5 marzo 2010
Oggi ce la siamo presa comoda. L’alberghetto che ci ospita è davvero carino. Abbiamo a disposizione due piccoli bungalows, davvero graziosi e puliti.
Le moto sono davanti alle camere, chiuse nel recinto dell’hotel. Un’abbondante colazione con vista dall’alto sul Canale di Beagle non è cosa da tutti i giorni. E noi ce la siamo goduta.
Con comodo e soprattutto con moto scariche, abbiamo percorso la ventina di chilometri che rimanevano da percorrere della “Ruta 3″, per arrivare alla mitica “Fin del Mundo”.
La zona è Parco Naturale ed è maglifica. La si percorre su sterrato tra boschi di rara bellezza e densità. Le montagne innevate sovrastano laghetti argentei e lagune dall’acqua ambrata. I castori sono al lavoro. Difficile non fermarsi ogni pochi metri per contemplare queste bellezze.
La strada finisce sulla baia ed è la strada che giunge alla più bassa latitudine.
La passeggiata su passerella in legno conduce ad una piattaforma in legno da cui si può contemplare il mare e sognare.
Poco oltre si percepisce la presenza de mitico Capo Horn, sogno e tormento di navigatori d’ogni tempo.
Oggi sarebbe stato un giorno ideale per doppiarlo in calma di vento. Ma non e’ ancora giunta l’ora………………..
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4 marzo 2010: arrivati ad Ushuaia
Oggi dovrebbe essere il giorno del nostro arrivo ad Ushuaia, la prima grande meta del nostro viaggio. Aspettiamo le nove per partire, perchè prima la temperatura è ancora bassa.
Generalmente le ore più calde sono quelle pomeridiane ma si sta già bene dalle undici. Ad una settantina di chilometri ci fermiamo alla frontiera tra Argentina e Cile. Le formalità doganali sono lunghette ma relativamente semplici. Moduli da riempire nell’una e nell’altra frontiera. Tutti simpatici e gentili. Un doganiere mi offre perfino il matè dalla sua tazza. Amaro ma buono.
Dopo meno di un’ora arriviamo in vista del braccio di mare noto come Stretto di Magellano.
Il Ferry è già lì che aspetta e dopo un’ora siamo già sbarcati nella Terra del Fuego.
Lo spirito si esalta con la sensazione di essere protagonisti di un’avventura che ripercorre luoghi e ricorda personaggi che hanno fatto la storia della navigazione e delle scoperte geografiche.
Di qua son passati i grandi navigatori, primo tra tutti Magellano che scoprì il passaggio interno verso ovest nel 1520. Era con lui il nostro concittadino Antonio Pigafetta. Tra gli avventurieri dei primi secoli della storia moderna ricorderò solamente i famosissimi Drake e Cook. Tra gli scrittori Chatwin e Sepulveda e tra gli scienziati naturalisti Charles Darwin che percorse il canale a bordo della nave Beagle da cui trasse il nome, nell’ottocento, questo braccio di mare ed il botanico Joseph Banks, compagno di viaggio di Cook nella scoperta della Terra Australis a bordo della HMS Resolution.
Innumerevoli gli altri personaggi, famosi o no, attirati qui da curiosità scientifica, desiderio di gloria, di ricchezza o per semplice curiosità. Su tutti ed a tutti, questa terra ha lasciato un segno indelebile. Nessuno è rimasto indifferente al fascino dei suoi contrasti.
Qui da Ushuaia, da dove ora sto scrivendo, vedo il braccio di mare del Canale di Beagle entro cui si specchia una cornice di basse montagne dalle cime innevate. Oggi il cielo è ceruleo e cade una lieve pioggerellina che crea la giusta atmosfera di calma e serenità ed invita alla riflessione. La temperatura è di 2 gradi.
Superato lo Stretto, appare tangibile il cambiamento del territorio. Ci si addentra nell’isola seguendo una starda sterrata per 150 chilometri. La via è tortuosa e sale di quota, addentrandosi in un ambiente ancora mai visto dalla partenza. Appare più come un paesaggio alpino, con pascoli gialli d’alta quota, su cui appaiono incastonati, di tanto in tanto, specchi d’acqua di un blu intenso o lagune secche, bianche di sale. Oltre le recinzioni che sfilano da ambo i lati della via, pascolano mandrie di vacche che sembrerebbero appartenere al tipo europeo Simmental, greggi di pecore dal vello grigio e gli immancabili guanachi. Difficile resistere e non fermare la moto per immortalare questi paesaggi bucolici. Raramente si intravvedono insediamenti umani.
Al primo contatto con lo sterrato Nini si rivitalizza. Finalmente si trova nel suo ambiente e dà gas. Per me la cosa è differente. Sono almeno 2 anni che non esco in fuoristrada e siamo carichi come muli. Il retrotreno sculetta e la cosa mi agita un po’. La velocità va tenuta altina e non mi sento ancora sicuro. Dopo la prima ora di cammino le mani sono indolenzite e mi accorgo di stringere le manopole con troppa forza. Devo rilassarmi. All’incrociare dei camion che transitano in senso inverso, la polvere che ci investe è tale da oscurare tutto per alcuni secondi e non mi diverto per niente.
Stiamo correndo a 100/110 km/ora e dobbiamo avvicinarci al bordo dove si sono accumulati depositi di ghiaia sciolta ed in piu’ alla cieca. Tutto sommato l’asfalto non mi dispiaceva.
Eravamo entrati in Cile ed ora ci stiamo nuovamente avvicinando alla frontiera. Altro passaggio in dogana e via, verso Ushuaia, attraversando paesaggi sempre più belli. Per la prima volta, da quando sono in Argentina e dopo aver percorso 3400 chilometri, vedo la sagoma di una albero. Rinsecchito, contorto, spezzato. Dopo poco eccone un altro, no, sono due, tre, cento. Come definirli, residuati di boschi? Gli alberi sembrano simili al nostro Pino Cirmulo d’alta quota, bassi e contorti, con qualche ciuffo di verde e molti rami spezzati e cadenti. Il terreno ne è ricoperto. Sembra una foresta pietrificata. Procedendo la strada si inerpica ed affrontiamo un paesaggio decisamente alpino.
Dopo molte ore di viaggio non sentiamo ancora la stanchezza perchè la strada costeggia bracci di mare, foreste via via più fitte e verdi. Nini passando scorge dei castori sul bordo di un laghetto. In cielo volteggiano grandi rapaci. Il freddo è sempre più intenso e finisco per cambiare le marce senza usare la frizione perche’ muovo le dita, ormai ghiacciate, con difficoltà.
Finalmente attraversiamo la catena montuosa che ci separa dalla cittadina ed iniziamo la discesa. Si coglie il sapore del mare e l’aria si riscalda. Arriviamo in città e con noi i due motociclisti brasiliani con i quali abbiamo percorso gli ultimi 400 chilometri. E’ d’obbigo una fotografia di gruppo davanti alla tabella di benvenuto della città di Ushuaia. Domani sarà dedicato al riposo ed alla revisione dei mezzi. Faremo una capatina fino al limite meridionale dell’isola e poi programmeremo l’itinerario che ci porterà verso nord.
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3 marzo 2010
Ieri mattina faceva veramente freddo. Per le prime due ore mi sono ghiacciato e mi son dovuto fermare per prendere un giornale da inserire sotto la giacca a protezione del vento.
Il cielo era coperto e minacciava pioggia. Nini si è messo la tuta antipioggia ma io mi sono limitato a coprire le borse con del nylon. So che se indosso la tuta impermeabile mi bagno di sudore più dentro che fuori e così solitamente attendo le prime gocce prima di metterla. Invece è andata bene e dopo poca strada il cielo si è aperto e sono rimasti solamente dei batuffoli bianchi la cui ombra però, proiettata sulla strada, correva più o meno alla nostra velocità (120 km/h).
Il sole cambia sempre le cose e a me cambia l’umore. La luce ma soprattutto il calore mi ridà vita e mi sento bene.
