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2 maggio 2010

Puerto Escondido è diventato un mito. Non è più molto “escondido” ormai, è pieno di italiani. Italiani turisti e italiani residenti. Se non altro sono riuscito ad assicurarmi un’altra buona pasta, cucinata come si deve. Unico difetto, ma non glielo levi nemmeno con la tortura, se ordini due pietanze te le portano assieme. E la cosa mi dà un fastidio fastidioso. Ma possibile che non riescano a capire che se mangio una cosa si fredda l’altra e viceversa? Vabbè, tanto il problema mica lo risolvo io….
Ieri sera, ho già conosciuto 3 italiani. Abbiamo chiacchierato di moto e di avventure!!!!!!
Il clima è differente qui, rispetto al Chiapas. Per “clima” intendo rapporto umano, accoglienza, cortesia, simpatia. Decisamente un’altra cosa, a parte la squisita ospitalità di Carlos.
Mentre negli ultimi giorni non vedevo l’ora di salpare le ancore, qui ho deciso subito che mi sarei fermato per almeno un’altro giorno.
L’alberghetto è semplice ma pulito, sulla terrazza arrivano le foglie di una palma carica di cocchi e per tutta la notte mi ha fatto compagnia il fragore delle onde. Fa caldo ma quel caldo buono e secco che non ti fa sudare. All’ombra si sta proprio bene. Ho camminato tra i turisti, girato nei negozietti, cambiato dollari. Sono sempre un “Gringo”, ma qui hanno capito che i “gringos” pagano più volentieri, se trovano un sorriso.
Poi sulla spiaggia a lasciare le mie impronte che domani saranno già cancellate dal vento. E sul bagnasciuga dove le onde hanno tolto le tracce un attimo dopo. Infine nell’acqua fresca del Pacifico per sentire la risacca che ti scava sotto ai piedi e cerca ti trascinarti con sè.
I treni di onde emettono un rumore di tuono e si frangono sulla spiaggia bianchi di spiuma. Non è facile andare incontro all’onda che prima ti respinge e poi ti trascina. Quando finalmente ci arrivo vicino mi sovrasta, mi travolge, mi schiaccia in un turbine cui non posso resistere. La corrente mi trascina e sono presto lontano. É come un’altalena, bisogna seguire il movimento e assecondare la forza del mare per farsi portare dalla parte discendente dell’onda, verso riva e sulla spiaggia.
C’è poca gente e godo del silenzio che mi circonda. Si ode solo il mare, ma quella è musica…


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1 maggio 2010

Oggi, primo maggio, rivolgo un saluto caloroso a tutti i lavoratori e, perchè no, anche a quelli che credono di lavorare.
Innanzitutto ringrazio Carlos per la cortese ospitalità e per la disponibilità che mi ha dato.
Lascio Tuxtla poco prima di mezzogiorno e dirigo sulla costa del Pacifico. Non ho una destinazione preordinata. Deciderò durante il percorso.
Per la prima volta dopo tanto tempo, sto correndo su una strada normale, anzi una simil autostrada. Di uguale c’è che si paga ed anche tanto ed anche spesso. In 100 km trovo ben 4 caselli e mi costa più di pedaggio che di benzina.
Il paesaggio non presenta punti di interesse. Una curiosità che credevo d’altri tempi, almeno per questa regione, i viaggiatori sui tetti dei vagoni ferroviari. Quando li ho visti mi sono fermato a lato strada per fotografarli e dalla loro suite open air mi hanno fatto un sacco di feste.
L’Oceano si vede poco e da lontano. La strada percorre un tratto interno. Non ci sono distributori e per un pelo non rischio di rimanere a secco. Per fortuna la mia Honda, con l’andare del tempo, ha diminuito i consumi in maniera sensibile, passando dai 10 km con un litro, agli attuali 15.
C’è un vento molto forte in questa parte di Messico, dove, dall’oceano Atlantico, l’aria si precipita senza trovare ostacoli verso il Pacifico e viceversa. Mi sono sentito un po’ in Patagonia (altra temperatura ovviamente) a dover avanzare piegato sul lato controvento.
L’area è ricca di installazioni eoliche e quasi tutte in funzione.
Sono riuscito a tenere una buona media e così decido di allungare il percorso. Arriverò fino al mitico Puerto Escondido.


