7 maggio 2010
Lo spettacolo della nave che lascia il porto, lasciandosi dietro una lunga scia di schiuma bianca ed il volo planato delle Fregate (uccelli appartenenti all’ordine dei pelecaniformi con hanno un’apertura alare di oltre 200 cm), perde ben presto i suoi spettatori. Il ponte comincia a farsi deserto. I sole tramonta e l’umidità della sera non tarda a farsi sentire. É aperta la caccia al giaciglio. Negli angoli più nascosti fanno la lora apparizione le prime coperte. Alle nove e mezza c’è già chi dorme tranquillo, steso sul pavimento, sopra ad una coperta che ha perso i colori di un tempo. Osservo le stelle. Siamo alla latitudine del Tropico del Cancro, che attraverseremo tra qualche ora. Da qui si distinguono nettamente la Stella Polare e parte della Costellazione della Croce del Sud. Acrux, la stella più luminosa, non appare alla vista.
Aspetto il più possibile e poi scendo. Il salone si è trasformato in dormitorio. La televisione tace, le luci sono soffuse e le persone presenti sono tutte in posizione orizzontale. Chi sopra ai sedili, chi sotto, nei corridoi e tra le poltrone. A molti sedili mancano i cuscini che sono stati smontati per creare i giacigli a terra. D’altra parte la gente deve pur dormire in qualche modo. Strano che una nave così, con un servizio giornaliero di questo tipo, non si sia dotata di spazi idonei, attrezzati a cuccette, se non proprio cabine. Mi appisolo ma non dormo molto. Mi alzo spesso e vado a prendere un po’ d’aria.
L’umidità ha già creato delle pozze d’acqua sul ponte. Controllo sul GPS la rotta e la distanza che ancora manca. Viaggiamo ad una velocità di crocera di 29 Km/ora. Arriveremo in orario, dopo 16 ore di traversata.
Alle 5,30, quando io dormirei ancora volentieri, comincia il traffico. La gente si sveglia e si alza. Va in bagno e chiacchiera come fosse giorno pieno. Loro sono a posto, hanno dormito ed ora chiedono di accendere la televisione. Evito di lasciarmi andare a commenti poco forbiti.
L’approdo è leggermente in ritardo. Riesco a fare tutti i controlli alla moto, prima che arrivi il mio turno.
Appena a terra c’è un posto di blocco militare. Alla classica domanda – “da donde viene?”- riesco a trattenere una legittima risposta spiritosa e me la cavo senza ispezione. Fa già caldo. La giacca l’ho legata sul bagaglio e viaggio con la sola protezione di sicurezza.
La cittadina di La Paz è fiorente, per il ricco turismo americano di cui si nota subito la presenza. Ci sono banche internazionali, hotel e ristoranti in abbondanza. Prelevo un po’ di dollari e prendo un caffè con pastina (3 dollari), poi riparto verso nord.
I primi 200 chilometri si possono riassumere cosi: “cactus”. Solo castus? Si, solo ed esclusivamente cactus. Ne ho contati diecimiliardicinquecentomilionicentosettantatremilaundici, uno più, uno meno. E poi, i successivi 150 Km? Cactus su rocce laviche e cactus su piroclasti. -Piroclasti?- Si, piroclasti litici accessori, litici accidentali e xenoliti. Piroclasti per tutti i gusti, insomma. Montagne di piroclasti, di bombe, blocchi, lapilli. Frane di piroclasti e su tutto….cactus!!!
Si sale lentamente tra spuntoni rocciosi di origine chiaramente vulcanica, neri ed affumicati. Il paesaggio è lunare (ma ci sono i cactus per riportarci sulla terra) finchè non appare tra le gole qualche scorcio di mare di un azzurro come solo gli occhi di un angelo potrebbero essere.
Dalla strada salgono folate di calore soffocante. Ci saranno almeno 50 gradi. Arrivo a puerto Escondito (non quello dell’altro giorno, ovviamente) e mi fiondo in un supermercato dove mi scolo un succo d’arancia ed un mezzo litro d’acqua fresca. A Puerto Escondido non c’è nulla, solo un marina.