Il viaggio proseguiva spedito fino a che la mia moto non ha cominciato a lanciare brutti segnali, strattonando ed infine spegnendosi a varie riprese. Speravo fosse un’episodio come quello già occorsomi alla partenza e che poi si era risolto da solo consentendomi di percorrere senza intoppi i successivi 2000 km. Invece il problema non dava cenno di volersi risolvere e così, approfittando della vicinanza di una pueblo, abbiamo fatto una deviazione per consultare un meccanico locale.
A parer suo, di primo acchito,sembrava trattarsi di presenza di acqua nel carburatore. Fatto uno spurgo, abbiamo ripreso il cammino, dovendo percorrere, prima di sera, altri 400 km. Dopo un quarto d’ora il problema si è ripresentato e a questo punto ho deciso di ritornare all’officina per evitare di trovarmi fermo a metà strada senza alcuna possibilità di ottenere assistenza o ricovero. Il meccanico però non sarebbe stato disponibile prima delle 19, in quanto impegnato in altra riparazione fuori sede. Nini non ha preso posizione e mi ha lasciato decidere se aspettare o tentare di ripartire. Ho deciso di rimanere ed abbiamo pertanto atteso per 4 ore il suo rientro. Ho approfittato del tempo disponibile per smontare tutto e predisporre la moto per la riparazione. Sembrava potesse dipendere da un problema di presenza d’acqua nel carburatore. Ho pertanto tolto tutti i bagagli per poter smontare sella e quindi serbatoio. Poi ho atteso. Al suo arrivo, in 2 orette ha fatto delle prove ed infine smontato e sostituito la pompa di alimentazione della benzina con l’altra che avevo portato di scorta. Spero che ora la moto funzioni. Tra poco ripartiremo ed avremo modo di verificare.
Questi episodi, ancorchè fastidiosi, sono quelli però che ti fanno entrare in contatto con la gente che altrimenti scorrerebbe via lungo la strada senza lasciare nessun segno.
Con l’officina vuota ed in assenza del marito, la moglie mi ha fatto entrare per lavorare sulla moto mettendomi a disposizione tutti gli attrezzi, senza mai venire a controllare cosa io stessi facendo. Ho smontato le parti che andavano tolte e poi è arrivato il marito. Ha lavorato 2 ore e spero che mi abbia risolto il problema, chiedendomi l’equivalente di 10 euro. Poi uno dei personaggi che giravano nell’officina ci ha portati a mangiare in un suo ristorante, accompagnandoci in moto. Bravi no?
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Il territorio è cambiato. Nei giorni precedenti osservavamo vaste aree cespugliose, poi i cespugli son diventati ciuffi d’erba. Infine tutto è diventato deserto di sabbia e pietre.
Si son cominciate a vedere delle rugosità del terreno che in precedenza era di un piatto assoluto. Sulla carreggiata, a cadenza di qualche centinaio di metri si notano tracce di sangue di animali che hanno impattato con auto o camion, probabilmente durante la notte. A lato della strada ci sono innumerevoli carcasse di guanachi, lepri, uccelli e perfino di un cavallo. Benchè lungo tutta la strada, sui due lati, corrano recinzioni continue, gli animali pascolano appena fuori dall’asfalto a centinaia. Gruppi di guanachi brucano l’erba fin sul bordo della carreggiata e si spostano appena al nostro passaggio. Lungo il tragitto, di tanto in tanto, scorgiamo delle grandi pozze d’acqua dove si ritrovano per bere pecore, uccelli e perfino dei fenicotteri rosa. Vediamo e ci fermiamo a fotografare un branco di nandù, sorta di struzzi di taglia ridotta. Si spostano velocemente ma non scappano e riesco ad avvicinarmi abbastanza da poterli fotografare.