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30 aprile 2010

Carlos è venuto a prendermi stamattina e mi ha guidato dal meccanico. Ho chiesto una revisione completa con pulizia del carburatore, cambio candele, verifica olio freni, pastiglie e catena (sarebbe tempo di cambiarla ma non c’è quella del passo giusto). Infine pulizia del filtro aria e revisione dello sterzo che ha ricominciato a ballare. Me la farà per domattina.
Nel frattempo mi son fatto portare da Carlos all’imbarcadero del Canyon del Sumidero. La gita dura 2 ore e si può ammirare una natura selvaggia ed incontaminata. Al ritorno mi faccio portare da un taxi fino all’officina. I lavori procedono e sembra che tutto vada bene. Confermano per domattina.


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29 aprile 2010

Dalla cittadina di Palenque, per raggiungere “Las Ruinas”, come le definiscono qui, bisogna percorrere una decina di kilometri.
Alle 8 sono già all’ingresso. Ci sono pochi turisti a quest’ora e il caldo è ancora sopportabile. Mi dicono che servono un paio d’ore per girare il sito. Sono ancora in sella, a motore acceso, che già una folla di “postulanti” mi circonda. C’è chi si offre di lavare e custodire la moto, ed esibisce tanto di cartellino con fotografia, chi mi vuol vendere paccottiglia, chi offre cambio di denaro e chi si offre come guida. Sono un po’ asfissianti, non c’è dubbio. “Prendo” la custodia della moto e per non avere sorprese, piuttosto frequenti ultimamente, pattuisco già il prezzo. 50 Pesos (4/5 dollari) compreso il lavaggio. Rifiuto le guide che sono molto care. Mi sono già documentato in rete su cosa vedere. In questi luoghi, specie quando ti trovi da solo, sembra sempre di star per entrare nell’arena. Sui due lati del percorso di avvicinamento alla biglietteria si sono appostati i venditori di souvenir, bibite, frutta, le guide, i ragazzetti con oggettini vari e tutti ti chiamano, ti mostrano la mercanzia, insistono e ti vengono attorno pressanti. Non potrei comunque comperare nulla, visto che sto sempre cercando di “eliminare” peso e volume dal carico. Resisto alle ultime guide che cercano di lusingarmi parlandomi in italiano ed abbassando il prezzo via via che diminuiscono le probabilità di concludere.
Finalmente passo oltre la barriera. Mi incammino lungo il sentiero che si inoltra nella jungla. La vegetazione infittisce ed i rumori della natura aumentano. Urla laceranti come sirene e grugniti possenti riempiono l’aria. Sono uccelli e scimmie che popolano la foresta. Piante dai fusti smisurati da cui pendono liane ed arbusti fioriti fiancheggiano il sentiero.
Attraverso un gruppo di piante dalle enormi foglie che sbarrano la strada ed il sentiero sbocca su un prato verde e ben curato, ai cui lati sorgono costruzioni possenti. Sono i palazzi e le piramidi dei Maya. Quanto ho letto su di loro e con che curiosità. Ora sono qui e davanti a me i resti di questa civiltà sulla cui storia controversa si è parlato meno che non della loro distruzione, ad opera dei famelici conquistadores. Mi sono sempre stupito della barbarie e della stupidità che hanno ispirato l’azione di questi eserciti di straccioni che hanno avidamente stuprato ed annientato interi popoli in nome del dio oro e sotto l’egida della cristianità.

Un po’ di storia?
Le strutture più vecchie risalgono al 600 d.C., ma il sito si pensa sia stato popolato fin dal periodo Pre-classico dei Maya. Al tempo dell’arrivo degli spagnoli, Palenque era tuttavia già abbandonata ed in rovina da molto tempo.
Fu la capitale dell’importante Stato di B’aakal, dell’età Classica Maya, il cui regnante più famoso fu K’inich Janaab’ Pakal.

