Buona Pasqua
Cari amici, grazie per i vostri messaggi di auguri: anche io e Nini auguriamo a tutti voi Buona Pasqua!
Purtroppo non sempre riusciamo a trovare la connessione a internet e così a volte passa qualche giorno prima di poter aggiornare il sito. Ma voi continuate a seguirci!!!!!
Per ora abbiamo aggiunto video, itinerari e foto degli ultimi giorni di marzo: li potete vedere entrando nelle singole categorie.
Un abbraccione e a presto,
Ugo e Nini
3 aprile 2010
Abbiamo dormito, senza saperlo, a due passi dal porto più famoso al mondo (così ci viene detto e lo riporto senza previa verifica) per la pesca alle acciughe. La flotta di pescherecci alla fonda è infatti di considerevoli dimensiomi.
Riprendiamo la strada per il nord, dopo pochi minuti scorgiamo, fermi ad un distributore di benzina, i nostri due nuovi amici colombiani. Si erano fermati prima ieri sera ed avevano montato la tendina in un’area di servizio. Paragonata con il nostro 3 stelle, probabilmente la tenda sarebbe stata una soluzione migliore anche per noi.
Ci fermiamo per salutarli e bere un caffè con loro. Si decide di proseguire assieme e così facciamo per diverse ore. Lungo la via incrociamo decine di pattuglie di polizia, soprattutto prima e dopo i paesi. Qualcuna fa segno di fermarci ma noi salutiamo cortesemente e tiriamo diritto. Per fortuna non succede nulla.
Dopo alcune ore di viaggio, ci rifermiamo per il rifornire le moto. I nostri amici sono pronti per ripartire ma Nini sta fumando una sigaretta. Concordiamo che loro proseguiranno, viaggiando lentamente e noi li raggiungeremo per strada.
Partiamo con un po’ di ritardo. Ci fermiamo presso una banca per cambiare dei dollari e poi via, all’inseguimento.
Mancano ancora 60 kilometri per Chiclayo, la meta concordata, quando la KTM di Nini emette all’improvviso una nuvola di fumo bianco e si spegne. Il problema appare subito preoccupante. Tentiamo con ogni mezzo di farla ripartire ma non dà segni di vita. Ah, queste moto moderne!!!!
Nella mia sacca da “Eta Beta” non manca certo una corda di traino. Agganciamo il cavo e tentiamo di ripartire. Il primo tentativo appare difficoltoso e piuttosto rischioso. Sulla strada transitano dei missili. Le moto sono cariche e devo rimanere sulla banchina piena di buche.
Appena prendiamo velocità, Nini inserisce la quarta e la moto sputacchia, strattona, ma poi si accende. Sgancio la corda e ripartiamo.
Percorsi quasi tutti i 60 chilometri che ci separano dalla città e dall’appuntamento con i colombiani, la moto si ferma nuovamente. E questa volta non c’e’ nulla da fare. Il radiatore della KTM è vuoto. Aggiungiamo dell’acqua, visto che nei numerosi distributori che vediamo in zona, il liquido refrigerante non sanno nemmeno cos’è.
L’acqua entra nel radiatore ed esce dai giunti della marmitta. Quando Nini fa girare il motore, che non si accende, dalla marmitta escono spruzzi d’acqua per 2 o 3 metri. Lo riaggancio al cavo di traino e lo trascino fin dove ci hanno detto che dovrebbe esserci un mecccanico.
La bottega c’è, il meccanico no. É logicamente sabato pomeriggio e come ogni buon sabato di vigilia, promette che domani sarà Pasqua. Per tutto il giorno!!! Guai ad arrendersi. Trasciniamo la moto di Nini all’interno di un “lavado”, dove lui approfitta per fare pulizia ed io parto alla ricerca di un fantomatico meccanico aperto la vigilia di Pasqua.
Chiedendo e con molta fortuna, mi forniscono delle indicazioni. Contattato telefonicamente, il meccanico mi invia un tuk, tuk che mi conduca fin da lui. Prendo accordi e poi torno da Nini per rimorchiarlo.
Un poliziotto in motoretta, che mi aveva notato a bordo strada, mi assiste in tutta l’operazione e mi scorta avanti e indietro, fermando il traffico agli incroci. Che bello, ci sono anche i poliziotti ok! Questo insiste per darmi il suo cellulare. Si chiama Avellaneda, come una certa strada di Cordenons dove vive Romano, il mio consuocero. Ciao Romano, poi ti racconterò tutto nei dettagli!!!!
Il meccanico dispone di uno spazio. Chiamarla officina mi sembrerebbe di esagerare. Insiste che il problema dipende dall’acqua del lavaggio (Nini ha appena fatto lavare la moto) che, in pressione, sarebbe entrata nel motore. Semo a posto!
Inizia a smontare ed io vado alla ricerca di una sistemazione per la notte. Mi riscatto, rispetto alla notte precedente e trovo un 3 stelle vero, con tanto di piscina.
Quando torno da Nini, il motore della KTM è già parzialmente dentro un catino. Il termostato appare parzialmente fuso e le candele cominciano già a far la ruggine. Che ci sia un problema?
Beh, non bisogna drammatizzare. Domani è Pasqua e sicuramente tutto si risolverà, l’Equador ci aspetta.
Download itinerario del 3 aprile 2010 >> (per visualizzare il tour è necessario Google Earth)
2 aprile 2010
Stamattina abbiamo reclutato un taxista e ci siamo fatti portare a visitare Lima. Pensavo di trovare una città confusionaria, in disordine, con vecchi palazzi ingrigiti dal tempo. Abbiamo visto una Lima diversa. Oggi è Venerdì Santo ed anche per questo il traffico era ridotto al minimo.
La città è abbastanza moderna, con dei bei quartieri dalle strade larghe. Anche il centro è in ordine, pulito e poco chiassoso.Un giretto in centro, nelle vie principali, e poi al mercato dell’Artisania dove comperiamo delle piccole zucche la cui superficie è finemente incisa da artisti di una provincia dell’interno. Non so come e se riusciremo a portare a casa intere queste piccole opere d’arte. Per ora sono sistemate dentro gli zaini, poi sarà opportuno riporle all’interno delle valigie in alluminio, nelle quali, pian piano, si stanno liberando degli spazi.
Ci stiamo infatti liberando degli indumenti invernali che ci eravamo portati appresso in funzione delle basse temperature che avremmo potuto incontrare in Patagonia prima ed alle alte quote degli altopiani di Bolivia e Perù.
In realtà, salvo qualche breve episodio che ci ha costretto a guidare di notte, non abbiamo mai avuto grossi problemi con il freddo, a parte le mani.
Ora il clima è decisamente cambiato. Ci si veste molto leggeri ed ancora si soffre per il forte caldo. Sotto la tuta da moto indossiamo le protezioni e sotto a queste solamente una maglietta tecnica, per evitare che le protezioni si “incollino” alla pelle. Finchè si corre si sta bene, quando si rallenta o ci fermiamo, allora in pochi minuti si comincia a sudare. E farà sempre più caldo.
Rientrimo all’hotel e mi diletto a riprendere fotograficamente alcuni esempi delle difese anti “ladrones” che circondano le abitazioni.
A mezzogiorno partiamo con le moto. Fuori Lima la classica periferia infinita, fatta di quartieri poveri e baraccopoli fatiscenti. Per quaranta kilometri solamente baracche di lamiera, di paglia, di fango.
Tutto procede al meglio e corriamo spediti sulla Panamericana che a volte attraversa i paesi, ingorgandosi, altre volte si srotola nel nulla su 4 maglifiche corsie. Va tutto bene, fintantochè il destino non ci fa incrociare una pattuglia di poliziotti in attesa di polli da spennare. A nulla valgono le spiegazioni. Ci estorcono 200 Sol che si infilano direttamente in tasca e ripartiamo.
Il Perù ci ripresenta la sua faccia desertica. Dico desertica non per dire brulla e disabitata ma veramente deserta, come nel Sahara. Non lo sapevo e non me lo aspettavo.
Ormai sono più di mille chilometri di costa ed è sempre deserto. In questo tratto però c’è anche la sabbia, con le dune che arrivano ad invadere la carreggiata ed il vento che ti scaglia punte aguzze sul volto.
Ancora una volta arriviamo di notte perchè le distanze tra un paese per possibilità di ricezione alberghiera e quello successivo sono sempre notevoli. O ci si ferma molto presto, oppure si rischia di non arrivare in tempo alla località successiva.
Un’ora prima del tramonto sorpassiamo una Kawasaki con 2 persone a bordo. Si accodano e procediamo di conserva per una ventina di Km. Poi ci fermiamo per il rifornimento di benzina e loro con noi. Sono una coppia di colombiani che stanno viaggiando da gennaio attraverso tutto il Sud America. Dicono di averci visti ad Ushuaia. Sono molto simpatici. In questo momento stava guidando lei, Andrea. Considerando il carico e la presenza del passeggero, dev’essere proprio brava lei. Credo che li ritroveremo ancora, prima di arrivare a Bogotà.
Viaggiamo per un’altra ora e mezza con il buio. Il traffico, la notte, diventa un nemico molto pericoloso. I camion che provengono dal lato opposto ti abbagliano, tutti!! Quando invece li superi, ti abbagliano perchà sono curiosi. Le visiere dei caschi sono impolverate e la luce si rifrange disturbando la visuale. É necessario procedere senza la protezione della visiera e la sabbia portata dal vento ti sferza con violenza il volto. Ogni volta mi riprometto di non viaggiare di notte ma poi ci ricasco.