25 km più avanti arrivo a Loreto, altro contro balneare americanizzato. Mi sa che ormai dovrò abituarmici. Mi si rivolgono tutti in inglese. Peccato, cominciavo a trovarmi così bene con lo spagnolo…………
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6 maggio 2010
Sto traversando il Mare di Cortes, a bordo del traghetto “Santa Marcela”. É la prima volta che navigo in Pacifico. La prossima sarà su una barca più piccola.
Avevo lasciato Guadalajara dopo averla attraversata con relativa facilità, lungo una sorta di periferica che però è piuttosto interna. Il traffico intenso era abbastanza fluido e sono sempre riuscito a mantenere la temperatura del motore a livelli bassi. Quando entro nelle città e comincio a fermarmi in fila a tutti i semafori, è sempre questa la preoccupazione più grande, la temperatura. Specialmente a queste latitudini, quando si arriva spesso oltre ai 40 gradi, può diventare un problema. La ventola entra in funzione ma contiene, non riduce. Per prudenza, quando mi fermo, spengo subito e riaccendo con il verde. La situazione peggiore è quando la fila si muove piano e si ferma continuamente. Sento la ventolina che parte con un sibilo leggero e osservo la lancetta che scende lentamente. Su e giù, su e giù……….. Non vedo l’ora di uscire dal traffico e lanciare la moto in velocità. Solo allora la temperatura scende a livelli tranquillizzanti.
Da Guadalajara a Mazatlan è quasi tutta autostrada. Come ieri, i caselli sono numerosi ed il costo spropositato. Solo così riesco però a tenere una media sufficiente a garantirmi l’arrivo al porto di Mazatlan per il primo pomeriggio. Ho consultato Internet per verificare orari e prezzi dei traghetti. Le notizie non sono chiare. Qualche sito pubblicizza servizi giornalieri, qualche altro a giorni alterni. L’orario probabile dovrebbe essere alle 17,00.
Alle 14,45 esco dall’autostrada, a 26 km da Mazatlan. Gli ultimi 26 km mi mangiano un’ora.
Arrivo al porto alle 15,40. Il traghetto parte alle 16,00!! A pelo, anzi no, con un’ora di margine. L’orario infatti è cambiato. Qui il fuso è diverso rispetto a Mexico City, è un’ora indietro e sono quindi le 14,40. Che c……ortuna.
Anche il prezzo del trasporto è una sorpresa positiva. Paga solo la moto. Sono 1.950,00 pesos, pari a circa 170 dollari. Non esistono cabine ma solo sedili tipo aereo (o pullman).
Sistemo la moto al primo livello e cerco il salone dei passeggeri. Quasi tutte le poltroncine sono occupate da persone sdraiate o da coperte stese su 3/4 sedili. Mi adeguo ed occupo un sedile per borsa serbatoio e zaino, un sedile per abbigliamento da moto che mi tolgo immediatamente eseguendo uno spogliarello tra la gente (e chi se ne frega) ed uno per il casco. Poi esco a godermi la manovra di partenza e l’ultimo sole che ancora scotta. Il volo di fregate ed altri volatili marini ci accompagna fino al tramonto. Sfruttano la dinamica che crea la prua della nave per farsi trasportare in alto e poi veleggiare senza batter le ali. Di tanto in tanto si tuffano in mare per ghermire una preda e poi riprendere il volo. Comincia a far freddo. Scendo nel salone per prendermi la giacca e quando risalgo la mia sedia non c’è più. Ovvio, ce ne sono così poche. Scendo nella stiva e mi sdraio sul sedile della moto, con le gambe stese ai lati del manubrio. Sto proprio bene e rapidamente mi addormento. Oggi non ho mangiato nulla, solo un caffè prima di partire. Non volevo perdere tempo.
Appena salito sul Ferry e notato un locale “simil cucina”, mi ci ero recato per metter qualcosa sotto ai denti. – No, troppo presto, la cucina apre alle 17,30 – , mi aveva detto la cuciniera. Beh, non importa, andrò più tardi, mi son detto. Quando ci torno sono le 19,40. – Troppo tardi, la cucina chiude alle 19,00 – recita a memoria la solita cuciniera. Poco male, da quello che vedo nei piatti non dev’essere stata una grande perdita. L’arrivo è previsto per le 8 di domattina. Sarò tra i primi a far colazione.
