5 giugno 2010
Gentile la signora, però il conto è un po’ salato. D’altra parte non avevo alternative, anzi, penso che d’ora in avanti i prezzi saranno piuttosto elevati. Comunque la signora le uova all’occhio di bue me le ha fatte sode e il bacon sembrava baccalà. E brava la signora. Però gentile, almeno!
Lascio il B&B dopo aver fatto i soliti controlli alla moto. Il cielo è blu e promette bene. Per prima cosa rifornisco al distributore che ieri sera era chiuso, poi mi avvio sulla strada. Faccio subito un avvistamento di una coppia di black beard che sono sul lato destro della strada. Mi fermo sul ciglio e rimaniamo a guardarci negli occhi. Dopo un po’ si stancano e se ne vanno.
Arrivo a Fort Nelson e cerco un rivenditore di olio motore. Meglio fare scorta in previsione dei km che mi mancano e dei prezzi che aumentano. Fuori dal paese un cartello avverte che non ci sono stazioni di servizio per 245 km. La strada è buona e non dovrei aver problemi d’autonomia. Come al solito, il traffico è costituito quasi completamente da mezzi di turismo, in particolare camper, anzi, corriere adibite a camper, con auto al rimorchio. Da noi ci vorrebbe la patente z.
É straordinario come venga fatta la manutenzione della strada. Anche a 200 km dal più piccolo villaggio, ci sono le aree di sosta con i wc, i bidoni della spazzatura e l’erba tagliata, mai un foglio di carta, una bottiglia vuota o un sacchetto di plastica a terra.
Ad un certo punto intravvedo delle strane lagune. Qualcosa attrae la mia attenzione. Rallento, mi fermo e torno indietro. E si, come pensavo, sono laghetti artificiali, nel senso che sono stati creati a seguito della costruzione di una serie di dighe. Con che materiale? Legno!! Attorno ai laghetti si vedono alberi recisi e il moncone di tronco che sorge dall’acqua presenta la caratteristica forma conica provocata dagli incisivi dei castoro. Rimango ad aspettare ma gli animali non si fanno vedere. Dopo poco si ferma una moto. E Mick, un ragazzo irlandese che sta girando l’america come me. Per ora sale verso nord, partito da Seattle, ma poi scenderà fino a Panama. Ci presentiamo e decidiamo di proseguire assieme per quanto ci resta da percorrere oggi. Il problema dei distributori è serio, bisogna stare attenti a non perderli, quando ci sono, perchè altrimenti la distanza raddoppia e si rischia di rimanere a secco. Facciamo perciò benzina ogni volta che ci capita di vedere una pompa. Il prezzo sale e qualcuno ne approfitta al punto di raddoppiarlo.
A sera arriviamo a Hot Spring. Una locanda, senza camere libere, un campeggio e nessun distributore, niente copertura di rete, nè di telefono. Non mi rimane che l’opzione tenda. