ed anche per oggi abbiamo cenato. Alle 10,30 siamo già nelle nostre camere. Alle 11,30, con gli occhi che mi si chiudono per la stanchezza arretrata, termino queste righe e spengo la luce……………..