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5 maggio 2010
Ieri avevo studiato accuratamente l’itinerario per arrivare alle Piramidi senza passare per la metropoli di Mexico City. Oggi ho fatto la stessa cosa e dai paraggi di Teotihuacan, dove ho trascorso la notte, ho pianificato una rotta est-ovest lungo un anello che mi doveva mantenere ad una quarantina di km a nord, rispetto al centro città. Solitamente mi oriento con la carta e verifico la rotta con il sole ed evito così errori grossolani.
Stamattina, proprio prima di uscire dalla bellissima sala conferenze dell’hotel, dove aveva passato la notte la mia Africa riposando su un pavimento di moquette, mi è venuta la sciagurata idea di chiedere consiglio ad un cameriere dell’albergo. Mi sono così avviato verso il centro della città, distante una cinquantina di chilometri, con l’idea di intercettare una periferica che mi portasse verso ovest, prima di entrare nel traffico della City.
Avevo insolitamente posizionato il GPS, che solitamente tengo chiuso nella borsa ed uso solo per registrare la traccia, nella tasca trasparente della borsa da serbatoio. Da lì, il fedifrago mi confermava la validità del consiglio ricevuto dal cameriere. Quando ho realizzato che stavo per commettere un grosso errore, ero già stato fagocitato dalla corrente d’auto, camion ed autobus e trascinato senza possibilità di uscirne in un toboga mostruoso che mi ha condotto, mio malgrado, fino al cuore della città.
Ne sono uscito bene, dopo un’ora e mezza di ansia e tutto sommato contento di aver potuto sbirciare nelle viscere di questo mostro da 20 milioni di abitanti. La sua periferia è infinita e fa paura. Il centro è moderno ed il traffico scorre, contro ogni logica. A dire il vero questi sono giorni di festa e probabilmente non c’è il caos totale. Comunque me la sono cavata bene e relativamente presto.
Ho preso poi l’autostrada verso Guadalajara, una macchinetta mangiasoldi come se ne vedono poche. Ho speso 20 dollari di benzina ma almeno 70 di autostrada per fare 500 km. Il calcolo delle tariffe non ha criterio. Si trovano dei caselli ogni 20 o 30 o 50 km. Solita fila per pagare 5, 10 o 13 dollari per volta. E pensare che in sudamerica le moto non pagano!!!
La scelta tuttavia si è rivelata pagante (in tutti i sensi) e sono arrivato a coprire complessivamente 585 km che non avrei sicuramente percorso su strade normali.
Domattina spero di raggiungere la costa del pacifico e godere finalmente di qualche scorcio di panorama. Oggi, come ieri, il territorio che ho attraversato non era di alcun interesse paesaggistico. Il 90% è desertico e montagnoso, con arbusti e rovi. Le foto che allego al diario di oggi non sono mie.
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4 maggio 2010
Oggi prua su Teotihuacán, l’antica città Azteca.
Per evitare il caos di Città del Mexico ho preferito compiere un ampio giro, giungendo a Teotihuacan da Nord.
Ho perso la mattinata per arrivare e mi sono arrampicato sulle piramidi per tutto il pomeriggio. É davvero uno spettacolo meraviglioso. Dalla cima della Piramide del Sole si domina la pianura. Dalla cima della Piramide della Luna si apprezza la grandiosità del sito. Dopo tanto su e giù sotto un sole cocente, considerando anche i 70 giorni di sella, ho preferito fermarmi in zona. Ho trovato un hotel. Quando mi hanno detto che la moto l’avrebbero messa nella sala conferenze, mi sono commosso…………
Se interessa, ecco un po’ di storia.
Teotihuacán è il più grande sito archeologico precolombiano del Nord America.
La città è situata a circa 40 chilometri a nord-est di Città del Messico. La superficie del sito copre un’area di 82,66 chilometri quadrati. Fa parte del Patrimonio dell’umanità dell’UNESCO dal 1987.
