11 maggio 2010: welcome to USA!
Eccomi negli USA. Benchè negli ultimi 100 km le caratteristiche ambientali avessero già cominciato ad assumere aspetti più gradevolmente ordinati, la differenza che si nota appena oltre la frontiera di Tijuana è lampante. Siamo in un altro mondo, sotto tutti i punti di vista.
É sempre difficile comprendere come due paesi confinanti i cui popoli, almeno nelle aree di confine, hanno necessariamente radici comuni o genetiche o storico/culturali, riescano ad essere così differenti tra loro in ambito sociale ed organizzativo. Avevamo da noi un esempio evidente nell’allora Yugoslavia (ed in tutto il blocco filosovietico), ma in quel caso le ragioni politiche erano evidenti. Qui ci troviamo di fronte a paesi potenzialmente liberi e democratici eppure il disallineamento è tale da stupire. Diventa pertanto evidente come possa diventare determinante l’educazione che una società riesce a dare ai propri cittadini che non sono potenzialmente più colti, più buoni o più intelligenti. E l’educazione si basa sulla serietà delle istituzioni, sul buon governo e soprattutto sulla rapidità e certezza della giustizia. Cosa peraltro di cui avremmo bisogno anche a casa nostra.
Non nego che, entratovi con molte aspettative, forse troppe, oggi non vedevo l’ora di lasciare il Messico. Per questo paese, per i suoi miti, le sue leggende, provavo una grande simpatia.
Pensavo al Messico e davanti agli occhi mi compariva l’immagine clichè del campesino addormentato sotto al sombrero, appoggiato alla casupola bianca di calce. L’immagine di una persona buona, povera ed indifesa. Rivedevo le tante versioni dei film del leggentario Zorro che difendeva i poveri dai soprusi dei ricchi. Ripercorrevo mentalmente le storiche vicende rivoluzionarie di Pancho Villa ed Emiliano Zapata, ribelli anelanti giustizia e libertà per il loro popolo. Pensavo alla lotta clandestina che ancora scuote questo paese, ai generali, al subcomandante Marcos, con un senso di inevitabile simpatia. Sempre, a torto o a ragione, si tende a parteggiare per la parte che appare più debole, che viene sopraffatta dal potere. Oggi molte di queste immagini mi appaiono sbiadite ed un po’ me ne dispiaccio. É la reazione inconscia a seguito di una delusione e spero sinceramente di potermi ricredere in futuro. Non c’è dubbio che valga la pena visitarlo, ma sicuramente le potenzialità sarebbero più alte, come lo erano le mie aspettative.
Tornando al viaggio………
Ancora ad Ensenada, questa mattina, mi ero attivato per stipulare una polizza assicurativa per la motocicletta. Mi avevano assicurato che ci sarebbero state molte agenzie disponibili, in prossimità della frontiera, ma per evitare di trovarmi in difficoltà all’ultimo momento, mi era parso saggio anticipare i tempi. L’impiegata della prima agenzia cui mi ero rivolto mi aveva chiesto i dati ma quando aveva capito che si trattava di una moto, si era dichiarata impossibilitata a rilasciare una polizza. Mi aveva consigliato di rivolgermi ad una banca. Anche questo tentativo era fallito. La banca non emetteva polizze temporanee per veicoli immatricolati fuori dal territorio statale. Avevo pertanto deciso di proseguire per avvicinarmi alla frontiera.
Giunto a Tijuana, passato un ponte, mi sono trovato fermo, in fila ad un semaforo. Ho tentato di avanzare tra le auto ma gli spazi erano tutti occupati da venditori ambulanti e postulanti di ogni tipo. Dopo un quarto d’ora di attesa, percorse poche decine di metri, mi sono reso conto di essermi incanalato nella coda che porta alle barriere doganali del confine di stato. Bene e male, mi son detto, non sono riuscito a stipulare la polizza in città, però sono già prossimo alla frontiera e lì troverò sicuramente un’agenzia specializzata.
Tra mille manovre riesco ad avanzare tra le auto e tra gli ambulanti. Ce ne sono anche di quelli che vendono polizze per auto del tipo gratta e vinci ma, interpellati, mi confermano che sono solo per auto e per messicani. Uno di loro mi assicura che in frontiera troverò l’ufficio che cerco.
Percorro la coda lentamente e mi accorgo che si allarga mostruosamente oltre le 30 file, forse di più. Un groviglio inestricabile. Ai bordi strada una sequela di chioschi che vendono di tutto, dai rinfreschi alle borse, alle magliette e gadget più disparati. Sembra di essere ad una fiera paesana.
Riesco a passare tra le auto ed i banchetti, sfiorando con le borse la mercanzia esposta. Un po’ mi vergogno a fare il furbetto ed ignorare la fila che prosegue per quasi un chilometro ma è diventata una questione di sopravvivenza.
Arrivo finalmente in prossimità dei semafori che regolamentano l’accesso ai caselli di transito e mi fermo. Preparo passaporto e documenti e mi accorgo solo in quel momento di essere già davanti alla dogana degli Stati Uniti d’America. E quella del Messico? Non ho timbrato l’uscita sul passaporto e non ho timbrato l’uscita sui documenti di esportazione temporanea della moto.
Nel frattempo, davanti a me, a pochi passi, la polizia arresta un uomo e lo trascina via ammanettato. Chiamo un agente che dapprima non mi bada ma dopo un po’ si avvicina e comincia a chiedermi della moto, del viaggio, di me. Dice di avermi visto sul giornale e si congratula con me per le mie imprese. Però, penso io, sono già famoso da questa parte dell’Oceano. Rispondo con un laconico “maybe” ed accetto i complimenti. Non gli è chiaro perchè io senta la necessità di avere il timbro d’uscita sui documenti ma comunque si informa da un collega. Tutto bene, dice, procedi pure e ti metteremo un timbro noi. Passo alla verifica del passaporto che richiede una decina di minuti. Nel frattempo si avvicinano diversi agenti che mi fanno mille domande inerenti il viaggio e si complimentano e mi sorridono. Mi vien restituito il passaporto e mi invitano a procedere. “Non hai bisogno di nulla, puoi andare” – mi dicono.
Esco così, nella maniera più semplice, da quella che ritenevo essere la frontiera più problematica, senza visto, senza timbri, senza ispezioni e senza riempire nessun modulo. Spero solo che non mi facciano storie in uscita, quando sarà il momento.
La strada che mi accoglie appena oltre confine è un fiume in piena ma è talmente larga che il traffico scorre veloce. Sono cinque corsie per ogni senso di marcia ed il fondo è perfetto. Anche la mia Honda apprezza ed il fruscio che emette scorrendo sul cemento rigato sembra il ron ron di un gattone che fa le fusa.
Arrivo in periferia di San Diego e mi fiondo all’uffico turistico per chiedere informazioni sull’assicurazione. La signora che mi riceve, 200 kg di donna, è molto gentile e mi fornisce le indicazioni richieste. Mi reco pertanto presso gli uffici di una compagnia di assicurazioni, faccio la mia brava fila per più di un’ora, sottopongo i documenti ed aspetto un’altra ora. Il verdetto finale è che non possono assicurare targhe straniere. É la solita storia. E adesso? Se mi ferma la Polizia mi sequestra la moto. Se mi succede qualcosa sono guai seri. Qui non scherzano di sicuro su queste cose. Chiedo altre informazioni al distributore ma non mi sono d’aiuto. Decido di procedere.
Attraverso San Diego sfiorando il porto ed il centro. L’esposizione di navi da guerra che vedo allineate lungo la banchina è impressionante. Ci dev’essere mezza Marina degli Stati Uniti.
