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15 marzo 2010

Bariloche è una cittadina interessante, molto viva e con bei negozi fornitissimi. Anche qui appare ben rappresentata la comunità tedesca, con birrerie e ristoranti tipicamente bavaresi.

Abbiamo rinunciato al tour nei dintorni, preferendo oziare e dedicando del tempo alla manutenzione straordinaria delle moto con lavaggio e piccoli interventi di riparazione. Pulizia filtri, controlli più approfonditi degli altri giorni, sistemazione bagaglio. Da domani si punterà decisamente a nord. La prossima meta è Mendoza, a 1250 km. Partiremo presto ma dipenderà molto dalle condizioni della strada: traffico, vento, salite. Ritengo che una tappa intermedia si renderà necessaria.


Alcune informazioni di contorno…………

La Ruta 40 è la strada più lunga e spettacolare dell’Argentina che attraversa longitudinalmente per 4885 km. Parte in Patagonia da Cabo Virgines km 0 ed arriva alla La Quiaca, sul confine con la Bolivia, dopo 4885 km.
In parte è su ripio (terra battuta) e in parte su strada asfalta. Sale sopra ai 5000 metri sul mare, attraversa 236 ponti, tocca 13 tra grandi laghi e saline, accede a 20 riserve e parchi nazionali, attraversa 18 importanti fiumi, supera 27 passi della cordigliera andina, attraversa 60 tra pueblos e città.

La RN 40, costruita nel 1935, percorre da sud a nord, tre regioni e 11 province:
Patagonia: Santa Cruz, Chubut, Rio Negro, Neuquen
Cuyo: Mendoza, San Juan, La Rioja
Norte: Catamarca, Tucuman, Salta e Jujuy

14 marzo 2010

Oggi solo tappa di trasferimento, da Esquel a San Carlo de Bariloche.
Vento molto forte e difficoltà di avanzamento. Molto freddo in questo paesaggio tipicamente alpino, con foreste di conifere, laghi e valli verdeggianti.
Mi sembra si stia andando verso aree più popolate, però da Esquel il primo distributore lo abbiamo trovato solo dopo 180 km.


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13 marzo 2010

Oggi giornata molto dura. Abbiamo percorso la Carretera Austral per varie centinaia di chilometri, attraversando più volte dei passi tra le Ande.

Il paesaggio splendido. La strada, che costituisce l’unico collegamento dell’area sud del Cile con il resto del Paese e che porta un nome così importante, è più o meno come sono le strade del nostro altopiano di Asiago che portano i turisti alle malghe. Quasi tutto il percorso si sviluppa su sterrato.

La vegetazione lussureggiante invade da ambo i lati parte della carreggiata che di per sè non è molto larga. Due mezzi, incrociandosi, non potrebbero passare. Fortunatamente il traffico è estremamente limitato. Oggi, in 150 km, abbiamo incontrato 2 fuoristrada e nient’altro.

La pista, credo sia più opportuno chiamarla così, sale e scende di quota tra boschi di aspetto tropicale, in vicinanza di ghiacciai eterni.

Questa è una terra di contrasti. Caldo e freddo, deserto e foresta, siccità e laghi, tutto dai connotati molto netti, molto duri.

E qui, in Cile, anche la gente è diversa. Già dalla frontiera si percepisce che il clima è più severo, in tutti i sensi. C’è più burocrazia. La gente non ha voglia o tempo per farsi attorno a noi, come succede invece in Argentina. Sembra quasi che le persone siano troppo indaffarate a sopravvivere.

Il clima è duro e già ora fa freddo. Passando nei villaggi, meglio sarebbe dire tra le rare baracche che affiancano la strada, anche a distanza di 100 chilometri un gruppo dal successivo, si nota solamente l’attività dei boscaioli che stanno preparando la legna per l’inverno. Grandi cataste attorniano le povere casupole e dai camini di tutte esce il fumo.

All’imbrunire fa già freddo. Mi chiedo come facciano a trascorrere il lungo inverno vivendo così isolati dal resto del mondo. Non ci sono collegamenti telefonici e tantomeno di rete. Non credo ci sia la televisione. Le case sono povere. Quasi tutte in legno e lamiera, alcune sono costituite da prefabbricati da campo, cui hanno aggiunto porticati o tettoie. Spesso sono dipinte con colori vivaci, giallo, rosso, azzurro. Si sono appropriati dei posti più improbabili per viverci. Bambini se ne vedono pochi, però in ogni villaggio ho sempre visto un parchetto con i giochi classici dei bimbi, con altalene e scivoli.

Tra le case e nei dintorni dei pueblos non c’è disordine, non ci sono immondizie abbandonate. Credo che qui ogni cosa sia preziosa e non si possano permettere sprechi. Ricordo che anche in Algeria, molti anni fa, durante un viaggio attraverso il deserto, i bambini si contendevano le nostre bottiglie di plastia vuote. Tutto può essere utile, a chi non ha niente.

Nei villaggi di maggior dimensione non è raro scoprire che nomi di hosterie, alloggi od altre attività sono in tedesco. Anche le vie richiamano località germaniche. Sicuramente ci sono ancora, tra queste valli, dei fuggitivi dell’ultima guerra mondiale. O i loro discendenti. Forse anche per questo la gente è più riservata e nessuno chiede nulla.

Ormai a notte fatta siamo arrivati al confine con l’Argentina. Solite formalità ma la speranza di poter percorrere gli ultimi chilometri su asfalto viene presto delusa. Ci aspettano altri 50 km di sterrato, di notte, in una discesa piena di curve e con la strada in condizioni pietose. La polvere rende quasi invisibile il percorso.

Siamo stanchi, dopo 12 ore di sterrato. L’ultima ora è un vero calvario. Arriviamo in pianura sbiancati dalla polvere come dei Pierrot.
Siamo a Esquel, sani e salvi.


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12 marzo 2010

Siamo in Cile. Fortunatamente ieri sera abbiamo deciso di passare la notte a Chile Chico, un piccolo pueblo appena oltre la frontiera.
Il programma originario avrebbe previsto di scendere fino all’innesto con l’Austral, 123 chilometri entro il confine. Dico fortunatamente perchè questa mattina abbiamo percorso il tratto di strada che dalle informazioni raccolte sarebbe dovuto essere in asfalto ed abbiamo impiegato quasi tre ore.

La strada si arrampica sul fianco della montagna che confina con il lago Buenos Aires, con giri viziosi, ripide salite ed altrettanto ripide discese. Il fondo naturalmente in terra battuta ma molto compromesso.

Bellissima la vista di un nuovo contesto, non più desertico e piatto, bensì roccioso, sinuoso e colorato. Questa è una zona di miniere d’oro e d’argento, ormai abbandonate. La vista sul lago è mozzafiato. Le sue acque si tingono di blu cobalto e poi virano sull’azzurro. Sullo sfondo il sole trae riflessi argentei. É un laghetto di montagna lungo 200 chilometri. Sulle rive la vegetazione esplode con esemplari quasi tropicali e foreste da favola.

La guida è, ancora una volta, molto impegnativa. Lo sterrato non ci abbandonerà nemmeno oggi per più di otto ore. A sera, nell’ultimo tratto, il vento frontale è cosi’ forte che la moto non ha potenza sufficiente per superare gli ottanta Km/h.

Poco prima del tramonto arriviamo a destinazione e come giusto compenso ci soddisfiamo con una deliziosa cenetta.


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11 marzo 2010

Oggi viaggio di trasferimento. Nessuna meta particolare, solamente chilometri da macinare per spostarsi più a nord, lungo la “Ruta 40″.

Da oggi potrò fregiarmi con orgoglio del distintivo di chi ha percorso questa strada lunga e difficile. In altri tempi si trattava sicuramente di un’impresa alla portata di pochi, ora è sicuramente più facile ma rimane tuttavia esclusiva per motociclisti di un certo tipo.

É molto faticoso percorrerla, anche se a tratti cominciano a vedersi lavori di ripristino che non sempre però costituiscono un vantaggio.

Spesso la terra appare smossa e ci sono tracce profonde. Il territorio che percorre è sempre deserto e selvaggio. In tutta la giornata, percorrendo 380 chilometri, avremo incrociato 5 o 6 auto. Branchi di cavalli bradi e qualche mucca, pecora o volpe sono stati gli unici esseri viventi che abbiamo incontrato. A metà della via un paesino di quattro case, un negozietto ed una pompa di benzina.

A sera avanzata ci dirigiamo verso la frontiera cilena. Passiamo i controlli, fastidiosi perchè i cileni ci fanno smontare tutto per verificare che non stiamo portando con noi frutta o vegetali. Nini si irrita ed inizia a bofonchiare. Tento in tutti i modi di farlo ragionare ma non sente ragioni. Chiede perfino il nome al funzionario per intimidirlo. Naturalmente la situazione peggiora e, sotto lo sguardo indifferente del doganiere, deve smontare il bagaglio ed aprire tutte le borse. Dopo mezzora ripartiamo, per fermarci quasi subito al primo paese per passare la notte.
Domattina scenderemo a valle per imboccare l’inizio di un’altra mitica strada, che corre da sud verso nord, la “Carretera Austral”, ancora in sterrato per almeno altri 200 chilometri.


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10 marzo 2010

Stamattina presto la moto era pronta. Il ragazzo della “gomeria” è stato di parola ed aveva montato il copertone, arrivato con il corriere di mezzanotte, e fatto il cambio dell’olio motore.

Pagato l’hotel, con 120 pesos (24 euro), abbiamo ripreso il nostro viaggio verso nord, attraversato pianure infinite di un giallo paglierino, deserti sabbiosi color ocra punteggiati da grandi laghi di acqua azzura e lagune blu cobalto. Tutto sotto un cielo reso limpido dal forte vento.

Già dalla “Ruta 40″ cominciamo a scorgere, in lontananza, il picco del Fitz Roy. Sono più di 100 chilometri ma si vede così bene che quasi non serve deviare per andarlo a vedere da vicino.
Tuttavia decidiamo di andare a rendere omaggio al mitico Cerro Torre, ben noto a tutti gli alpinisti nostrani. I picchi montuosi si staccano dalla pianura e svettano verso il cielo, senza pedemontana. Siamo ad una quota relativamente bassa ma la neve è lì, a poca distanza da noi. Un’altro ghiacciaio, più piccolo e meno famoso del “Perito Moreno”, si riversa nel lago.

Troviamo molti turisti stranieri. Dall’abbigliamento sono tutti chiaramente appassionati di montagna, se non proprio alpinisti. Alcuni di loro sono italiani. Sulla strada incrociamo anche diversi cicloturisti, stracarichi di bagagli. Penso a quanto siano coraggiosi, con questo vento, senza mai sapere con certezza se arriveranno al prossimo centro abitato che può trovarsi anche a 200 km di distanza, portandosi appresso tutto il necessario per dormire, mangiare, vestirsi in caso di freddo o pioggia. Alcuni viaggiano in coppia, altri sono soli.

Reso omaggio a questa splendida montagna, rifatto il pieno, ci dirigiamo verso est per riprendere la mitica “Ruta 40″.
L’inizio non è dei migliori e lo sterrato presenta alcune difficoltà. Bisogna seguire le traccie delle ruote con molta attenzione. La striscia percorribile è molto stretta, anche meno di venti centimetri ed i bordi sono dei cordoni di ballast sciolto che basta toccare per cominciare a sbandare.

Con il vento diventa difficile mantenere la traiettoria. In un tratto particolarmente ostico, dove lo strato di ghiaia e pietrisco raggiunge i venticinque centimetri e la traccia è quasi invisibile, sbando un paio di volte e rischio di cadere. Fortunosamente rimango in equilibrio e proseguo, ma rallento. Renato mi supera e cinquanta metri dopo inizia una sbandata che non riesce a controllare e dopo una decina di metri è a terra, con la moto che si ferma sul bordo della pista, girata di 180 gradi. Fortunatamente la caduta è stata morbida e senza conseguenze. Dieci minuti affinchè si possa riprendere e ripartiamo.

Non e’ facile correre in questo tratto di strada. La tensione è massima ed i pugni sono serrati sulle manopole. Le mani mi dolgono. Centosettanta chilometri in questo modo non passano mai. Nini invece si trova a suo agio e probabilmente si sta divertendo.