Fu fondata e crebbe tra il II e il VII secolo d.C. e nel periodo di massimo splendore vi abitavano circa 200.000 persone. La città venne concepita secondo un disegno urbanistico che si espandeva intorno a un asse centrale, il Viale dei Morti, dominato dalle gigantesche moli delle Piramidi del Sole e della Luna.
Sorgeva in una valle fertile e all’epoca acquitrinosa, circondata da montagne ricche di giacimenti di ossidiana e minerali vari. Sull’origine della popolazione che ha saputo creare tanta maestosità urbanistica sono state fatte le più disparate ipotesi. Il mito attribuisce la costruzione delle piramidi agli Dei o ai giganti, mentre in realtà si ritiene che nella valle di Teotihuacán confluirono etnie differenti, dotate di intelligenza e fantasia che riunirono capacità e lavoro per creare una città-stato così potente da essere in grado di estendere la propria influenza fino alle lontane terre dei Maya.
L’edificio più imponente di Teotihuacán è la Piramide del Sole, costruita a quattro livelli sovrapposti su una base di circa 225 metri per lato e alta in origine 75 metri, compreso il tempio sulla sommità, ora scomparso (attualmente l’altezza eè di 64 metri). La Piramide era in origine ricoperta da stucco di colore rosso. Si ritiene che siano stati almeno tremila gli operai coinvolti nell’edificazione della piramide, per oltre trent’anni di lavoro. L’asse della piramide è orientato perfettamente in direzione est-ovest, ovvero nel senso del passaggio del sole nel cielo e la facciata principale della Piramide è orientata verso il punto in cui tramonta nel giorno del solstizio d’estate. Molto probabilmente questa costruzione simboleggia il centro dell’universo, con i quattro angoli che corrispondono ai quattro punti cardinali.
La Piramide della Luna si trova all’estremo nord del Viale dei Morti. Pur essendo di dimensioni inferiori alla Piramide del Sole, la cima risulta alla stessa altezza della piramide più grande in quanto sorge su un terreno più elevato. Dalla sua sommità la visione del Viale dei Morti, lungo più di 2 chilometri (chi dice 3, chi 4) e largo circa 45 metri, è superba. Sul Viale dei Morti, intervallato da numerose gradinate necessarie a vincere i dislivelli, si incontrano templi, altre strutture piramidali e resti di palazzi.
Nel lato sud del Viale dei Morti si trova la “Cittadella”, un complesso di quattro piattaforme riservate ai sacerdoti e ai governanti. La struttura piramidale del Tempio di Quetzalcóatl, il mitico sacerdote-sovrano rappresentato come il “Serpente Piumato”, è all’interno di un’area nascosta da una piattaforma aggiunta successivamente.
Il ritrovamento nell’area della Cittadella di numerosi scheletri di sacerdoti sacrificati, cosparsi di conchiglie e figurine d’argilla, con le mani legate sulla schiena e pezzi di giada nella bocca, ha confermato la pratica dei sacrifici umani a Teotihuacán.
Gli Atzechi non furono i costruttori di Teotihuacan ma essi scoprirono una città esistente ed in rovina già da 700 anni e se ne impossessarono.
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Alcune informazioni sulla conquista del Messico da parte dei “Conquistadores” e la conseguente distruzione della civiltà Atzeca.
Hernan Cortés partì da Cuba nel febbraio 1519, con 11 navi e 508 soldati, diretta verso la costa del Centro America. Giuntovi, Cortés fece bruciare le navi per eliminare qualsiasi tentativo di fuga dei suoi soldati (banditi!! ndr).
Questo piccolo esercito fu accolto con il favore dell’allora reggente, l’imperatore azteco Montezuma che riteneva i soldati inviati di Quetzalcoatl, una delle divinità del tempo. Cortés si procura degli interpreti ed inizia a dialogare con i capi dei popoli sottomessi da Montezuma, stringendo con essi alleanze.
Quando Cortés entrò a Tenochtitlan accolto con tutti gli onori da Montezuma, aveva già messo assieme un esercito di 3000 indios. Gli spagnoli presero il controllo della città con facilità in quanto l’imperatore obbediva a Cortés al punto da far cessare i sacrifici umani e persino di farsi battezzare.