Proseguo lungo la 15 e mi avvicino a Los Angeles da sud/est. Sono combattuto tra il desiderio di attraversare la mitica città e tutti i ragionamenti che mi sconsigliano di farlo. Quando mi fermo per prendere un attimo di respiro e mangiare qualcosa, sono ormai le 4 del pomeriggio. Guardo la cartina e punto il GPS su Santa Monica. Pur essendo già in periferia di Los Angeles, per raggiungere il punto dovrei percorrere 102 km di traffico cittadino. Su strade larghe, probabilmente scorrevoli ma se non fosse così? E poi domattina rifare tutti i 100 km all’inverso? No. Analizzo la situazione, i pro ed i contro e decido per il no. Ma come, sei a Los Angeles e non ci vai? E Hollywood, Malibù, Beverly Hills? No, no e no!!! Un po’ mi dispiace però. Rianalizzo la situazione. Punto primo, sono senza assicurazione. Secondo, le auto hanno sempre poco rispetto delle moto e si avvicinano pericolosamente. Dovrei triplicare l’attenzione e concentrarmi solo sulla strada, senza distrarmi. Terzo, le città moderne non mi interessano più di tanto, con un’unica eccezione: la Grande Mela. Quarto e non ultimo motivo (o scusa), la mia Africa anela gli spazi aperti e soffre di claustrofobia. Nelle file dei semafori le sale subito la febbre. In conclusione decido di proseguire. Avrò così un valido motivo per tornarci, con più calma e con altri mezzi e sarà bello ricordare questo passaggio.
Seguo la freeway 15 che mi porta rapidamente verso l’interno, in direzione di Las Vegas. Il sole sta tramontando su un paesaggio senza cactus, dove le strade sono scorrevoli e senza “topes” ed i paesi che scorrono ai lati della strada appaiono più familiari ed accoglienti. La temperatura scende, è giunto il momento di cercare rifugio per la notte………..
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Dicono di noi
Il Giornale di Vicenza – 11 maggio 2010
La strana coppia in motocicletta dal Sudamerica all’Alaska
Si chiamano Nini e Ugo, sono vicentini e colleghi di lavoro
e in testa hanno avuto un’idea meravigliosa… continua >
10 maggio 2010
625 chilometri di Patagonia in Baja California. Questa in sintesi la giornata di oggi. Vento e freddo come non mi capitava di sentire da quando ho lasciato la Ruta 40. I guanti pesanti non sono stati sufficienti a proteggermi, come pure il collare leggero. Mi son dovuto fermare per indossare il collare con pettorina pesante. Maglietta tecnica con manica lunga e maglia da cross sotto alla giacca, non sono servite ad evitarmi qualche brivido di freddo.
Il paesaggio ha presentato qualche variazione ma sempre su basi vulcaniche rivestite di cactus. Molti i posti di blocco militare che non so bene cosa cerchino. Sarà per impedire che si portino via i cactus?
Solo nella parte finale del mio viaggio odierno ho attraversato zone ad alta specializzazione agricola, come non avevo ancora visto in tutto il Mexico.
Ho anche rischiato di rimanere senza benzina. L’ultimo distributore che avevo visto, si trovava ad appena 100 km dalla partenza. Poi non ne ho più trovati!!! Dopo 320 km, già in riserva da un pezzo, mi sono fermato presso un ristorante dove vendevano privatamente anche la benzina. Mi è andata bene. Avevo messo nel serbatorio anche la scorta che mi portavo dietro da Puerto Cortes e che ormai da 3 litri si era ridotta a 2.
Il freddo mi dà molto fastidio, mi costringe ad indossare molti indumenti che legano i movimenti. Spero proprio che si tratti di un momento particolare. La stagione dovrebbe gia essere buona, così mi assicurano anche i locali, il caldo non dovrebbe tardare.
Ormai sono alle porte degli USA, domani dovrei attraversare San Diego. Stasera mi cucirò sulla giacca la penultima bandierina, quella a stelle e strisce.
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9 maggio 2010
Ieri sera ero arrivato a Santa Rosalia che il sole stava tramontando. Ero stato tentato di fermarmi lungo la strada in un paio di baiette dove avevo notato dei gruppi di turisti attendati o con i camper. Poi avevo deciso di proseguire per arrivare più avanti possibile, prima di notte.
L’albergo mi era sembrato carino, sebbene il personale avesse mancato, come sempre ultimamente, di disponibilità e cortesia. Avevo saltato il pranzo a causa del problema della moto e mi prefiguravo una buona cenetta nel ristorante dell’hotel, visto che il centro abitato distava alcuni chilometri. Una doccia per lavar via polvere e sudore, una sistematina al bagaglio ed eccomi pronto per la cena. PC sottobraccio, mi sono avviato verso il ristorante che nel frattempo aveva chiuso. Conclusione? Salto della cena. Ultimamente mi sta riuscendo così bene!
