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Puerto Escondido








2 maggio 2010

Puerto Escondido è diventato un mito. Non è più molto “escondido” ormai, è pieno di italiani. Italiani turisti e italiani residenti. Se non altro sono riuscito ad assicurarmi un’altra buona pasta, cucinata come si deve. Unico difetto, ma non glielo levi nemmeno con la tortura, se ordini due pietanze te le portano assieme. E la cosa mi dà un fastidio fastidioso. Ma possibile che non riescano a capire che se mangio una cosa si fredda l’altra e viceversa? Vabbè, tanto il problema mica lo risolvo io….
Ieri sera, ho già conosciuto 3 italiani. Abbiamo chiacchierato di moto e di avventure!!!!!!
Il clima è differente qui, rispetto al Chiapas. Per “clima” intendo rapporto umano, accoglienza, cortesia, simpatia. Decisamente un’altra cosa, a parte la squisita ospitalità di Carlos.
Mentre negli ultimi giorni non vedevo l’ora di salpare le ancore, qui ho deciso subito che mi sarei fermato per almeno un’altro giorno.
L’alberghetto è semplice ma pulito, sulla terrazza arrivano le foglie di una palma carica di cocchi e per tutta la notte mi ha fatto compagnia il fragore delle onde. Fa caldo ma quel caldo buono e secco che non ti fa sudare. All’ombra si sta proprio bene. Ho camminato tra i turisti, girato nei negozietti, cambiato dollari. Sono sempre un “Gringo”, ma qui hanno capito che i “gringos” pagano più volentieri, se trovano un sorriso.
Poi sulla spiaggia a lasciare le mie impronte che domani saranno già cancellate dal vento. E sul bagnasciuga dove le onde hanno tolto le tracce un attimo dopo. Infine nell’acqua fresca del Pacifico per sentire la risacca che ti scava sotto ai piedi e cerca ti trascinarti con sè.
I treni di onde emettono un rumore di tuono e si frangono sulla spiaggia bianchi di spiuma. Non è facile andare incontro all’onda che prima ti respinge e poi ti trascina. Quando finalmente ci arrivo vicino mi sovrasta, mi travolge, mi schiaccia in un turbine cui non posso resistere. La corrente mi trascina e sono presto lontano. É come un’altalena, bisogna seguire il movimento e assecondare la forza del mare per farsi portare dalla parte discendente dell’onda, verso riva e sulla spiaggia.
C’è poca gente e godo del silenzio che mi circonda. Si ode solo il mare, ma quella è musica…


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Itinerario del 1 maggio 2010

Itinerario del 1 maggio 2010

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1 maggio 2010

Oggi, primo maggio, rivolgo un saluto caloroso a tutti i lavoratori e, perchè no, anche a quelli che credono di lavorare.
Innanzitutto ringrazio Carlos per la cortese ospitalità e per la disponibilità che mi ha dato.
Lascio Tuxtla poco prima di mezzogiorno e dirigo sulla costa del Pacifico. Non ho una destinazione preordinata. Deciderò durante il percorso.
Per la prima volta dopo tanto tempo, sto correndo su una strada normale, anzi una simil autostrada. Di uguale c’è che si paga ed anche tanto ed anche spesso. In 100 km trovo ben 4 caselli e mi costa più di pedaggio che di benzina.
Il paesaggio non presenta punti di interesse. Una curiosità che credevo d’altri tempi, almeno per questa regione, i viaggiatori sui tetti dei vagoni ferroviari. Quando li ho visti mi sono fermato a lato strada per fotografarli e dalla loro suite open air mi hanno fatto un sacco di feste.
L’Oceano si vede poco e da lontano. La strada percorre un tratto interno. Non ci sono distributori e per un pelo non rischio di rimanere a secco. Per fortuna la mia Honda, con l’andare del tempo, ha diminuito i consumi in maniera sensibile, passando dai 10 km con un litro, agli attuali 15.
C’è un vento molto forte in questa parte di Messico, dove, dall’oceano Atlantico, l’aria si precipita senza trovare ostacoli verso il Pacifico e viceversa. Mi sono sentito un po’ in Patagonia (altra temperatura ovviamente) a dover avanzare piegato sul lato controvento.
L’area è ricca di installazioni eoliche e quasi tutte in funzione.
Sono riuscito a tenere una buona media e così decido di allungare il percorso. Arriverò fino al mitico Puerto Escondido.


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Canyon del Sumidero – Tagliando moto 20.000 km



Itinerario del 30 aprile 2010

Itinerario del 30 aprile 2010

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30 aprile 2010

Carlos è venuto a prendermi stamattina e mi ha guidato dal meccanico. Ho chiesto una revisione completa con pulizia del carburatore, cambio candele, verifica olio freni, pastiglie e catena (sarebbe tempo di cambiarla ma non c’è quella del passo giusto). Infine pulizia del filtro aria e revisione dello sterzo che ha ricominciato a ballare. Me la farà per domattina.
Nel frattempo mi son fatto portare da Carlos all’imbarcadero del Canyon del Sumidero. La gita dura 2 ore e si può ammirare una natura selvaggia ed incontaminata. Al ritorno mi faccio portare da un taxi fino all’officina. I lavori procedono e sembra che tutto vada bene. Confermano per domattina.


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Agua Azul

Itinerario del 29 aprile 2010

Itinerario del 29 aprile 2010

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29 aprile 2010

Dalla cittadina di Palenque, per raggiungere “Las Ruinas”, come le definiscono qui, bisogna percorrere una decina di kilometri.
Alle 8 sono già all’ingresso. Ci sono pochi turisti a quest’ora e il caldo è ancora sopportabile. Mi dicono che servono un paio d’ore per girare il sito. Sono ancora in sella, a motore acceso, che già una folla di “postulanti” mi circonda. C’è chi si offre di lavare e custodire la moto, ed esibisce tanto di cartellino con fotografia, chi mi vuol vendere paccottiglia, chi offre cambio di denaro e chi si offre come guida. Sono un po’ asfissianti, non c’è dubbio. “Prendo” la custodia della moto e per non avere sorprese, piuttosto frequenti ultimamente, pattuisco già il prezzo. 50 Pesos (4/5 dollari) compreso il lavaggio. Rifiuto le guide che sono molto care. Mi sono già documentato in rete su cosa vedere. In questi luoghi, specie quando ti trovi da solo, sembra sempre di star per entrare nell’arena. Sui due lati del percorso di avvicinamento alla biglietteria si sono appostati i venditori di souvenir, bibite, frutta, le guide, i ragazzetti con oggettini vari e tutti ti chiamano, ti mostrano la mercanzia, insistono e ti vengono attorno pressanti. Non potrei comunque comperare nulla, visto che sto sempre cercando di “eliminare” peso e volume dal carico. Resisto alle ultime guide che cercano di lusingarmi parlandomi in italiano ed abbassando il prezzo via via che diminuiscono le probabilità di concludere.
Finalmente passo oltre la barriera. Mi incammino lungo il sentiero che si inoltra nella jungla. La vegetazione infittisce ed i rumori della natura aumentano. Urla laceranti come sirene e grugniti possenti riempiono l’aria. Sono uccelli e scimmie che popolano la foresta. Piante dai fusti smisurati da cui pendono liane ed arbusti fioriti fiancheggiano il sentiero.
Attraverso un gruppo di piante dalle enormi foglie che sbarrano la strada ed il sentiero sbocca su un prato verde e ben curato, ai cui lati sorgono costruzioni possenti. Sono i palazzi e le piramidi dei Maya. Quanto ho letto su di loro e con che curiosità. Ora sono qui e davanti a me i resti di questa civiltà sulla cui storia controversa si è parlato meno che non della loro distruzione, ad opera dei famelici conquistadores. Mi sono sempre stupito della barbarie e della stupidità che hanno ispirato l’azione di questi eserciti di straccioni che hanno avidamente stuprato ed annientato interi popoli in nome del dio oro e sotto l’egida della cristianità.

Un po’ di storia?
Le strutture più vecchie risalgono al 600 d.C., ma il sito si pensa sia stato popolato fin dal periodo Pre-classico dei Maya. Al tempo dell’arrivo degli spagnoli, Palenque era tuttavia già abbandonata ed in rovina da molto tempo.
Fu la capitale dell’importante Stato di B’aakal, dell’età Classica Maya, il cui regnante più famoso fu K’inich Janaab’ Pakal.

Le costruzioni presenti nel sito:
La Piramide delle Iscrizioni è una costruzione di grandi dimensioni ed è attualmente in fase di restauro.
Il cosidetto Palacio è un complesso di edifici interconnessi, con portici e cortili, e con delle rappresentazioni di regnanti maya dei quali impressiona l’inconfondibile profilo del cranio, probabilmente ottenuto con la deformazione artificiale dello stesso in età postnatale.
Il Tempio del Teschio (Templo de la Calavera), il primo che si incontra, dove si può ammirare, tra l’altro, la scultura di un teschio.
Il Gruppo de Las Cruces, con vari templi dedicati al Sole. Tutti presentano una struttura piramidale che supporta in apice il tempio vero e proprio con all’interno alcuni bassorilievi. Quasi tutti ricavati su malte e quindi in condizioni di sfaldamento e degrado avanzato. Poche le sculture in pietra.
Di tutto il complesso, ciò che più affascina è il contesto. Sono i percorsi nella jungla, tracciati tra gli alberi che incombono sulla testa, mente attorno a te si sente pulsare la natura.

Per sera devo essere a Tuxtla, capitale dello stato del Chiapas. Sono 300 km da percorrere a medie bassissime. Devo partire al più presto.
Rientro in albergo, mi “doccio” e carico la moto. Controllo catena, olio e bulloni vari. Parto e vado subito a fare il pieno. Vedo che l’addetto al distributore osserva la moto con una strana espressione. Mi incuriosisco ed abbasso lo sguardo. La fiancata destra mi appare tutta sporca d’olio. Un lampo! Il tappo dell’olio, mi sono scordato di chiudere il tappo dell’olio. Lo avevo inserito in un anfratto tra marmitta e carter ed ora non c’è più. L’ho perso per strada. Fortunatamente ho percorso un tratto breve. Se avessi fatto il pieno ieri sera, come avevo pensato di fare, ora sarei in viaggio senza rendermi conto che sto perdendo olio. Tento di tappare con mezzi di fortuna ma non trovo nulla di adatto. Ritorno all’hotel seguendo le tracce percorse ma non trovo nulla. Mi fermo in un negozio di ricambi auto e recupero un tappo filettato che in qualche modo riesco ad avvitare ma senza riuscire a rendere ermetica la tenuta. Riparto, un po’ sconsolato, pensando di cercare un meccanico e risolvere in maniera più efficace. Arrivo al semaforo ed eccolo lì, il mio tappone con asticella. É lì a terra e mi sorride. Ed io a lui. Che sospiro di sollievo. Per una stupida dimenticanza ho rischiato di fondere.

Finalmente inizio la via del ritorno. Mi attende un’infinità di topas. Dopo 60 km incrocio la deviazione per Agua Azul, ne avevo sentito parlare. Non resisto e svolto a destra. Fortunatamente la deviazione è breve e ne vale la pena. Trovo due biglietterie, una municipale ed una federale. Pago naturalmente, ed entro nel parco. La vista dell’acqua chiara e delle cascate mi rinfresca lo spirito. Quanto vorrei tuffarmici così, vestito come sono. Invece resisto e dopo una mezz’oretta riprendo la strada verso Tuxtla Gutierrez.

Sto attraversando le terre zapatiste, teatro delle ribellioni storiche, oltre che di quelle recenti. Ci sono ancora i segni della guerriglia e mi fermo per fotografare i cartelloni che ancora campeggiano in qualche tratto di strada.
Inizia a piovere, tanto per cambiare, ma non mi fermo. Sto per raggiungere il traguardo dei 20000 km percorsi in questo viaggio. Tengo d’occhio il contachilometri e quando i numero arrivano a girare lo 0000 mi fermo, brindo con Lei, la mia Africa, e mi faccio pure una foto con l’autoscatto. Che soddisfazione, eh?

Arrivo a Tuxtla, telefono a Carlos che mi risponde dall’aeroporto di Città del Messico. Riesce a darmi nome ed indirizzo dell’hotel di un suo amico. Fermo un taxi e mi ci faccio portare. Naturalmente è pieno. In città è in corso una convention governativa e gli hotels sono tutti esauriti. Bella sfiga. Alle solite, sta per farsi buio. Il direttore dell’hotel mi da una mano e dopo qualche ricerca riesco a trovare posto.
Gli impiegati dell’hotel sono anche questa volta sgarbati e poco disponibili. A parte la povera gente che qui come altrove è sempre buona e gentile, il ceto medio continua a perdere punti. Spero di sbagliarmi però è troppa la differenza con quanto ho avuto modo di vedere e sentire negli ultimi 60 giorni. Qui, a mio avviso, conta solo il dio denaro ed io sono uno yankee……….


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