La moto va abbastanza bene ma ho sempre la sensazione che possa accadere qualcosa. Ogni tanto percepisco uno strappetto, segnale che la benzina non giunge al carburatore con costante pressione. Non me la sento di continuare il viaggio addentrandomi verdo l’interno della zona meno popolata senza avere almeno un’altra pompa di ricambio. Temo inoltre che questa difficoltà di alimentazione finirebbe, presto o tardi, col danneggiare anche il motore.
Arriviamo comunque bene e velocemente fino a Rio Gallegos e qui, al distributore di benzina, reincontriamo due motociclisti brasiliani che avevamo conosciuto ieri. Loro avevano proseguito in viaggio quando noi avevamo invece deciso di rimanere al paese di San Julian per la riparazione. Oggi li abbiamo incontrati dallo stesso nostro meccanico. Loro per un problema di camera d’aria, anzi, di 2 camere d’aria rotte entrambe, benchè nuove. Io ho deciso di cambiare la pompa della benzina, sostituendo quella a depressione attualmente montata con una pompa elettrica originale che fortunatamente si è trovata in loco. L’operazione ha richiesto, come ieri sera, lo smontaggio di tutto il bagaglio, delle borse, sella, fianchetti e serbatoio. Il meccanico se la sta prendendo comoda e temo che farà notte, prima che mi consegni la moto. Per adesso scrivo e aspetto, seduto su un quad, all’ombra. Credo che rivedremo i brasiliani stasera, se decideremo di rimanere qui e ripaartire domattina. Lascerò a Nini la decisione in quanto lo sento smanioso di ripartire e non desidero creargli problemi.
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2 marzo 2010
Man mano che scendiamo verso sud la temperatura scende e specie la mattina e verso sera comincia a far freddino.
Abbiamo l’impressione però che anche il calore che avevamo colto con sorpresa e piacere nella gente del nord, stia sparendo con la stessa velocità delle nostre motociclette. Salvo qualche raro episodio, siamo accolti con indifferenza e nessuno ci gira più attorno per chiedere di noi o raccontare di se stessi.
A Buenos Aires, a parte il caos del traffico, chiunque, interpellato o no, si prodigava per darci assistenza, indicarci la strada e perfino accompagnarci per chilometri fino a trovare quella giusta.
Qui le cose sono diverse. A mala pena ti rispondono ed i modi sono piuttosto freddini se non addirittura maleducati.
Ieri abbiamo fatto alcuni incontri simpatici. Un ragazzo di La Plata (dintorni di Buenos Aires) che stava scendendo ad Ushuaia in bicicletta. Ammirevole e simpatico. Al solo pensiero di questo giovanotto che pedala da giorni controvento nella steppa più desolata, carico e senza la sicurezza di arrivare ogni sera in un paesino dove dormire o mangiare, mi ha fatto sentire piccolo ed ho provato quasi un senso di vergogna per l’opulenza dei mezzi con cui ci stiamo muovendo noi e per tutto il carico di comfort che ci portiamo dietro. Bravo, bravo davvero!!
Ad un distributore abbiamo poi incontrato una coppia di tedeschi che stavano risalendo da sud con una Holda Africa Twin 750. Provenivano da Ushuaia, dove erano arrivati partendo da Saltiago del Cile. Lì erano giunti dall’Australia, dove erano arrivati partendo dall’India. Il raid era iniziato in Germania ed avevano percorso i balcani, Grecia, Turchia, Siria Giordania e da Dubai, in volo, fino all’India. Gran bel viaggio. Un po’ strettini su di una moto sola in due e con tutto il necessario per sopravvivere e viaggiare dall’agosto scorso. Bravi, anzi bravissimi anche loro.
Il vento rinforza sempre più. Stamattina abbiamo cercato di cambiare gli euro o i dollari ed abbiamo tentato in 4 posti differenti. Chi per una ragione, chi per un’altra, non siamo riusciti a cambiare fino alle 11. Mattinata persa e in più una sudata pazzesca alll’interno della banca. Una volta partiti, il sudore ha cominciato a raggelarsi. Minacciava di piovere e Nini ha indossato la tuta da pioggia. Io ho posizionato dei sacchi di nylon sulle borse. Naturalmente è uscito il sole…
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1 marzo 2010
La penisola di Valdes è una piattaforma di terra che si allunga sull’oceano Atlantico per un centinaio di chilometri.