Arriviamo ad un bivio dove un cartello indica l’Estancia Angostura, cinque chilometri di deviazione ed arriviamo nel paradiso terrestre.
Proprio sul limite di proprietà, appena oltre il cancello di accesso, alcune lepri ci fuggono davanti alle ruote. Un piccolo rio costeggia il viottolo che ci conduce alla Estancia. Delle oche selvatiche ci sguazzano e non si curano di noi che stiamo passando con le moto. La prateria di un verde lussureggiante contrasta con tutto ciò che abbiamo visto lungo il percorso ed è popolata di armenti. Mucche, pecore e cavalli si pasciono dell’erbetta fresca. Pavoni ed altri uccelli razzolano nella corte. Appena arresto la moto, un bel gattone bianco ci salta sopra, dandomi il benvenuto.

Il titolare dell’azienda ci spiegherà poi della presenza di puma in numero consistente. Loro li chiamano “Leones”. E di come a volte, per istruire alla caccia i loro piccoli, questi felini di dimensiomi notevolissime, compiano stragi di pecore, arrivando ad ucciderne, in una sola notte, fino a sessanta unità. Ci spiega inoltre che tra poco la stagione sarà finita e loro torneranno in paese, abbandonando tutto per tutto l’inverno. Greggi e mandrie rimarranno incustodite per tutto il periodo e dovranno arrangiarsi per sopravvivere. Qui la neve arriva a ricoprire il territorio con almeno 30 cm di spessore.

Nini era già passato per questo luogo 10 anni fa ed ora racconterà lui le emozioni che sta provando.

Ugo

Mi approprio solo per questa volta del pc di Ughetto e unicamente per fare tutti pertecipi di ciò che sto provando.

Sono passati dieci anni da quando in una fredda notte di dicembre, ho trovato per caso questo paradiso: l’Estancia “La Angostura”.

Inspiegabilmente, ci siamo ritrovati nel medesimo posto che molti anni prima aveva contribuito a risolvere i non pochi problemi che avevo vissuto da viaggiatore solitario. Ora, con amici e con una giornata favolosa alle spalle, assaporo un piacere diverso. Riscopro me stesso e tutto ciò che era da molti anni sopito. L’emozione è tanta. Auguro agli amici più cari di vivere questi momenti.

Ho chiesto di “Bamby”, il piccolo guanaco che mi aveva accolto con la sua piccola padroncina ma, purtroppo, non ci sono più. Il primo per vecchiaia e la piccola a causa di un incidente. E’ inspiegabile che in un località tanto sperduta e per nulla trafficata si possa morire in questo modo. La tristezza che provo si mischia con l’emozione di essere nuovamente qui.

Tra poco ceneremo e, per quanto mi riguarda, il piccolo Bamby sarà al mio fianco e la piccola sulle mie gambe.

Nini

P.S. Lo sterrato (“il ripio”) è una favola. Ughetto sta diventando la freccia della Patagonia!!!

É un viaggio particolare. Di viaggi in giro per il mondo ne ho fatti diversi. Vuoi per lavoro, vuoi per turismo. Con la famiglia, con gli amici, a volte da solo.

Quasi mai c’è stato il modo o il tempo per la riflessione.I periodi, sempre troppo brevi, non mi avevano mai consentito di staccare completamente, di allontanarmi dai problemi e pensieri di ogni giorno. In questa occasione sto cogliendo l’opportunità di stare un po’ con me stesso.

Sembrerebbe un paradosso. Siamo partiti in 2 ed ora siamo quasi sempre in 4. Eppure è così. Le lunghe ore di guida della mia moto, mi lasciano quotidianamente ampio spazio per stare con me stesso. Si, è vero, guardo il paesaggio, controllo se gli altri si vedono nello specchietto o davanti a me, incontro gente, faccio fotografie. Però lo spirito lo sento diverso da quello che sempre mi aveva accompagnato in precedenza.Comincio pan piano ad espellere le scorie che mi hanno incrostato la mente. Ci vorrà ancora del tempo.

Per ora il rapporto principale è con la mia moto. Fedele e vecchia compagna, non abbandonarmi! Io e lei ormai ci conosciamo bene. Ha sofferto un po,’ all’inizio del viaggio, dopo tanti anni di quasi inattività, ma non ne aveva colpa. Ora il suo motore gira come un orologio svizzero e tutto funziona a meraviglia. La seguo, le parlo, la sento. Colgo ogni variazione nel ritmo dei suoi giri. Come gira il vento anche i rumori e le vibrazioni che percepisco cambiano ed io cerco di capire se tutto è normale. Un attimo con fiato sospeso e poi mi tranquillizzo.