Le costruzioni presenti nel sito:
La Piramide delle Iscrizioni è una costruzione di grandi dimensioni ed è attualmente in fase di restauro.
Il cosidetto Palacio è un complesso di edifici interconnessi, con portici e cortili, e con delle rappresentazioni di regnanti maya dei quali impressiona l’inconfondibile profilo del cranio, probabilmente ottenuto con la deformazione artificiale dello stesso in età postnatale.
Il Tempio del Teschio (Templo de la Calavera), il primo che si incontra, dove si può ammirare, tra l’altro, la scultura di un teschio.
Il Gruppo de Las Cruces, con vari templi dedicati al Sole. Tutti presentano una struttura piramidale che supporta in apice il tempio vero e proprio con all’interno alcuni bassorilievi. Quasi tutti ricavati su malte e quindi in condizioni di sfaldamento e degrado avanzato. Poche le sculture in pietra.
Di tutto il complesso, ciò che più affascina è il contesto. Sono i percorsi nella jungla, tracciati tra gli alberi che incombono sulla testa, mente attorno a te si sente pulsare la natura.

Per sera devo essere a Tuxtla, capitale dello stato del Chiapas. Sono 300 km da percorrere a medie bassissime. Devo partire al più presto.
Rientro in albergo, mi “doccio” e carico la moto. Controllo catena, olio e bulloni vari. Parto e vado subito a fare il pieno. Vedo che l’addetto al distributore osserva la moto con una strana espressione. Mi incuriosisco ed abbasso lo sguardo. La fiancata destra mi appare tutta sporca d’olio. Un lampo! Il tappo dell’olio, mi sono scordato di chiudere il tappo dell’olio. Lo avevo inserito in un anfratto tra marmitta e carter ed ora non c’è più. L’ho perso per strada. Fortunatamente ho percorso un tratto breve. Se avessi fatto il pieno ieri sera, come avevo pensato di fare, ora sarei in viaggio senza rendermi conto che sto perdendo olio. Tento di tappare con mezzi di fortuna ma non trovo nulla di adatto. Ritorno all’hotel seguendo le tracce percorse ma non trovo nulla. Mi fermo in un negozio di ricambi auto e recupero un tappo filettato che in qualche modo riesco ad avvitare ma senza riuscire a rendere ermetica la tenuta. Riparto, un po’ sconsolato, pensando di cercare un meccanico e risolvere in maniera più efficace. Arrivo al semaforo ed eccolo lì, il mio tappone con asticella. É lì a terra e mi sorride. Ed io a lui. Che sospiro di sollievo. Per una stupida dimenticanza ho rischiato di fondere.

Finalmente inizio la via del ritorno. Mi attende un’infinità di topas. Dopo 60 km incrocio la deviazione per Agua Azul, ne avevo sentito parlare. Non resisto e svolto a destra. Fortunatamente la deviazione è breve e ne vale la pena. Trovo due biglietterie, una municipale ed una federale. Pago naturalmente, ed entro nel parco. La vista dell’acqua chiara e delle cascate mi rinfresca lo spirito. Quanto vorrei tuffarmici così, vestito come sono. Invece resisto e dopo una mezz’oretta riprendo la strada verso Tuxtla Gutierrez.

Sto attraversando le terre zapatiste, teatro delle ribellioni storiche, oltre che di quelle recenti. Ci sono ancora i segni della guerriglia e mi fermo per fotografare i cartelloni che ancora campeggiano in qualche tratto di strada.
Inizia a piovere, tanto per cambiare, ma non mi fermo. Sto per raggiungere il traguardo dei 20000 km percorsi in questo viaggio. Tengo d’occhio il contachilometri e quando i numero arrivano a girare lo 0000 mi fermo, brindo con Lei, la mia Africa, e mi faccio pure una foto con l’autoscatto. Che soddisfazione, eh?

Arrivo a Tuxtla, telefono a Carlos che mi risponde dall’aeroporto di Città del Messico. Riesce a darmi nome ed indirizzo dell’hotel di un suo amico. Fermo un taxi e mi ci faccio portare. Naturalmente è pieno. In città è in corso una convention governativa e gli hotels sono tutti esauriti. Bella sfiga. Alle solite, sta per farsi buio. Il direttore dell’hotel mi da una mano e dopo qualche ricerca riesco a trovare posto.
Gli impiegati dell’hotel sono anche questa volta sgarbati e poco disponibili. A parte la povera gente che qui come altrove è sempre buona e gentile, il ceto medio continua a perdere punti. Spero di sbagliarmi però è troppa la differenza con quanto ho avuto modo di vedere e sentire negli ultimi 60 giorni. Qui, a mio avviso, conta solo il dio denaro ed io sono uno yankee……….