Da qualche anno, grazie alla ricca e particolare avifauna che la popola, è stata inclusa tra le aree protette dall’UNESCO e definita “Patrimonio dell’Umanità”. Lo stesso Charles Darwin, nel suo peregrinare alla ricerca di nuove specie da catalogare, ne era rimasto colpito.
Nell’interno, la sua enorme superficie è attualmente suddivisa in 80 proprietà terriere. Vi crescono esclusivamente sterpaglie e piccoli arbusti adatti solo all’allevamento di ovini che si contendono i germogli con i numerosi e graziosi guanachi selvatici, presenti ovunque.
Ogni Estancia (fattoria) possiede e gestisce decine di migliaia di pecore che forniscono una lana così pregiata da avere giustificato, in passato, la creazione di un porto per favorirne l’invio verso i mercati lontani.
Oltre alle volpi grigie, alle lepri di Patagonia dalle lunghe zampe, tanto da farle apparire più come piccoli cani che come le nostre lepri, alle faraone selvatiche che razzolano ovunque lungo la pista e a “los aves caroneros”, grandi uccelli veleggiatori mangiatori di carogne, la caratteristica peculiare sono le numerose colonie di pinguini, di elefanti di mare e di leoni marini. Qui, lungo le coste frastagliate, trovano il loro habitat ideale e qui vengono per riprodursi. Un solo maschio di elefante riesce a coprire fino a cento esemplari di femmina.
Anche l’Armadillo “peludo” è presente con numerosi esemplari. Sembra un gigantesco bruco corazzato con un simpatico musetto da porcospino e la coda di un gigantesco ratto. E’ curioso e non teme l’uomo, per cui si riesce ad avvicinarlo fino a pochi centimetri. Con le lunghe unghie di cui e’ dotato, è in grado di scavarsi un rifugio sottoterra e sparire alla vista in pochi secondi. I locali lo mangiano, trovandone il sapore gradevole. Io devo dire che riuscirò a farne a meno senza rimpianti.
L’osservazione dei mammiferi del mare è semplificata dalla creazione di osservatori, posti a debita distanza e soprelevati. Gli esemplari presenti sono numerosissimi, stipati uno a fianco dell’altro, mescolati tra razze e dimensioni. I giganteschi elefanti si distinguono facilmente per la loro mole (arrivano a pesare fino a 4000 kg) ed il loro colore biancastro. Sono meno numerosi dei leoni marini che si crogiolano al sole finchè i loro piccoli sguazzano nelle piscine naturali tra “las restingas” (canali scavati nella roccia dall’acqua che sale e scende con la marea) e si satollano di alghe, pesciolini e piccoli crostacei.
Sulle restingas si notano anche resti di antichi velieri che vi si sono arenati nel tentativo di trovare rifugio dalla tempesta. La visita ci ha riempito gli occhi. Abbiamo ricaricato lo spirito e siamo pronti a ripartire.
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Siamo partiti presto stamattina e lungo la strada il traffico era intenso. Via via che scendiamo diventano sempre più rari i distributori e la mia Honda è davvero assetata. L’autonomia è più bassa del previsto ed abbiamo dovuto ricorrere all’uso delle tanichette di emergenza che teniamo appese alle casse di alluminio. La KTM di Nini non ha invece problemi di questo tipo. Consuma meno ed ha un serbatoio molto più capiente del mio.
Il vento è divenuto ormai il compagno più assiduo. Non ci molla mai. E’ molto forte e temo che ci accompagnerà fino a destinazione. Quando lo abbiamo di lato, ci spinge e ci si appoggia con la sensazione di viaggiare di bolina stretta. Sbandati ma stabili. Quando invece viene di fronte o da dietro e cambia anche di pochi gradi a destra e sinistra, ci fa ondeggiare visibilmente. I camion che passano rappresentano un ulteriore momento di destabilizzazione e ci schiaffeggiano con pesanti spostamenti d’aria che si aggiungono o sottraggono alle raffiche del vento.