Sono anche altri i pensieri, ovviamente, ma per la maggior parte del viaggio tengo la mente sgombra e lascio che il tempo scorra……….

Ugo


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9 marzo 2010

Stamattina a colazione abbiamo trovato le nostre tute da moto lavate ed asciugate. Con 6 euro la proprietaria dell’hotel mi ha lavato 5 o 6 capi di vestiario. Qui in Argentina i prezzi sono molto convenienti. In Cile abbiamo avuto la sorpresa dei costi altissimi di ogni cosa. Hotel, pasti ma soprattutto la benzina hanno prezzi elevatissimi.

La ricerca di un meccanico, nonostante le informazioni di cui disponevamo, si è rivelata infruttuosa. Nessuna possibilità di trovare il ponticello per bloccare il manubrio e nessuna disponibilità di pneumatici per moto. Purtroppo domenica scorsa, mentre eravamo a Punta Arenas, zona tra l’altro che gode di notevoli agevolazioni fiscali, era domenica e tutte le attività erano sospese. Speravamo di trovare le gomme qui a El Calafate. Non è andata così. In conclusione, dopo aver girato per mezza mattinata, siamo riusciti ad ordinare un copertone a Rio Gallego. Arriverà con l’ultimo trasporto della notte.

Nell’attesa abbiamo rispettato comunque il programma recandoci a visitare il famosissimo Perito Moreno. Da una passerella panoramica che corre lungo la riva opposta, si può ammirare il suo fronte, altissimo e sospeso sul lago dove scarica in continuazione montagne di ghiaccio che prima scricchiola e poi esplode precipitando nell’acqua con alti spruzzi di schiuma. Sull’acqua opalina galleggiano piccoli icebergs. Il sole penetra a tratti tra le nuvoli grigie e fa brillare la superficie di ghiaccio. Sul fondo dei crepacci e nelle fenditure del fronte, il ghiaccio è di un blu intenso. Il campo ghiacciato scende dalle montagne lontane. É largo e maestoso.

Rientriamo al paese verso sera ed andiamo a verificare la situazione dei nostri ricambi. Ci comunicano che il ponticello non è stato trovato, mentre il copertone e l’olio sintetico stanno arrivano ma non saranno qui prima di mezzanotte. Il gommista si dichiara disponibile ad eseguire il lavoro a mezzanotte. Nel frattempo sembra ci sia qualcuno in grado di costruire un ponticello con mezzi di fortuna. Dopo diversi tentativi di scarso successo, finalmente viene presa la decisione giusta. Da un pezzo di ferro massiccio, tratto da uno scalpello da muratore, viene sagomato un pezzo simile a quello esistente. Con una mola viene scanalata la sagoma del manubrio e con un trapano eseguite le sedi per i bulloni. In un paio di ore viene montato un nuovo ed efficiente ponticello. Finalmente ora mi sento sicuro di tornare a correre sul ripio. Il gommista ci assicura che domattina troveremo la moto pronta per le otto e mezza. Sembra una persona seria e molto disponibile. Non potremmo tuttavia fare diversamente. Anche l’olio, benchè io ne abbia con me 2 kg, arriverà a mezzanotte. La mia Honda, nonostante i suoi 22 anni di eta’, ha consumato in 5000 km meno di 500 grammi di olio.

Finalmente, a fine giornata, le cose sembrano in via di risoluzione. Domani partiremo per il Fitz Roy e poi su, lungo la temibile Ruta 40.


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8 marzo 2010

Dopo un meraviglioso risveglio ai piedi delle Torres de Paine, le Tofane locali, ed un’abbondante colazione, siamo partiti con un vento pazzesco per completare il tour del parco nazionale.

Gli scorci di montagne innevate e valli infinite hanno corroborato il nostro spirito. La guida con vento, sul “ripio”, è sempre difficoltosa.

Ci siamo quindi trasferiti a nord, verso El Calafate, una cittadina “muy linda”, sulla strada che conduce al Perito Moreno, lo spettacolare ghiacciaio il cui fronte si arresta sul lago.

Domani dovremo anche cercare un meccanico ed un gommista per cambiare il mio pneumatico posteriore, l’olio e rimettere al suo posto uno dei due ponti che bloccano il manubrio che ho perso con le vibrazioni sullo sterrato.
Sono già ormai mille i chilometri percorsi con il manubrio bloccato da un solo ponticello e delle cinghie.