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28 aprile 2010

Sono un po’ deluso di questo mio primo giorno in Mexico. Mi aspettavo un rapporto più facile con la gente e più cordiale. Forse l’abitudine maturata in questi due mesi ha creato in me un’aspettativa troppo forte oppure è semplicemente troppo presto per trarre conclusioni.
Probabilmente per loro io sono uno Yankee e come tale mi trattano, con freddezza e diffidenza. Si fa addirittura fatica a capirsi. Forse la Citta di San Cristobal de Las Casas è troppo frequentata da turisti e gli esercenti di ristoranti e negozi sono come da noi. Vorrebbero prendere i soldi, prima del servizio, ma che poi il turista si togliesse dalle scatole. Beh, qui sono e qui rimango, dovranno abituarsi……….
La città è molto bella e ricalca lo stile di Antigua Guatemala, con casette basse dipinte a tinte forti e facciate di palazzi e chiese decorate con legni, stucchi e sculture. Ho fatto tantissime fotografie, come resistere?

Mi sono poi avviato verso Palenque, a 220 km di distanza verso nord-est, dove esiste un sito Maya di grande interesse.
Purtroppo piove e sono molto combattuto sul mettere o meno la tuta da pioggia. Quassù sono a quota 2500 e se mi bagno non penso di riuscire ad asciugarmi con rapidità. Mi sono fermato a mangiare un piatto di carne con riso e fagioli, sperando che nel frattempo la pioggia smetta. Finito l’ottimo piatto (3 dollari), finita anche la pioggia.

La strada è contorta come una biscia ed è stretta. La media che riesco a fare è di 40 km/h. Mi ci vogliono 5 ore per arrivare a destinazione. Poi la caccia all’hotel con parcheggio ed internet WiFi e finalmente un po’ di riposo.

Tutte le strade del sud e centro america sono disseminate di quei stramalefici dossi trasversali che noi definiamo eufemisticamente “dissuasori’ e qui, a seconda del paese, li chiamano “lomo de burro”, “resaltos”, “tumulus”, “rompi muelle” o “vibraderos”. In Messico si chiamano “Topes” e sono un vero incubo. É l’unico paese in cui te li piazzano dappertutto, a ripetizione e senza preavviso. Non sono dipinti di giallo o di bianco, come dalle altre parti. Sono fantasmi che appaiono all’improvviso e ti costringono a frenate da Moto GP, oppure ti schianti sul dosso e ti arriva in bocca il serbatoio……….. Ho consumato più pastiglie dei freni qui, nei 500 km percorsi tra ieri e oggi, che nelle discese multiple dai 4000 boliviani.
In compenso vanno bene per i sorpassi. Tutti quasi si fermano ed allora …….zak………….


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27 aprile 2010

Il lago si è negato alla vista. Una leggera nebbiolina mi ha impedito di godere della panoramica dei vulcani che lo circondano e vi si specchiano.
Ho percepito solamente le loro sagome, tra la bruma, ma ho goduto del verde smeraldo delle acque della baia entro cui si precipitava spumeggiando un’altissima cascata.
Ho viaggiato per quasi 2 ore in un’autentica pista. 4 corsie di asfalto perfetto e tutta curve. Mi ha portato fino a quota 3000. Ne ho avuto il sospetto sentendo la pastosità del motore che però ha risposto, come sempre, perfettamente.
Il tempo era bello ed il traffico assente. Sono arrivato presto al confine con il Messico per essere pronto ad ogni evenienza. Tutto bene in Guatemala. Tutto bene o quasi, anche in Messico. Non fosse stato per il solito funzionario pignolino e rompiballe, avrei fatto in un lampo. E invece no, non è andata così. Questo si è letto riga per riga tutti i documenti, poi ha letto riga per riga tutte le copie degli stessi documenti. Poi ha confrontato gli originali con le copie. Poi ha rigirato il tutto come fosse un mazzo di carte ed infine ha ricominciato. Dopo un’ora stava ancora cercando il numero di telaio, la targa e l’indirizzo. Poi si è deciso e mi ha chiesto di aiutarlo. Credo facciano dei concorsi specifici per questi qui ed il più stupido vince!!!
Ora sono arrivato a San Cristobal de Las Casas, altro gioiellino di stampo spagnolo. Stasera ho solo fatto un giretto di assaggio ma domattina lo voglio vedere bene.