L’asfalto a tratti è fortemente deteriorato e bisogna evitare di entrare nelle profonde orme delle ruote dei camion, impresse sulla carreggiata ed evitare le buche che la punteggiano.
Abbiamo attraversato la città di Comodoro Rivadavia, lasciandola scorrere senza fermarci. Come si fa a vivere in un posto così?
Ora, percorsi più di 650 chilometri, ci siamo fermati a Caleta Olivia. Ma quanto è lunga l’Argentina? Domani proveremo a farne altri 700.
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28 febbraio 2010
L’alberghetto ha una splendida veduta sul golfo dove, in stagione, si possono osservare le evoluzione delle balene. La stagione però è passata e purtroppo non riusciremo a vederle. Già la notte scorsa Nini non era riuscito a dormire (dice lui), a causa dei continui latrati di un cane (che io non ho sentito). Immagino che anche il vento di questa notte, che squassava incessantemente le lamiere della copertura dell’hotel, lo abbia disturbato. Per me invece è stata una compagnia.
All’alba, appena il cielo ha iniziato a tingersi di rosa, mi sono alzato per prendere qualche foto del golfo.
Abbiamo poi cercato una sistemazione alternativa all’albergo di questa notte che, individuato ieri sera tardi, si era rivelato piuttosto caro. La nuova sistemazione, assolutamente dignitosa, per alcuni versi è più carina.
Riusciamo a trovare un’auto con guida e partiamo per un tour della penisola. Abbiamo così modo di visitare da vicino alcune colonie di pinguini, di elefanti marini e leoni di mare. Siamo spettatori dei giochi dei piccoli nati che si trastullano tra le onde vicino alla riva.
Oggi non si vedono le orche che a volte arrivano fino a spiaggiarsi nel tentativo di azzannare un cucciolo di foca.
Le fotografie che campeggiano in ogni locale del paese, ritraggono incredibili scene dei salti di questi mostri del mare mentre giocano con le loro sfortunate vittime.
Il vento oggi non ha mai smesso di soffiare e la sabbia ci ha tormentato entrando negli occhi e sferzandoci il viso.
Questa sola giornata è valsa il viaggio.
Nini e’ sereno e sta bene, io pure. Avanti cosi!!!!!
27 febbraio 2010
La mattinata è stata dedicata alla ricerca di un fabbro per far sistemare la borsa di Nini. Abbiamo trovato una specie di officina meccanica da terzo mondo che però ci ha risolto il problema in meno di un’ora e con una spesa di circa 8 euro.
Partiti con un po’ di ritardo, abbiamo percorso quasi 200 km di una strada diritta, a sali scendi, attraverso una steppa desolata. La strada era solo nostra, nessun traffico. Davanti e dietro a noi, il nastro d’asfalto riflettava il calore dando la sensazione tipica di un miraggio.
Mi son scordato di scrivere del curioso comportamento degli indigeni. Tutti si avvicinano se ci fermiamo e si fanno le foto vicino a noi. Se passiamo in un villaggio ci seguono e poi si avvicinano per chiederci da dove veniamo, dove andiamo. Tutti sono gentilissimi e molto cortesi. Mai troppo invadenti. Moltissimi sono di origine italiana e desiderano raccontarci la loro storia. Sono disponibili per fornirci tutte le indicazioni ed addirittura ci tengono a scortarci fin sulla strada da prendere. Pochi sanno però leggere una carta ed indicarci semplicemente il luogo in cui ci si trova in quel momento.
Ora, finchè scrivo, siamo seduti in una trattoria, al primo piano. Sotto di noi, sul piazzale, vediamo le moto e varie persone che si avvicendano al loro fianco per farsi fotografare. Alla televisione stanno raccontando del terremoto che ha colpito il Cile questa mattina. C’è grande preoccupazione per l’accaduto.