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7 marzo 2010

La notte per me è stata molto breve. A letto alle 2 e sveglia alle 7. Devo alzarmi presto per tentare di riparare il guasto senza rovinare la giornata agli altri.

Smonto tutti i bagagli per l’ennesima volta e tolgo anche la valigia in alluminio. Sostituisco le centraline e parto per il giro di prova. Niente da fare, la moto va peggio di prima. Cambio la combinazione delle centraline. Una vecchia ed una nuova ma nulla da fare. Sono piuttosto demoralizzato e preoccupato.

Nini mi ricorda di controllare il filtro dell’aria. Lo faccio senza convinzione, in quanto non appare particolarmente sporco. Vado tuttavia a rifare il giro di prova, senza filtro dell’aria montato e…….la moto va!! Il motore prende tutti i suoi giri e non strattona più. Vado con il filtro in mano dal distributore più vicino per farlo pulire con l’aria compressa. Il soffio non rivela particolare presenza di polvere.

Ho tuttavia individuato il problema e non voglio rischiare di partire nelle condizioni di ieri. Entro pertanto in un supermercato ed acquisto delle spugnette in fibra. Si, quelle per lavare le pentole. Verdi! Nini me ne sistema una davanti alla presa dell’aria. Strappo la carta che avvolge il filtro originale e lo rimonto così, affidandomi alla spugnetta.

Intanto si son fatte le 11 e finalmente possiamo ripartire. La prima mezz’ora è di trepida fiducia, ma sempre in attesa di sentire uno strappetto del motore che invece funziona e gira a meraviglia. Piovicchia e fa freddo, anche stamattina.

250 km di asfalto ci portano a Puerto Natales. Una bella cittadina turisticizzata al massimo. Qui mangiamo in maniera divina e per la prima volta da quando siamo in sud america. Il Cile è carissimo. A differenza dell’Argentina, dove la benzina costa la metà che in Italia, qui costa addirittura più che da noi.

Il territorio che percorriamo è straordinario e si alternano basse colline su cui si inerpica la strada e pianure sconfinate, battute dal vento. Il cielo è nero, carico di pioggia ma all’orizzonte si intravvede una linea di azzurro. Noi ci stiamo dirigendo da quella parte. Il vento fa correre le nubi e le stira in cielo. Dei laghetti, ai lati della strada, sono popolati da fenicotteri rosa. Il vento aumenta e nell’ultimo tratto di 145 chilometri, trasforma il piacere in sofferenza. Già sull’asfalto risulta molto difficile tenere la moto quando le raffiche si abbattono su di noi. La traiettoria che percorre la moto attraversa zigzagando le due corsie. Sono tutto inclinato verso sinistra e vedo nello specchietto che anche per gli altri il problema è lo stesso. Contrastare il vento ma con attenzione. Quando cala la raffica bisogna risollevare prontamente la moto, altrimenti mancherebbe l’appoggio e si cadrebbe di lato. Ho quasi la sensazione che il vento possa portarmi via le ruote da sotto.

Sul “ripio” (lo sterrato), le cose vanno assai peggio. La polvere che si solleva rende scarsa la visibilità. Il vento rende incerta la traiettoria e si fatica a tenere la traccia battuta, finendo spesso sui cumuli di ghiaia che corrono nel centro strada e sui lati. La cosa peggiore è la “tole ondulee” o “costeletas” come la chiamano gli amici brasiliani. Innesca una vibrazione continua e toglie completamente aderenza al terreno. Il vento forte sposta così il retrotreno della la moto verso sottovento. Nelle curve poi, diventa davvero difficile tenere l’assetto.

É da un po’ che in lontananza si intravvedono le propaggini della Cordillera. Le cime in distanza appaiono innevate. Scorci di mare luccicante con sullo sfondo cime appuntite bianche di neve ed il cielo più drammatico che io abbia mai visto. Nero e tempestoso, sopra alle cime, stracciato da squarci di cielo dai bordi candidi e rilucenti che grandi fasci di luce attraversano per finire sulla superficie del mare rendendola d’argento.

Verso sera affrontiamo l’ultimo tratto ed arriviamo al Parque Nacional de Torres de Paine. La vista sullo sfondo lascia senza fiato. Svettante in lontananza una copia delle nostre dolomiti. In particolare le tre Torri di Lavaredo sembrano lì, ad attenderci.