Oggi, dopo una ricca colazione, preparo tutto per bene, controllo la moto e poi parto. É ormai mezzogiorno ed il caldo si fa sentire. La tappa è di soli 220 km e mi porterà dal “Mar de Cortes”, lato orientale della penisola, alla costa del Pacifico.
Il tratto da attraversare è desertico con vulcani, sabbia e gli immancabili cactus. Comincia a soffiare un vento piuttosto forte, a raffiche, che mi costringe ad avanzare piegato sul fianco. Procedendo, l’aria si fa più fredda e dopo alcuni chilometri mi devo fermare per indossare la giacca che non porto più da oltre un mese. Spero che la temperatura risalga avvicinandomi all’oceano, ma mi sbaglio. Anche quando arrivo a livello del mare, il freddo è sempre uguale, come lo è il vento.
La cittadina di “Guerrero Negro” è decisamente brutta. Una sola strada centrale asfaltata, costeggiata da costruzioni basse e distanziate tra loro e le vie laterali sabbiose che si perdono in lontananza. La sensazione che ricevo è quella di una cittadina provvisoria, come fosse un insediamento di frontiera o una cittadella mineraria, destinata ad essere col tempo abbandonata.
La zona è tuttavia rinomata per le saline e per la presenza, nei mesi invernali, delle balene che qui vengono numerose a riprodursi.
Lungo la via principale, su alcune costruzioni, è riportata la scritta “hotel”, ma senza troppa convinzione. Giro su e giù un paio di volte e poi entro nel cortile dell’hotel El Morro. Fa freddo e la stanza è fredda in tutti sensi. Mi verrebbe da accendere il riscaldamento. Ad appena 200 km da dove ero partito solo 4 ore prima, la temperatura è crollata di almeno 10 gradi.
Domattina dovrò partire presto, per tentare di percorrere i 600 km che mi separano da Ensenada e farà freddo. Ispeziono le valige ed estraggo un maglietta con le maniche lunghe, il girocollo ed i guanti pesanti che avevo smesso già dalla Colombia.
A cena ci vado con una giacca a vento, che tengo indossata durante tutto il pasto. Spero sia solo un evento locale e che poi torni il caldo. Chissà come sarà più a nord……….
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8 maggio 2010
Lascio Loreto a mezzogiorno. Devo percorrere solo 200 km per arrivare a Santa Rosalia, ultimo paese sulla costa, prima che la strada si inerpichi sulle montagne per attraversare la penisola e sboccare dall’altra parte, sul Pacifico, altri 200 km più avanti.
Esco dal paese ma mi sorge il dubbio se ci siano o meno dei distributori di benzina tra Loreto e ma mia meta. Accosto e chiedo ad un locale che mi conferma l’assenza di stazioni di servizio. Inverto la direzione e rientro in paese. Riparto.
Ho delle percezioni strane, mi par di sentire una leggerissima anomalia nel suono di fondo del motore, o forse del telaio. Compio qualche evoluzione zigzagando sulla larghezza della carreggiata e colgo un rumorino, forse una leggera vibrazione. Rallento, accelero, freno. Nulla. Riprendo la mia corsa che nel frattempo mi porta fuori dal paese, all’attacco delle prime salitine. Eppure c’è qualcosa che non mi convince, sembra quasi che la ruota posteriore sia sbilanciata. Già quella davanti balla da tempo. Il copertone non rimane calzato bene ed il rotolamento non è regolare. L’ho già fatta rimettere in sesto tre volte ma evidentemente devo solo cambiarlo. Ormai mi ha già fatto percorrere 14.500 km ed ha fatto un buon lavoro. Con altri 2.000 sarò a Reno, in Nevada, dove penso di procedere con il cambio delle gomme e quello di catena, corona e pignone. Ho parlato di questo proprio ieri sera con Miriano, che mi aspetta a casa sua, tra una decina di giorni. Qui in Messico inutile tentare.