Ripreso il cammino con vento forte da sinistra. Avremo così modo di pareggiare l’usura dei copertoni sul lato opposto a quello di ieri. Procediamo inclinati di 10 gradi per resistere al vento. Quando passa qualche grosso camion ci crea delle turbolenze che squassano la moto e ci fanno zigzagare. Sulla strada delle ormaie profonde rendono difficile il controllo. Un po’ per volta però ci si abitua.
Riflessioni: ogni giorno che passa, ogni chilometro che scorre sotto le ruote della mia moto, mi alleggerisce l’anima e mi libera la mente. Questi ultimi mesi sono stati davvero pesanti. Ora tutti i pensieri si stanno sciogliendo e si perdono lungo la via. Mi accorgo di non pensare a nulla e mi sento bene.
Stasera siamo arrivati sulla penisola di Valdes, territorio protetto dall’UNESCO in quanto habitat di molti animali tipacamente antartici, quali i pinguini, le orche, i leoni di mare, gli elefanti di mare e la balena franca australe. Faremo sicuramente un tour sperando di riuscire a vedere alcuni di questi esemplari.
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26 febbraio 2010
Oggi abbiamo attraversato la “Pampa húmeda”. Facile intuire il significato del nome. C’è abbondanza d’acqua ovunque ed inoltre la scorsa settimana ci sono state delle alluvioni.
Definire queste praterie come sterminate, rischia di essere riduttivo. Centinaia e centinaia di chilometri su cui si alternano coltivazioni di girasoli, olivi, cipolle, grano e, dove cresce solo erba, mandrie di bovini o pecore o maiali a perdita d’occhio. Qui il cielo si perde in lontananza, colorandosi del verde dell’erba.
Il vento della Patagonia non ci ha fatto attendere. Ci è venuto incontro fin dalla mattina. Le raffiche, a volte molto forti, ci hanno costretto a viaggiare piegati sul lato a occidente.
Una delle curiosità, cui dovremo far l’abitudine, è quella di avere, a mezzogiorno, il sole dietro, pur facendo rotta verso sud. Eh si, anche le stelle che vedevo ieri sera non sono le stesse su cui tante volte ho fermato lo sguardo nelle calde serate di agosto o nelle gelide e limpide nottate invernali.
La strada è lunga e diritta ed i camion che ci vengono incontro formano una colonna continua. Fortunatamente il traffico è disciplinato e si viaggia bene, sui 120 Km/h.
Improvvisamente la mia moto comincia a strattonare ed il motore si ferma in 500 metri. Ecco il primo problema. Ovviamente il pensiero corre a valutare tutte le ipotesi e prospettive. Stacco le cannule della benzina dalla pompa che sembrerebbe a posto. Riaccendo ed il motore parte senza problemi. Mah…. Fatto sta che la moto riprende la sua corsa.
A sera avremmo percorso 400 chilometri senza altri problemi. Arriviamo in una zona inondata e si rende necessaria una deviazione che ci porta a percorrere una pista tra i campi, massacrata dal traffico pesante, con profonde impronte e sabbia alta. Tenere la moto in queste condizioni, carica e nelle “sabbie mobili”, non si dimostra facile. Si viaggia stando in piedi sulle moto, per abbassare il baricentro del carico. In una curva sbando e riesco a mantenere l’equilibrio con fortuna, più che per abilità, ma esco di strada, fermandomi a 10 metri dalla pista. Nini invece non ce la fa e, colto di sorpresa, si ritrova a terra. La velocità molto bassa e lo strato di sabbia sottile evitano conseguenze. Nini sta bene, solo la borsa del lato destro appare danneggiata. Perdiamo più di un’ora per smontarla e rimetterla in sesto alla meno peggio, tanto da poter riprendere il viaggio ed arrivare alla prossima cittadina in cui cercare un fabbro. Fortunatamente è in alluminio e si presta ad essere battuta ed aggiustata.
A Viedma troviamo un alberghetto e ci fermiamo per la notte.
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25 febbraio 2010
La giornata è stata particolarmente lunga ed estenuante.