Troviamo un albergo. Tre stelle, c’è scritto fuori. Di queste almeno 2 sono sicuramente fasulle.
Per tutta la notte schiamazzi e clacson di auto e tuk tuk. A loro proprio piace suonare il clakson e fino alle sei di mattina non smettono.
Domani punteremo ancora verso nord, verso la frontiere con l’Equador. Stanotte cucirò sulla casacca un’altra bandierina……………
Download itinerario del 2 aprile 2010 >> (per visualizzare il tour è necessario Google Earth)
1 aprile 2010
Ci siamo lasciati alle spalle l’Hotel Cantayo di Nazca con un po’ di dispiacere.
Eravamo rimasti per 2 giorni di riposo e pace. Nulla di meglio da chiedere e tutte le risposte ci sono state date.
Questa mattina abbiamo fatto le cose con calma. Sveglia comoda, ottima colazione, manutenzione della moto e caccia videografica al “Colibri’ Coda Lunga”.
Piccolo, grazioso e scattante, l’ho colto proprio di sfuggita, dopo un lungo appostamento. Ha un volo straordinario il piccoletto, sembra un calabrone. Arriva sulla siepe fiorita, si posiziona in overing a lato del fiore ed inserisce il suo beccuccio proprio come farebbe un’ape. Il tempo di individuarlo e puntare la videocamera e già non c’è più. Si sposta con la velocità tipica degli insetti. Se ne sente il ronzio. Il frullo delle sue ali è talmente rapido da renderle invisibili. Va e viene, ma non si ferma che un attimo e già è altrove.
La strada è polverosa ed attraversiamo la città confusi tra camion e tuk tuk che sfiorano i banchi del mercato affumicando la merce esposta con fumi al nero di seppia, al ritmo dei clacson più strani.
Imbocchiamo la Panamericana che ci consente finalmente di tenere una buona media. Il fondo stradale è perfetto. A parte il traffico molto intenso e l’attraversamento problematico di tutti i centri abitati, il viaggio procede spedito e bene.
Due ore di pieno deserto e dopo una curva, inaspettato, appare lo specchio lucente dell’ Oceano Pacifico. Le sue onde si frangono sulla spiaggia, lanciando in aria una nebbiolina sottile. Dal mare alle Ande è tutto deserto. Mi ricorda il Sinai. Colline brulle e dune di sabbia, sterile e privo di forme di vita evidenti.
Solo una stretta fascia, a cavallo della strada che stiamo percorrendo, è relativamente verde, con tratti di cultura intensiva. É così diverso qui da quell’ambiente che ci eravamo abituati a vedere sugli altopiani. Ora mi è chiara la scelta degli antichi Inca di spingersi verso l’interno, affrontando altezze vertiginose con freddo e fatica.
Le baie sono battute dal vento e la sabbia giunge fino alla strada su cui gioca disegnando spirali ed annebbiando la vista.
Arriviamo a Lima dopo il tramonto e grazie alle precise indicazioni di Enzo non abbiamo difficoltà a trovare l’albergo.
Il contachilometri registra i 13.000 percorsi.
Le strade sono invase dal traffico e presidiate dalle forze dell’ordine. Il quartiere di San Isidro è moderno e pulito. Le case sono circondate da alte mura, difese da filo spinato. Le cancellate esterne ed il cancelletto in ferro che separa il piano superiore dell’hotel, a metà scala, sono eloquenti. Sono cose già viste in città come Caracas, Rio, Nairobi.
Sarà necessaria la massima attenzione domani, quando attraverseremo la città. Carichi come siamo, attiriamo l’attenzione e gli sguardi golosi di chi non ha nulla e nulla da perdere.
Stasera pianificheremo le ultime tappe che ci dovrebbero condurre al confine con l’Equador.
Download itinerario del 1 aprile 2010 >> (per visualizzare il tour è necessario Google Earth)
31 marzo 2010
Siamo a Nazca, ospiti di un bellissimo hotel sulla cui porta sta scritto “un’oasi di pace”. Naturalmente il proprietario è un italiano. Precisamente di Padova.
Enzo è approdato in Perù 10 anni fa, seguendo la sua curiosità e rovistando tra le pietre di ICA. Col tempo ha rilevato il rudere di una ex fazenda in rovina ed ha realizzato questo piccolo paradiso.
L’hotel, oltre che essere esteticamente gradevole, con i suoi ampi porticati, i vasti saloni, la bella e fornita biblioteca, è anche dotato di ogni comfort, dalla SPA alla palestra, alla piscina, maneggio, stalle e recinti per gli animali più strani, autoctoni o di importazione. Vedo struzzi, tacchini, caprioli, mucche e cavalli.