Ancora una vibrazione, sembra la catena. Eppure l’ho appena controllata prima di partire. Mi fermo, scendo, controllo la catena che sembra a posto. Riparto. Un rumore strano, di fondo, non mi tranquillizza. Dopo 100 metri mi rifermo su uno spiazzo. Ispeziono nuovamente ruote e catena. Sulla catena, vicino al carter che copre il pignone, scopro una striscia di gomma o di plastica penzolante, che si appoggia sulla catena. Sarà quella la fonte del rumore, penso, il paracatena si è consumato fino a rompersi in due troconi e quello inferiore penzola sulla catena e di tanto in tanto provoca dei rumori o dei colpi strani. Decido di tagliare la parte inferiore, per evitare che si stacchi completamente e finisca nella corona, facendo uscire la catena dalla sede. Riavvio la moto e contento di aver individuato il problema, riprendo la corsa. Un rumore nuovo, molto forte, associato ad una vibrazione che percepisco tra i piedi, mi raggela. Fermo nuovamente la moto a bordo strada. La alzo sul cavalletto centrale, cosa che richiede più tentativi ed un grande sforzo a causa del carico sul retrotreno. Ripasso le maglie della catena una ad una, più volte e testo la stabilità della ruota. Sembra tutto a posto, eppure………… Si ferma un pick up con alcune persone sul cassone. Ci parliamo due minuti e poi io riparto finchè loro rimangono ad osservarmi. Percorro appena 100 metri e dalla base del motore, ormai inequivocabile segno di rottura, sale una raffica di rumori e percepisco dei colpi. Giro immediatamente la moto e torno a fianco del pick up. Sono piuttosto angosciato e chiedo, quasi senza speranza, se mi sanno indicare dove trovare un meccanico. Naturalmente oggi è sabato. Se, come credo, si tratta di un ingranaggio del cambio, la mia corsa finisce oggi qui, nel sud della Baja Clifornia, a mezzogiorno e trenta minuti. Scoraggiato, ascolto le indicazioni ma percepisco che deve trattarsi di un praticone, più che di un meccanico. Tuttavia non ho altra scelta. Sono appena fuori dal paese e tento di rientrarvi. Vado piano ma i rumori cominciano ad aumentare. Di tanto in tanto un colpo più forte accompagnato da un senso di instabilità della moto, come se da dentro qualcosa sbattesse sulle pareti del carter. Ecco le prime case. Mi hanno detto di arrivare all’altezza del primo “tope”, che lì c’è una chiesa e poi di girare a fianco dell’arroyo per due quadre e poi, all’esquina, girare nuovamente all’ischierda. Ma sono sicuro che sto per fare la cosa giusta? Mi sto avviando su uno sterrato polveroso, in mezzo ad una baraccopoli di catapecchie, con la moto che ormai strepita e trema ad ogni giro di ruota. Procedo lentamente e la temperatura sale. Mi fermo per chiedere informazioni. Nessuno sa dirmi nulla. Sono indeciso, proseguo o torno indietro? Sto già pensando a come recuperare la moto per spedirla a casa. Tanto è chiaro che ormai è finita, da qui non riuscirò mai a ripartire. Finalmente trovo un passante che mi indica con sicurezza l’abitazione del “taller”. Ci arrivo, al fondo di una discesa polverosa, con la moto che ormai geme e si sconquassa. Vado sulla porta di casa. Nessuno mi bada. Due donne continuano a parlare tra loro e mi viene il dubbio che non mi abbiano visto. Eppure sono lì, a 50 centimetri da loro, vestito che sembro un marziano, con il casco in mano. Ma si chiederanno, perdiana, chi cavolo sono e cosa ci sto a fare lì, a casa loro, o no? Dopo un po’ spunta un signore che sembra stia per andarsene. Poi mi parla. Allora esisto, mi hanno visto, evviva!!!