L’occupazione di Tenochtitlan terminò in un bagno di sangue. Approfittando dell’assenza di Cortes dalla capitale, il suo luogotenente Pedro de Alvarado fece massacrare un gruppo di aztechi mentre celebravano un rito religioso. Il popolo si sollevò contro gli spagnoli, che si rifugiarono dentro al palazzo di Montezuma. Al suo ritorno Cortes non riuscì a capovolgere la situazione e gli spagnoli furono costretti a ritirarsi dalla città. In quella occasione, Montezuma fu ucciso.
Cortés riordinò l’esercito e marciò sulla città riconquistandola dopo 75 giorni di assedio, il 13 agosto 1521. Un anno dopo gli spagnoli presero il controllo dell’intero paese. L’imperatore Carlo V nominò Cortés suo governatore.
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Montezuma, cenni conoscitivi.
Montezuma II, erede di Ahuitzotl, era il sovrano della città di Tenochtitlán e tlatoani azteco.
Montezuma non era un guerriero ma piuttosto uno studioso e sacerdote. Secondo la leggenda lui non desiderava essere imperatore e dopo essere stato eletto, scomparve. Lo cercarono e fu ritrovato mentre faceva pulizia in un tempio.
Dopo avere assunto la carica, licenziò la maggior parte delle autorità e le rimpiazzò con i suoi ex-studenti. Scelse di vivere isolato ed elaborò un rituale che gli permetteva di vivere separato dalla gente comune. Riuscì tuttavia ad espandere il potere di Tenochtitlán su tutto il territorio circostante.
Nella primavera del 1519,quando Cortes sbarcò sulla costa, Montezuma gli mandò incontro un ambasciatore. Costui, quando incontrò lo spagnolo, pensò che assomigliasse al dio Quetzalcoatl e così lo trattò. Cortez intrapprese la sua avanzata su Teotihuacan e Montezuma cercò di fermarlo inviandogli regali e maghi ma a nulla servirono contro la brama di conquista e la cupidigia degli spagnoli attirati dalla visione dell’oro.
L’8 novembre 1519, Montezuma incontrò Hernán Cortés, che riteneva essere il dio Quetzalcoatl e lo ricevette nel palazzo di Axayacatl, con tutti i suoi uomini e 3.000 alleati indios. Cortés ordinò di por fine a tutti i sacrifici umani e rimpiazzò le immagini degli dei aztechi con icone cristiane. Montezuma accettò anche di essere battezzato, si dichiarò suddito del re Carlo I di Spagna e si sottomise a tutte le richieste degli spagnoli.
Durante un’assenza di Cortés, il suo vice comandante, Pedro de Alvarado, interruppe la celebrazione azteca di Toxcatl e uccise tra i 350 ed i 1000 personaggi più in vista delle classi nobili azteche, durante quello che fu chiamato “Il Massacro del Grande Tempio”. Il popolo si sollevò in rivolta e gli spagnoli fecero prigioniero Montezuma. Il 29 giugno 1520, nel tentativo di calmare la folla inferocita, Montezuma apparve sul balcone del suo palazzo, chiedendo alla sua gente di ritirarsi. Il popolo lo bersagliò di pietre e frecce. In tale occasione Montezuma rimase ucciso. Cortes sostenne che fosse stato colpito da una pietra ma studi recenti dimostrerebbero che venne forzato dai soldati a bere oro fuso. Un anno dopo gli spagnoli avevano il potere ed il controllo di tutto il suo regno.
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3 maggio 2010
Ho cominciato anch’io a misurare le distanze in termini di tempo, anzichè di chilometri. Il risultato è più attendibile. Il ragionamento tiene conto del percorso, se pianura o montagna, del fondo stradale, del traffico, del mezzo e delle condizioni del tempo. Così facendo riesco a programmare l’arrivo con buona approssimazione. Tanto, gira e rigira, la media non supera mai i 50 km/h.