Oggi qui ho visto con emozione, per la prima volta nella mia vita, dei colibrì liberi che suggevano il polline dei fiori delle siepi.
L’azienda è circondata da 12 ettari di terreno sui quali ha ricreato ambienti tipici e piantato alberi di rara bellezza e cactus recuperati in varie aree della regione. Qui coltiva, con tecniche rigorosamente biologiche (ci tiene a dirlo), quanto necessario per la cucina dei suoi ospiti.
Il proprietario è persona squisita, cultore di filosofie orientali, dedito alle pratiche fisiche e mentali di chi cura la mente e cerca dentro se stesso. Profondo conoscitore della storia e della cultura degli antichi abitanti del Perù, ci fornisce preziose indicazioni per visitare luoghi, permettendoci di arricchire il nostro viaggio.
Ottimo cuoco, cura personalmente ogni particolare, dall’approvvigionamento delle vivande alla cottura di specialità locali ed internazionali. La pasta che abbiamo mangiato oggi, dopo 40 giorni di astinenza, era sublime.
La sua gentilezza ed ospitalità ci hanno convinto a rimanere un giorno più del previsto. Sarà un giorno di relax e, ne sono sicuro, ne sarà valsa la pena.
Stamattina molto presto vengono a prendere per portarci all’aeroporto di Nazca. Andiamo a vedere dall’alto le misteriose “Linee di Nazca”, oggetto da decenni di studi da parte di esperti di tutto il mondo che hanno elaborato le ipotesi più disparate.
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Alle 8,30 decolliamo su un piccolo Cessna a 4 posti. Il volo dura 20 minuti scarsi ma consente di sorvolare la piana che contiene “Le Linee”.
Il terreno è arido e di colore uniforme. Appena decollati si sale a quota 240 piedi. Siamo subito sul deserto. L’attenzione viene attratta da alcune linee che per la loro inconsueta regolarità appaiono in contrasto con il dedalo di incisioni create dall’acqua sul terreno.
In un primo momento mi vien a pensare ad un effetto dovuto alla suggestione, ma il pilota mi assicura che sono “già alcune delle Linee”, anche se non catalogate tra quelle di primaria importanza dal punto di vista turistico.
Lo scopo del volo è infatti quello di sorvolare le figure più note e rappresentative.
Riusciamo a distinguere nitidamente, una dopo l’altra, una dozzina di soggetti.
Il cielo coperto e la luce diffusa non consentono lo scatto di fotografie nitide. Meglio così, ci sono già talmente tanti documenti da poter consultare che non vale la pena di eseguire foto mediocri e rischiare di perdere le immagini in diretta. Sono così suggestive che rimarranno per sempre incise nella mia memoria.
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Informazioni
Le “Linee di Nazca” sono definite come geoglifi, ovvero linee tracciate sul terreno. Si trovano nell’arido deserto di Nazca, posto tra le città di Nazca e di Palpa, nel Perù meridionale.
Sono stati individuati e catalogati oltre 800 disegni e più di 10.000 linee. I disegni più conosciuti includono i profili stilizzati di vari animali, tra i quali la balena, il pappagallo, il colibrì, il condor ed un enorme ragno lungo circa 200 metri.
Si ritiene che i geoglifi siano opera della Civiltà Nazca, fiorita tra il 300 a.C. ed il 500 d.C.
Le Linee risultano evidenti in quanto sono state rimosse le pietre contenenti ossidi di ferro dalla superficie del deserto, evidenziando il contrasto con il pietrisco sottostante, di tonalità più chiara. É opinione comune che le rappresentazioni siano state eseguite in due epoche distinte, prima sarebbe avvenuta la creazione dei disegni stilizzati e successivamente la superposizione delle figure geometriche. La datazione è tuttavia incerta, non potendosi applicare al materiale inorganico utilizzato nella costruzione il metodo di datazione a mezzo del Carbonio 14.
Alcuni studiosi sostengono che la vicina Cahuachi, cittadella mistico-cerimoniale, sarebbe la patria di origine del popolo dei costruttori.
Benchè già qualche accenno alle Linee sia reperibile su documenti storici datati 1547, ad opera dello spagnolo Pedro Cieza de León, bisogna aspettare l’avvento dei voli di linea che consentiranno, solamente e casualmente, la scoperta nel 1927.
Le Linee nel 1939 furono oggetto di studio da parte di un archeologo statunitense che si dedicò al loro studio, fermandosi a Nazca per oltre 8 anni.
Nel 1947 Hans Horkheimer elaborò la teoria che queste Linee rappresentassero il percorso seguito dagli antichi abitanti nel corso di cerimonie rituali.
Infine la studiosa Maria Reiche, archeologa tedesca, sostenne che le Linee rappresentassero un calendario astronomico. Identificò la figura della Scimmia con l’Orsa Maggiore, il Delfino e il Ragno con la Costellazione di Orione e così via.