“Si – mi dice – io un tempo facevo il meccanico, ma ora ho smesso per mancanza di lavoro”. Forse sta leggendo lo sconforto sul mio volto ed accetta di dare un’occhiata alla moto. Anche per lui è il cambio, la catena è a posto, la ruota anche. “Io ho cessato l’attività – continua – ma c’è mio cognato che mi faceva da aiutante, che invece pratica ancora. Se ti va, ti accompagno da lui”. Sale in auto e si avvia. Lo seguo ma dopo pochi metri non me la sento, tali e tanti sono i rumori ed i colpi che salgono dalla scatola del cambio. Eppure le marce entrano bene. Mi fermo appena arriviamo all’asfalto e non intendo più procedere oltre. “Dai – mi dice – è qui vicino, ormai siamo arrivati!”. Altri 300 metri di sofferenza, un incrocio da attraversare a passo d’uomo e ci siamo. Non vedo nessuna officina! “Ma qui – mi rassicura l’ex meccanico – è questa l’officina, mettila qui la moto”. E mi indica una spazio di due metri per tre, a bordo strada, compreso tra un pick up senza cassone e chiaramente in disarmo, ed un’altro, sempre sfasciato, con i cerchi che ormai si sono compenetrati nel terreno ed il cui cassone funge da tempo da immondezzaio per i passanti del quartiere. Scoraggiato mi guardo attorno. La vita continua normalmente, nessuno si cura di me, sono impotente e senza speranza. É sabato, il sole picchia verticale sulla testa e non rimane che tentare. Solleviamo la moto sul cavalletto. Accendo ed inserisco la marcia. Il cambio lavora bene. Allento la leva della frizione e la ruota posteriore inizia a girare, sospesa nell’aria, ma il suo movimento appare ondivago, più di quanto avessi osservato solo quindici minuti prima. La catena pure, presenta un movimento ondeggiante. “Ecco – dice l’ex aiutante meccanico – è senz’altro la catena, si è deformata e batte sul carter”. “Ma si trova qui una catena nuova di questo tipo?” – chiedo senza troppe illusioni. “No, – mi risponde – bisogna ordinarla negli States e ci vorranno almeno 2 settimane prima che arrivi”. “Io – dice – posso solo togliere questa, pulirla bene ed ingrassarla, per vedere se il movimento migliora”. “Ok, procediamo allora” – dico io senza tanta convinzione ed ormai rassegnato.
Il meccanico non ha nemmeno la chiave inglese necessaria a smontare la ruota. Va e viene da una casupola che sarà probabilmente il suo deposito attrezzi ma la chiave più grande di cui dispone è una 20. Il dado del mozzo è un 24. Io nella mia borsa ho una chiave del 24, nuova, acquistata prorio alla vigilia della partenza, per un eventuale smontaggio della ruota. Bene, possiamo procedere con l’operazione. Viene estratto il perno, la ruota si stacca e come esce dalla sua sede ruzzolano nella polvere numerose biglie lucenti. Il cuscinetto sinistro appare spappolato. Ecco il motivo del rotolamento ondivago della ruota, ecco perchè la catena appare torta, ecco perchè dalla scatola del pignone provenivano colpi e rumori terrificanti. Fosse davvero questo il motivo, allora ci sarebbe speranza di risolvere il problema con relativa semplicità. “Si – mi conferma il ventiquattrenne meccanico – in tre giorni si dovrebbe riuscire a farsi mandare da La Paz i cuscinetti nuovi. Comunque tento di vedere anche qui, in paese, non si sa mai” – mi dice, e se ne parte alla ricerca. Torna quasi subito per chiedermi un finanziamento. Lui non ha una lira, anzi un peso, per comperare nulla.
Rimane assente per un’oretta ma quando torna il suo volto è sorridente.
Stringe in mano l’unico cuscinetto che esiste nel raggio di 200 km ed è quello giusto. Non mi par vero, sorrido, dentro di me e già mi rivedo in sella. Sono ormai le 17 quando faccio il giro di prova. I rumori sono spariti. Terminiamo di registrare la catena, spurghiamo i freni e ripongo gli attrezzi nella borsa. Alle 18 pago il conto di 30 pesos e ne aggiungo altri 10 di mancia, poi finalmente riparto. La mia corsa verso il Grande Nord è ripresa. Aspettami Alaska!!!!!!!!!!!!
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