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26 aprile 2010

Antiqua Guatemala è una sorpresa, una piacevole sorpresa. Già ieri sera avevo fatto un giretto fino al parco e piazza centrale ed ero rimasto colpito dalla piacevolezza dell’architettura, semplice ma curata. Le strade silenziose, rivestite da acciottolato ed illuminate da lanterne di una calda luce gialla, sono impeccabili. La polizia presidia ogni angolo e la gente passeggiava tranquilla tra le aiuole del parco.
Stamattina ho percorso la cittadella in lungo ed in largo. La sua semplice architettura di impronta coloniale ispano-americana, è affascinante. I colori pastello delle facciate, gli intarsi dei portoni, le decorazioni dei cornicioni, le insegne delle botteghe sono di un gusto d’altri tempi. Sono entrato in alcuni androni, attratto dalla vista dei fiori che trabordavano dai giardini interni e mi son trovato in alcuni chiostri colonnati e patii da sogno, curatissimi nei minimi particolari. É insomma un gioiello e non a caso la città è entrata nel novero dei beni protetti dall’UNESCO.
Mi sono intrufolato poi nell’enorme mercato dell’Artesania ed in quello di uso corrente, dove la gente va a rifornirsi di ogni tipo di bene. Odori e colori, luci ed ombre. Magnifico. Ho perso il senso del tempo e quando son ritornato all’hotel erano già le due del pomeriggio. Troppo tardi per arrivare al confine con il Messico. Ho così deciso di percorrere una tappa breve, fino al lago Atitlan, di cui avevo letto relazioni positive. Solo 125 km. Nini sarebbe rabbrividito…
Sorpassando l’ennesimo pick-up stracarico di persone, mi son chiesto quanto tempo passa mediamente un centroamericano sul cassone di questo mezzo. Alcuni di loro sicuramente ci nascono. Quasi tutti vi suggono il primo latte materno, durante qualche trasferimento. Da bambini ci giocano, finchè papà guida e la mamma allatta l’ultimo nato. Da adolescenti ci salgono a gruppi per farsi portare a scuola e ridono e cantano. Da uomini vanno con la squadra al lavoro in silenzio, stipati, appisolati, infreddoliti. La domenica, sui pick-up, oltre agli uomini, ci sono le bestie da portare al mercato. Chi di noi lascerebbe 2 bambini soli sul cassone di un’auto in corsa, senza alcuna protezione? Chi di noi se la sentirebbe di fare un viaggio seduto sul fondo del cassone, su strade sconnesse, col caldo, con il vento e spesso con la pioggia? Loro lo fanno, ma purtroppo non credo sia per stare di più all’aria aperta.


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25 aprile 2010

La notte è stata ricca di suoni. La verandina posteriore dà direttamente sulla foresta. Alle 5 di questa mattina sono uscito per registrare il canto degli uccelli. Un’orchesta in piena regola che accorda gli strumenti prima dell’esibizione.

Lasciata la Hacienda, a 10 km di distanza mi sono fermato a Copan Ruinas, un sito archeologico di grande importanza e di rara bellezza. Ben tenuto, ben restaurato, dona la possibilità di immaginare la vita al tempo dei Maya.
Ho dovuto lasciare la moto nel parcheggio ed ho quindi riorganizzato il bagaglio, trasferendo nello zaino tutte le cose di valore e nella borsa da serbatoio i pochi capi di abbigliamento indispensabili per il cambio serale. Lo zaino me lo porto appresso, la borsa da serbatoio ed il casco li lascio al chiosco di entrata.
Fa molto caldo e son tutti gradini da salire o scendere. É proprio bello e valeva la pena di passarci.