Secondo la studiosa, l’opera non poteva che essere frutto del contributo di veri tecnici dell’epoca, equivalenti come capacità ai nostri ingegneri moderni.
Questa teoria fu comunque smentita da altri studiosi, in epoche successive. Rimane pertanto la suggestione ed il mistero che avvolgono questa meravigliosa ed inspiegabile opera.
« I vecchi indiani dicono di possedere la conoscenza dei loro antenati e che, molto anticamente, cioè prima del regno degli Incas, giunse un altro popolo chiamato Viracocha. Non erano numerosi, furono seguiti dagli indios che vennero su loro consiglio e adesso gli Indios dicono che essi dovevano essere dei santi. Essi costruirono per loro i sentieri che vediamo oggi. »
Studi di altri archeologi (il tedesco Markus Reindel ed il Peruviano Johnny Isla), tendono a dimostrare come le linee abbiano a che vedere molto più probabilmente con rituali collegati all’acqua, piuttosto che con concetti astronomici.
Molte sono le ipotesi su come i Nazca abbiamo disegnato queste linee. Tecnicamente sono perfette e testimoniano della grande conoscenza della geometria da parte degli antichi abitanti di questa zona. L’ipotesi più accreditata afferma che gli antichi peruviani abbiano realizzato i disegni in scala ridotta per poi riportarli sul terreno a mezzo di un reticolato tracciato con corde.
Link interessanti:
http://www.youtube.com/watch?v=j2JVSH2tTEQ
http://www.youtube.com/watch?v=gwDzq8An204
Download volo sulle “Linee di Nazca” >> (per visualizzare il tour è necessario Google Earth)
30 marzo 2010
Ieri ci è andata proprio bene. Ci siamo fermati appena in tempo a Chalhuanca, stanotte è piovuto molto. Ma stamattina il cielo è di un blu intenso, con nemmeno una nube. Io ho fatto una buona dormita. A Nini non ho avuto il coraggio di chiedere… Paghiamo i 45 Sol (12 euro) per l’ottimo (?) alloggio e partiamo.
Già ieri sera negli ultimi 100 km la strada era molto scorrevole e ben fatta. Oggi continuiamo su una carreggiata perfetta con curve ben fatte. Divertente, se non fosse per lo sbilanciamento del carico, sarebbe una strada da sballo. Nemmeno un tratto di 100 metri diritto. Tutta una curva.
Saliamo e ci troviamo presto oltre i 4000 m slm. Le valli che percorriamo sono di una bellezza selvaggia, con forre e dirupi che sembrano tagliati con il coltello. I torrenti che costeggiano la strada sono carichi d’acqua e ruggiscono furiosi. Saliamo ancora e raggiungiamo più volte i 4200 metri con una punta massima di 4560.
L’altipiano su cui ci troviamo è immenso, un’immensa pietraia ricoperta parzialmente da bassi ciuffi d’erba. Qui, a 4500 metri, ci sono dei villaggi. Ogni pochi chilometri c’è un insediamento umano e ovunque si giri lo sguardo ci sono greggi di lama e alpaca al pascolo. Hanno il vello molto lungo, dev’essere vicina la stagione della tosatura. I piccoli di alpaca sono bellissimi e quando ci sentono fuggono in cerca di protezione.
Quando ci fermiamo per scattare delle fotografie e spegnamo le moto, il silenzio ci coglie di sorpresa. Qui tutto è fermo immobile, come sospeso nel tempo e nello spazio.
Le formazioni rocciose sono imponenti e bianche nubi invadono il cielo. Davanti a noi ora volteggiano dei condors. Sono i primi che vediamo ed il loro volo senza battito d’ali mi ricorda l’altra mia passione, il volo in aliante. A questa quota, con quest’aria cristallina, questo silenzio, mi sembra d’essere in volo sopra le cime dolomitiche, tra i batuffoli bianchi dei cumuli. A questa quota però, quando volo, utilizzo l’ossigeno. Anche qui, ora, sarebbe molto utile. Basta un movimento fuori dal normale per sentire la respirazione che accelera e la testa pesante.
Continuiamo a salire oltre i 4000 e poi a scendere nelle valli. La strada è perfetta ed il servizio di manutenzione eccellente. Già stamattina tutti i sassi trascinati in strada dall’acqua della notte, erano stati rimossi. Gli altipiani sono verdi ma l’erba è rada e corta. Quando scendiamo anche poco di quota subito i cespugli si fanno più grandi ed iniziano a vedersi cactus ed altre piante grasse.
Sui 3500 metri ci sono i fichi d’india e le agavi. Poco più sotto ho visto dei banani.