Il percorso di questa mattina mi ha portato ad oltre 2.000 metri di quota, tra splendide pinete (miste a banani) che mi hanno regalato profumo di resina ma purtroppo anche l’acre odore del fumo degli incendi che riempiva i fondovalle. I “topes” mi hanno tormentato in continuazione, costringendomi a continue frenate. Quando ti avvicini ad un villaggio cominci a cercarli con lo sguardo. Li vedi da lontano (non sempre) e li studi mentre ti avvicini. Cerchi il punto più basso da dove attaccarli. Se non riesci a rallentare a tempo non ti resta che alzarti sulla sella e stringere le mani sulle manopole. In genere sono in gruppi di quattro ma spesso ce n’è qualcuno di anomalo e ti inganna. Anche la loro forma varia e quando ne infili una serie e pensi di aver capito, ti capita quello strano, alto 30 centimetri, che ti fa decollare. Ogni volta che ti rilassi o ti distrai te ne piazzano uno sotto alle ruote. Ma da dove li tirano fuori? Ci sono quelli federali, dipinti a righe gialle e segnalati con anticipo, quelli statali, dipinti si, dipinti no, con il segnale posto in corrispondenza del “tope” stesso (troppo tardi!), quelli municipali di forma e consistenza variabile, poco segnalati ed infine quelli autocostruiti dai residenti con ubicazione, forma e dimensioni assolutamente imprevedibili. Ce ne sono di cemento, di asfalto, di terra e di corda (una grossa gomena stesa trasversalmente alla strada). Ah, dimenticavo, ci sono anche quelli dell’esercito, fatti con striscie di copertoni e quelli della polizia, multipli e ravvicinati. Ce n’è, insomma, per tutti i gusti.
Avevo letto, in uno dei tanti diari scritti da visitatori di questa terra…… – “…..superi lentamente una macchina malconcia che in tempi più gloriosi probabilmente circolava in America e senti l’odore pesante del sudore del campesino che la guida (baffi e pancia di tutto rispetto, canottiera, con una birra in mano e il resto di un “six” sul sedile, la Virgen de Guadalupe tatuata sulla spalla, il rosario appeso allo specchietto, il cruscotto ricoperto di moquette color marrone-e-polvere……….” -.
No, nulla di tutto questo. A parte il popolo dei pick-up, che ho ampiamente descritto, io vedo solo macchinoni fuoristrada belli, lucenti e possenti. Al loro interno non ci si vede, perchè hanno tutti i vetri oscurati, ma non me lo immagino proprio il campesino in canottiera con baffi e pancia. Storie di altri tempi.
Sono rientrato nell’entroterra, precisamente ad Oaxaca (si pronuncia Auacha, chissà perchè?) per recarmi sul Monte Alban, noto per le sue rovine.
Quando sono arrivato in periferia della città ed ho letto il cartello indicatore, stavo scoppiando dal caldo ed il termometro della Honda era costantemente al massimo. Stavo per tirare dritto e dirigermi su Puebla che avrei comodamente raggiunto prima di notte. Poi ci ho ripensato ed ho preso la decisione giusta. Il Monte Alban meritava assolutamente una visita. Le rovine coprono un’estensione molto vasta di terreno e sono ben conservate. Si trovano ad un’altitudine di circa 1940 metri sul livello del mare.
Il sito comprende centinaia di terrazze artificiali e una dozzina di raggruppamenti di costruzioni piramidali che ricoprono la sommità e i fianchi della piccola catena montuosa.Anche le rovine delle vicine colline di Atzompa e di El Gallo a nord sono considerate parte integrante dell’antica città.
La città viene ritenuta una delle prime della Mesoamerica e la sua importanza consegue dal suo importante ruolo come centro socio-politico ed economico della civiltà zapoteca, ruolo che ricoprí per quasi un millennio. Nel periodo compreso tra il 100 a.C. ed il 200 d.C, Monte Albán divenne la capitale di uno stato espansionistico che dominò una parte importante dell’attuale territorio dello stato di Oaxaca.
Terminata la mia rapida visita, ho inforcato la sella per dirigermi su Puebla ma il buio mi ha colto prima che arrivassi e così ho ripiegato su Tehuachan.
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