Soffocati dallo smog, perennemente ingorgati in un traffico da girone infernale, siamo arrivati al “Deposito fiscal”, per prelevare le moto, solamente alle 10 di mattina. C’è voluta poi un’ora per trovare un funzionario che ci desse retta.
Devo dire, con una punta di sano orgoglio, che i due semi corsi di spagnolo che ho seguito (a tratti) qualche hanno fa, si son rivelati utili e me la sto cavando benino. Siamo appena all’inizio e mi capita ancora di parlare in castigliano e sentirmi rispondere in inglese, ma conto di risolvere il problema “dentro de una semana”.
Fortunatamente gli addetti al deposito, un po’ per cortesia, molto per curiosità, si sono adoperati per aiutarci nell’opera di smontaggio delle casse, estrazione delle moto e poi assemblaggio del carico. Nini ha fatto 10 passaggi in dogana per compilare documenti sempre nuovi, per firmarne altri e per pagare un conto salato, anzi due, ma finalmente siamo usciti nel traffico.
Le moto sovraccariche, con copertoni nuovi tappati e la pressione probabilmente bassa, sono risultate quasi ingovernabili, in quanto leggerissime sulla ruota anteriore. Tra mille peripezie abbiamo raggiunto un’officina KTM dove, con gentilezza, competenza e velocità, hanno ricalibrato le sospensione della moto di Nini e ripristinato la pressione delle mie gomme, scesa inspiegabilmente a livelli molto bassi, dopo un mese e poco più dall’ultima verifica eseguita in Italia.
Si son fatte così le sei di sera e finalmente ci siamo reimmessi nel traffico diabolico della città. Dopo più di 30 kilometri abbiamo imboccato la Ruta Nacional 3. A tratti autostrada, a tratti a doppio senso di circolazione. La pampa ci ha accolto a braccia aperte, sconfinata.
L’unica indicazione attendibile che eravamo riusciti a raccogliere era per un alloggio nel paesino di Benito Juarez, a 380 kilometri. Alle 20 era già buio e la guida notturna, su strade trafficatissime da bestioni fumanti non è stata facile nè divertente. Finalmente alle 23 siamo arrivati a destinazione. Percorsi in totale 430 kilometri, non vedevo l’ora di metter qulcosa sotto ai denti e buttarmi su un letto.
Buono il ristorante e carino l’alberghetto, il prezzo veramente modico.
L’equivalente di 35 euro per cena e camera per persona. Ora ci prepariamo per ripartire……….a stasera quindi!
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24 febbraio 2010: arrivati a Buenos Aires
Dopo un estenuante volo di 14 ore da Roma e 24 ore dalla partenza da casa, eccoci arrivati a Buenos Aires.
L’hotel era già prenotato. Il primo tassista ci ha già fatto capire che ci dobbiamo svegliare. Infatti ci ha subito rifilato una bella fregatura. E lo sapevamo anche che si doveva stare attenti!!!
Passo numero due, prendere contatto con l’agenzia per lo sdoganamento delle moto. Contatto telefonico e, prima di tutto, banca e pagare!!!
Lo scrivo come memorandum per me e per chi ne dovesse mai aver bisogno in futuro: 333 dollari per l’agenzia, da aggiungersi a quanto già pagato allo spedizioniere in Italia. Poi documenti da portare in dogana dove, dopo 2 ore e mezza di timbri, copie e firme, usciamo con le carte in regola per andare al deposito dove dovrebbero trovarsi le nostre moto.
Anche qui procedure varie e documenti da presentare per l’ennesima volta ma alla fine, insperabilmente, riusciamo a vedere le casse.
Quella che contiene la moto di Nini appare leggermente sfondata su un lato. Procediamo ad una apertura parziale e riusciamo a verificare l’integrità di moto e bagaglio. Visto l’orario e la stanchezza che ormai ci assale, preferiamo rimandare tutto a domani. Saremo li molto presto e dovremo aprire gli imballi, cambianci e finalmente partire.
Se tutto va per il verso giusto avremmo fatto meglio del previsto, un solo giorno!