A quattromila metri l’aria è frizzante ma appena imbocchiamo la discesa, subito si riscalda. Ci capita spesso di dover rallentare ed addirittura fermare le moto perchè qualche mucca sta pascolando a centro strada. Sull’ultimo passo è stato istituito un parco nazionale ed incrociamo branchi enormi di vigogna liberi al pascolo.
Negli ultimi 100 chilometri il paesaggio cambia improvvisamente e drammaticamente. Dopo giorni di valli e montagne verdi, ci troviamo precipitati in un panorama assolutamente brullo e sterile. Nemmeno un filo d’erba, nemmeno una pianta. Tutto è grigio o marrone chiaro. Solo sassi e terra. E la strada segue tutti i meandri della montagna, fino a Nazca.
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29 marzo 2010
Ormai è deciso, partiremo verso mezzogiorno. Trascorriamo la mattinata visitando musei e le vie cittadine di maggior interesse.
Cusco (qui la ciamano così e non Cuzco) è davvero carina. Forse la cittadina più ricca d’interesse tra quelle finora visitate. É ben tenuta e l’impianto urbanistico ha mantenuto l’originale impronta Inca. I Conquistadores hanno distrutto l’antica città col ferro e con il fuoco ma le fondamenta sono rimaste e su quelle hanno edificato palazzi e chiese.
A Cuzco non mancano certo le banche. Ce ne sono ogni pochi metri e così pure le botteghe di cambio valute. É chiaro come tutta l’economia della città sia strutturata sul turismo. É altrettanto chiaro come l’attuale politica del governo e della città stiano malamente gestendo questa risorsa in quanto la politica attuale sembra sia quella del mordi e fuggi. I prezzi sono alle stelle ma non è così che si pianifica uno sviluppo intelligente.
Partiamo. La moto ha il grande vantaggio di consentire un contatto diretto con quanto ti circonda. Si sentono i profumi dell’aria, come quando ieri, passando entro un boschetto di eucalipti, se ne è percepito l’aroma. Si sentono però anche i cattivi odori, che qui non mancano.
La strada sembra essere il luogo ideale per allevare il bestiame. Sulle scarpate, infatti, pascolano mucche, cavalli, asini, pecore e maiali. Più o meno liberi o legati ad una corda ma comunque a ridosso della carreggiata. I cani poi, sono numerosissimi e molti rimangono inevitabilmente travolti dai camion.
La strada si arrampica a mezza costa, sulle scarpate dei monti che circondano l città. Guardo con preoccupazione come abbiano costruito selvaggiamente, accatastando una sull’altra abitazioni che non reggeranno in caso di piogge intense. Il terreno è assolutamente instabile e rischia di smottare a valle alla prima pioggia. Per evitare ciò, gli abitanti tentano disperatamente di impedire all’acqua di raggiungere il terreno su cui insiste la loro casa e lo coprono con nylon azzurri che creano un grottesco effetto visivo. Spero non succeda, ma temo sarà inevitabile che tutto, prima o poi, frani a valle. Irresponsabili le autorità, che permetto ciò, ma tant’è, in Italia non siamo da meno.
Dopo mezz’ora stiamo per entrare sotto ad un temporale violento. Ci fermiamo all’asciutto per indossare la tuta da pioggia. Con tutto quello che già abbiamo addosso, l’operazione è lunga e complicata. Io alla fine sembro l’Omino Michelin… Entriamo subito sotto ad un violento scroscio di temporale ma dura poco.
Da questo momento percorreremo altri 200 km, imbottiti come cotechini, senza più trovare pioggia. Le salite (due valichi sui 4000 m), le curve continue ed il caldo, ci esauriscono ogni energia. Non si fa strada!! La statale non è fatta per correre. Attraversa cittadine, guada fiumiciattoli, devia continuamente a causa di lavori in corso. Il tempo passa ma non si avanza. Ormai è chiaro che per stasera non arriveremo a Nazca.
Qui comincia a far buio molto presto. Alle sei e mezza il sole già non c’è più e nelle parti in ombra si fatica a vedere la strada. Davanti a noi un’unica cittadina prima di Nazca, trecento cinquanta km più avanti. É notte, sta per scatenarsi il finimondo proprio davanti a noi. Le prime gocce già cadono quando entriamo nel pueblo.
Ci fermiamo al primo hotel di cui riusciamo a vedere la scritta. Lo sguardo di Nini, già dietro al casco mi appare disperato. Tenta una sortita attraverso il paese per verificare l’eventuale esistenza di altri hotel. Io presidio questo, non è l’Hilton ma porta pur sempre un nome altisonante, è l’Hotel Plaza.
La pioggia rinforza e Nini torna senza aver individuato nulla. Portiamo le moto nella “cochera” (garage) dell’albergo (un cortile) e saliamo per registrarci. Nini è traumatizzato e mi annuncia che lui su quel letto non dormirà. Io accetto di buon cuore.. a me non fa nessun effetto. Mi spoglio ed entro sotto una bella doccia calda che mi ristora.