Ora sto per lasciare l’Honduras e mi sono fermato in un ristorantino per consumare gli ultimi “Lempiras” prima della frontiera con il Guatemala. Un po’ mi dispiace, mi sono trovato bene in Honduras, specialmente con la gente, cordiale e generosa. É stato l’unico paese, tra quelli finora visitati, dove alla curiosità e gentilezza si è aggiunta anche la generosità disinteressata. In almeno 4 differenti occasioni delle persone ci sono state d’aiuto e si sono prodigate per risolverci dei problemi. Primo è stato il proprietario del lavaggio delle moto che ci ha fatto dono del servizio e delle consumazioni, mi ha accompagnato dal suo oculista per i miei occhiali ed infine ci ha fornito indicazioni utili. Poi il proprietario dell’hotel che ci ha ospitati, che ci ha praticato dei prezzi di favore, ci ha dato indicazioni utili per la spedizione della moto. Poi Javier, che si è prodigato non poco per ricercare e contattare direttamente per nostro conto l’agenzia con cui ora Nini sta dialogando per finalizzare la spedizione della moto. Infine il caro Ronny (Ronaldo), italo/americano/honduregno che ci ha ospitato al suo desco senza nemmeno conoscerci. Bravi questi honduregni, bravi y generosi, anche se tra loro si ammazzano. Ieri mattina parlavo con un tipo della sicurezza e mi ha fatto sorridere il fatto che tentasse di rassicurarmi, affermando che non sussistevano veri rischi, qui da loro. Piccolo particolare: a tracolla portava un cannone a canne mozze.

Ho pranzato leggero e per non correre il rischio di addormentarmi con questo caldo, ho optato per una “sopita” (una zuppetta). Questi gli ingredienti che sono riuscito ad individuare: Sopa de pollo y carne de res (vacca) y batata dulce a pedazos (a pezzi) y papa normal (patata con scorza) y mais (con pannocchia)  y cebolla e arroz (riso) y frijoles (fagioli) y cavolo (non so come si dice) y lemon y zucchina (idem) y chili  y avocado y carne molida (macinata) y tortillas de mais y cheso…………dimenticavo, bananas!!!! Leggera, insomma.

La moto va che è un piacere guidarla. Dopo che ho sistemato l’asse dello sterzo, dopo che le ho tolto di dosso una quindicina di kili, mi sembra un’altra moto. Sono proprio contento di come si sta comportando. Brava hondina.

Il passaggio alla dogana tra Honduras e Guatemala è stato uno dei più rapidi e semplici. Me la sono cavata in poco più di mezz’ora e con soli 8 dollari.
Poi ho fatto una tirata fino ad Antigua Guatemala, l’ex capitale del Guatemala. Ad attraversare la Ciudad de Guatemala mi ha aiutato un ragazzetto con la moto. Mi ero fermato ad un distributore per chiedere informazioni sulla strada da prendere e lui era lì e si è offerto di guidarmi attraverso tutta la capitale. Ho fatto prestissimo.


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24 aprile 2010 – Il saluto

Eccomi da solo. Dopo 18.000 kilometri di corse, avventura, emozioni, la strana coppia si divide. Era previsto fin dalla partenza. Nini non si sarebbe potuto assentare per più di due mesi. Questa mattina ha consegnato i documenti ad un agente dell’agenzia di trasporto che dovrebbe assicurargli la spedizione della moto. A questo punto io, come previsto, inizio la mia corsa in solitario.

Ho preso tempo, ho aspettato fino alle 15,30 prima di partire. Questa mattina abbiamo fatto il giro di tutte le banche per prelevare del dinero ma non c’è stato verso. Poi mi sono fatto fare 6 copie di ogni documento per evitare di trovarmi in difficoltà alle prossime frontiere e dover abbandonare la moto incustodita per dar la caccia alle copie. Sono sicuro che d’ora in poi nessuno mi chiederà più di produrne. In albergo c’erano i restauratori della “Marimba” (strumento a percussione simile allo xilofono) e così mi sono fatto suonare qualcosa. Purtroppo non disponevano dei bastoncini ma li ho convinti a suonare con le dita.

Ho pranzato con Nini, ho caricato la moto, ci siamo abbracciati e con un groppo in gola ho acceso la mia bicilindrica. Non nego che il partire da solo, sapendo quanto mi aspetta, mi ha dato un po’ di sconcerto. Ho percorso i miei primi 250 kilometri di questo viaggio sapendo che d’ora in poi le scelte, le decisioni, non saranno più oggetto di scambio di idee, che non ci saranno più soste per le sigarette di Nini, non ci saranno più commenti su quanto succede lungo la strada. Beh, ho guardato spesso nello specchietto, ma non c’era nessuno… Il paesaggio? Non l’ho visto.