Non c’è nessuno nel parco ed abbiamo la fortuna di trovare due stanze in un rifugio. Sono confortevoli e ci sistemiamo per la notte. La locandiera ci prepara una cena deliziosa a base di “sopa” biancastra ma saporita e l’immancabile cordero (agnello).
Alle 11 spengono il generatore e ci tocca andare a letto. Che dormita. Il vento tira per tutta la notte, fortissimo. Chissà domani come sarà.


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6 marzo 2010

Partenza da Ushuaia alle 10. Ci siamo dati appuntamento con Renato e Ricardo, i nostri amici brasileiri con cui avevamo cenato ieri sera. La mia Honda non gira come dovrebbe. Perde colpi e strattona. Cade una pioggerellina sottile e fastidiosa. Fa freddo. Qui aspettano la prima neve entro un paio di settimane.

Percorriamo a ritroso la strada che si inerpica tra le gole dei monti, alle spalle della città, tra boschi e valli meravigliose.

Peccato dover già riprendere il cammino. D’altra parte appare opportuno non sfidare troppo la sorte che ci ha permesso di godere, finora, di belle giornate e soprattutto senza pioggia. Temo che non tarderà a farsi viva. L’importante è cominciare risalire verso latitudini più alte che ci assicurino anche delle temperature accettabili.

Il viaggio prosegue senza inconvenienti, salvo quello della mia moto che proprio non va. Ci fermiamo ogni 150 chilometri per il rifornimento di benzina e poi riprendiamo. La destinazione fissata prevede una lunga tappa da Ushuaia a Porvenir, sulla riva sud dello stretto di Magellano. Da qui parte un tragetto che ci dovrà portare a Punta Arenas in due ore e mezza.

La strada è, per buona parte, in sterrato. Il problema principale sono i camion che sollevano una polvere impenetrabile che rende impossibile il sorpasso e fa perdere completamente la visibilità. Dopo 400 chilometri arriviamo al porto dove apprendiamo che il traghetto è stato annullato. Il prossimo partirà domani, alle ore 17. Decidiamo pertanto di dirottare sul traghetto più a nord, quello che avevamo preso per venire in terra del Fuoco. Si tratta però di percorrere altri 300 chilometri, non previsti, dei quali una metà su fuoristrada e di arrivare sicuramente a notte inoltrata. La benzina inoltre non sarebbe sufficiente, qualora non arrivassimo in tempo all’unico distributore che si trova circa a metà percorso.

Ripartiamo e fortunatamente non c’è molto vento. Arriviamo al distributore, dopo una folle corsa, mentre il benzinaio sta chiudendo. Anzi, ha già chiuso e se ne sta andando. Dopo molte preghiere e spiegazioni, acconsente e ci fa il pieno. Almeno così siamo sicuri di non doverci accampare per strada. Arriviamo al traghetto ed aspettiamo gli altri due.

In attesa di salire, mi accorgo che il manubrio della Honda ha qualche cosa di strano. Con la pila verifico gli attacchi e mi accorgo di averne solamente uno. L’altro, a causa delle scosse e vibrazioni, ha perso i bulloni e si è staccato. Non è un bel vedere. Improvviso una legatura di primo intervento con una fettuccia e salgo sul traghetto. La traversata è relativamente breve e ci consente un po’ di riposo.

Ripartiamo. Ormai è notte fonda. A me non piace viaggiare di notte in quanto ci sono troppi animali selvatici che attraversano la strada. Ne vediamo infatti un paio. Una lepre ed una volpe ci sfrecciano davanti alla ruota. Fortunatamente non c’è traffico.

A mezzanotte arriviamo a Punta Arenas. Siamo stanchi, dopo 14 ore ininterrotte di moto e 700 chilometri percorsi. Io ho fatto fatica ad arrivare con la moto ma domattina avrò modo di consultare un meccanico. Devo anche cambiare il pneumatico posteriore che ormai è finito.

Una volta in albergo apprendiamo che domani, domenica, tutto sarà chiuso. Meccanici compresi. Dormo male. Ho il pensiero di rappresentare un peso per gli altri, a causa del cattivo funzionamento della moto. Domattina mi alzerò presto per sostituire le centraline e provare poi come va il motore.


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