Dopo una mezz’oretta trovo Nini al ristorante (?): non si è cambiato e vorrebbe proseguire… ma per me è troppo rischioso mettersi in strada di notte e sotto la pioggia. Avevamo infatti avuto modo di vedere molti sassi caduti in carreggiata dalle scarpate laterali e le modalità con cui qui fanno le segnalazioni dei lavori di riparazione stradale: mettono delle belle pietrone, anche in centro strada, per impedire il transito sulle riparazioni effettuate di fresco. Di notte è molto difficile vederle. Se poi piove….
Alla fine rimaniamo. Dopo cena, ci prendiamo una mezza bottiglia di Pisco, la grappa locale, e dopo un paio di bicchierozzi vedo tornare il sorriso sulle labbra di Nini!
Facciamo due passi ed è per me la prima volta, dopo un mese, che finalmente entro in serio contatto con gli indigeni. Era ciò che cercavo e a me non dispiace. L’opinione di Nini non coincide con la mia ma d’altra parte c’è un motivo se siamo “lastranacoppia.com”……………….!
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28 marzo 2010
Niente da fare. Alle 7 di mattina sono in stazione per informarmi ed eventualmente prenotare il viaggio in treno per domani. La biglietteria è già gremita di gente. Sono tutti rappresentanti di agenzie locali che cercano di accapparrarsi i biglietti.
Mi informo da un’agente. Il costo del biglietto più economico è di 34 dollari per l’andata, 34 dollari per il ritorno, 14 dollari per il bus da Agua Caliente, posta ai piedi di Macchu Picchu, fino alla cittadella, 40 dollari per accedere al sito. Partenza alle 6 di mattina e rientro alle 19.30. Sarebbe consigliabile però partire alla sera e pernottare in zona.
Prezzo esoso ma tant’è, ci si va una volta nella vita. E invece non è proprio così. Vengo a sapere che il treno ci sarebbe domani ma il sito di Macchu Picchu verrà aperto solamente il primo di aprile. Bello scherzo no? Si tratterebbe di rimanere in zona per cinque giorni. Purtroppo il nostro programma di viaggio è un po’ tiranno, soprattutto con Nini.
Stanotte c’è stata una festa di matrimonio, qui in hotel o nei locali adiacenti, ed hanno suonato e cantato fino alle 4 di stamattina. La faccia di Nini, che trovo al rientro dalla stazione, è molto eloquente. Non ha chiuso occhio per tutta la notte. Lo invito pertanto a riposare fino a mezzogiorno e mi informo su ipotesi alternative per visitare qualche sito archeologico.
Combiniamo, con l’assistenza del portiere dell’hotel ed alle 13 partiamo con un taxi per compiere un tour che ci porta a visitare la cittadella di Chinchero, dove la domenica si svolge un mercato molto vivace e colorito, che raduna tutti i campesinos della zona.
Vediamo qualche rovina di scarsa importanza ed un villaggio spagnoleggiante fondato su antiche basi inca. Interessanti le manifestazioni in corso con tutti i partecipanti in costume tradizionale.
Proseguiamo per strade sterrate fino a raggiungere Moray, un sito molto particolare, costituito da opere di origine Inca, a forma di anfiteatro terrazzato, il cui uso si presuppone fosse quello di studiare e migliorare le coltivazioni di mais dell’epoca. A me dà vagamente la sensazione di avere qualche significato rituale.
Infine visitiamo Ollantaytambo, antico insediamento Inca, di cui mantiene le caratteristiche urbanistiche. Costruito sopra a due montagne al termine di una valle, aveva scopi di difesa con insediamenti militari, di culto ed agricoli. Le terrazze, cui si riesce facilmente ad accedere, sono in ottimo stato di conservazione. L’arrampicata che mi consentono di fare, rimette in moto le mie gambe dopo un mese di sella……….
Rientriamo a Cuzco a notte e sotto una pioggia battente ma…………siamo in auto, per fortuna. Spero che il temporale si sfoghi e che domani ritorni il sereno.
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27 marzo 2010
Oggi giornata di trasferimento. Attraversiamo la campagna peruviana in una giornata prefestiva e c’è molto movimento.
Facciamo lo slalom tra i temporali che incupiscono il cielo e scaricano cateratte d’acqua, passando ancora una volta indenni.
Rimaniamo impressionati dalla grande quantità di toni di verde di questa campagna e di queste montagne. Dal verde brillante fino al verde marcio, le tonalità ci sono tutte.
I bambini ci salutano e noi rispondiamo sollevando la mano.
La strada è discreta e ci porta fino a quota 4338 mslm. Le moto borbottano ma non ci abbandonano.