Appena buio mi sono fermato in una ex Acienda trasformata in hotel. Sono a 10 kilometri da Copan Ruinas, che visiterò domani. Nell’hotel c’è un gruppo di turisti americani. Mi hanno fatto un sacco di feste. Sembra che adorino l’Italia e gli italiani. Quando si è soli, è più semplice attaccar discorso, la gente ti parla subito e questo è positivo.


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23 aprile 2010

Sono trascorsi oggi due mesi esatti da quando siamo partiti da casa. Sono trascorsi velocemente e quello che abbiamo fatto e visto e sentito e provato ci lascerà dentro un segno per il resto della vita. Abbiamo dovuto correre tanto, a volte troppo, per arrivare fino a qui. Molta parte di questi mondi remoti l’abbiamo solo sfiorata, se non completamente trascurata. Quel poco però di cui siamo riusciti a godere rappresenta un nuovo universo. Luoghi e genti, cultura e storia, animali e tradizioni, mari, laghi e montagne, fiumi e deserti. Fatica e polvere, caldo e freddo, sonno e paura, difficoltà e serenità, spazi e libertà. Sono solo parole ma compendiano tutto quello che abbiamo provato, assaporato, sofferto.
É un viaggio nella vita, dentro la propria anima. Nelle lunghe ore di cavalcate eravamo soli con noi stessi, a chiederci perchè ed a ricercare una risposta che sicuramente non verrà mai. Perchè? Per curiosità, per sfida, per amore dell’aria libera attorno a noi, per dimostrare qualcosa a noi stessi od agli altri? Può essere. Un po’ di ogniuna di queste spinte ha partecipato a farci andare avanti, nonostante la fatica, i rischi, i costi di questo viaggio.
Ora io continuerò da solo. Sarà un altro viaggio, senza Nini, senza il compagno con cui ho percorso 18000 kilometri di strade tortuose e difficili, ho attraversato decine di frontiere, ho scambiato impressioni e condiviso momenti belli e momenti difficili. Mi dispiace che sia costretto ad interrompere qui. Nemmeno per lui sarà facile lasciare, sapendo che io continuo. Grazie Nini per questi due mesi di fraterna amicizia che ci hanno avvicinato più di quanto non lo fossimo già.

Oggi ho disfatto tutto il bagaglio. Non voglio proseguire da solo con troppe cose, con troppo peso sulla moto. Ogni volta, quando parto per un grande viaggio, che sia in moto, che sia in barca, mi porto sempre appresso il doppio del necessario. Anche questa volta mi son reso conto di quanto poco basta ed ora voglio svuotare tutto ed eliminare il superfluo. Alcune cose le ho regalate, altre le ho buttate ma ora ho l’opportunità di riempire un borsone per affidarlo a Nini, affinchè lo carichi sulla nave, con la sua moto.
Ho anche deciso di tagliarmi i capelli, visto che in due mesi erano già di nuovo lunghi. La bottega del barbiere non è molto lontana dall’hotel. Il servizio è rapido, buono e costa 2 dollari e mezzo. Il locale è di proprietà di un italo-americano-honduregno che Nini incontra davanti alla bottega, fin che mi aspetta. Due parole e Ronaldo ci invita a bere una birra nel suo locale, sul canale. Birra dopo birra ci racconta un po’ della sua vita, delle sue 3 mogli, dei suoi tre figli che vivono, studiano e lavorano a Miami. É di origini siciliane, di Cefalù. I suoi nonni venirono in Honduras già nel 1910. Ha passato 25 anni della sua vita in Florida, a Miami, ed ora fa la spola tra l’America e l’Honduras, dove ha vari interessi economici. Dalla birra, inaspettatamente, si passa ad un consommè di pollo e verdure. Segue un piatto di verdure da pinzimonio con salsine e le portate proseguono con un piattone di carni varie alla brace, purea di patate, purea di fagioli (frijoles), sottaceti piccanti. Quando siamo ben satolli e pensiamo di aver finito, arriva un vassoio di spaghetti (dolci) con gamberi ed un’aragosta (dolce) ripiena. Gradiamo il tutto e terminiamo con un assaggio di budino al “dulce de leche y coco”. Ospitalità squisita che non riusciremo purtroppo a ricambiare.
Una curiosità: Ronaldo è un colosso d’uomo che si beve il caffè con 5 cucchiai (non cucchiaini) di zucchero e pasteggia con il Chivas, di cui scola una bottiglia al giorno. Ha 61 anni ed è in gran forma….