Sui monti prospicienti le valli che stiamo percorrendo si notano i segni degli antichi terrazzamenti, parte dei quali ancora oggi coltivati. Quanta differenza con gli usi e costumi della Bolivia dove la gente mi ha dato l’impressione di subire i ritmi del tempo senza nulla tentare per modificare o migliorare la propria esistenza.
Qui, in Perù, si vede la mano dell’uomo che interagisce con il territorio. Attorno al lago Titicaca è tutto un fervore di attività e le colture sono intensive, come pure l’allevamento.
Scendendo verso Cuzco anche i villaggi e le abitazioni denotano un progresso importante. L’architettura elementare delle capanne di argilla secca e tetto di paglia, lascia il posto a casette più curate, molte delle quali con intonaco, colore e copertura in lamiera e poi, scendendo ancora di quota, ecco i primi tetti a due falde con coppi in cotto. Le case sono più grandi e molte hanno due piani.
Nelle botteghe lungo la strada, dove ci fermiamo di tanto in tanto per un caffè (che non si trova) o una bibita, vediamo sacchi di foglie di coca in vendita. L’uso della foglia è consentito e c’è tanto di tariffa ufficiale e licenza esposta. Io e Nini, per ora non ne siamo tentati.
Arriviamo a Cuzco di sera. Ci informiamo per la visita a Macchu Picchu. Il sito è ancora chiuso ma sembra che possa essere riaperto già lunedi.
Domattina alle 7 andrò in stazione per prenotare un biglietto.
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26 marzo 2010
Lasciamo la Bolivia per entrare in Perù la mattina presto. Fa ancora freddo ma dall’albergo al confine sono solo 8 chilometri.
Le formalità doganali si chiudono rapidamente. Notiamo subito la differenza, in positivo, dell’approccio dei funzionari.
Cambiamo un po’ di euro ed iniziamo il viaggio.
Costeggiamo il Titicaca per un paio d’ore. La gente ci saluta, cosa che non accadeva più da quando avevamo lasciato l’Argentina.
La differenza tra Bolivia e Perù risulta subito evidente. Le case sono più numerose, molte hanno i muri intonacati ed alcune sono colorate. I tetti sono quasi tutti in lamiera zincata, ancora bella lucida.
La campagna che fiancheggia la strada è intensamente coltivata ed i contadini sono all’opera ovunque per falciare il raccolto e sistemarlo in covoni. Il grano è maturo e così pure l’orzo, l’avena, il riso.
Sul lago si notano molte gabbie per l’allevamento del pesce e molte barche di pescatori. Ovunque pecore, maiali e vacche.
Sembra un altro mondo. Stessa area, stessa altitudine, stesso terreno, ma sembra proprio che qui le cose stiano procedendo con una marcia in più.
I colori, in questa atmosfera cristallina, sono vividi e verrebbe voglia di prendere una tavolozza per tentare di imitarli. Raramente ho goduto di tanta armonia di luci e colori.
Al primo paesi ci fermiamo per lavare le moto ancora impolverate dall’ultimo “ripio”. Le strade del pueblo sono invase dai tuk tuk che sembrano essere l’unico mezzo di trasporto. Sono numerosissimi e coloratissimi. Delle forme più strane, a due o più posti. Chiusi o aperti. A pedali o a motore. Sono uno spettacolo da vedere. Mi apposto e ne fotografo a decine.
Arriviamo a Puno, sul lago. Sistemati noi e le moto, scendiamo al porto e contrattiamo una gita alla più vicina delle isole flottanti, Uros. Una lancia ci trasporta rapidamente tra i canali, fino all’arcipelago di isole galleggianti, ancora attualmente abitate da migliaia di persone. Una guida ci spiega la tecnica di creazione di un’isola e come la si mantiene viva ed attiva. Sembra impossibile che della gente abbia scelto di vivere così e tuttora ci abiti. Ci spiegano che hanno tutto ciò che gli serve ed hanno la libertà.
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Informazioni
Il Lago Titicaca misura 204 km di lunghezza per 65 di larghezza massima, ed occupa una area di 8.562 km², dei quali 4.772 km² sono in Perù e 3.790 km² in Bolivia. La massima profondità del lago è di -281 m. È situato ad una altitudine di 3812 metri sopra il livello del mare, ed è il lago navigabile più alto del mondo. L’acqua è cosi’ trasparente da consentire la visibilità fino a profondità di 65 metri (non ho verificato).
Una particolarità del lago è l’esistenza di isole artificiali galleggianti, costruite con l’uso di canne di Totora, abitate da molte popolazioni pre-incaiche, di diversa etnia. Noi abbiamo visitato l’isola di Uros. Le isole sono ancorate sul fondo del lago e possono essere spostate a piacimento.
Dal lago gli abitanti traggono ogni sostentamento e vivono in autosufficienza e con estrema ma dignitosa semplicità.
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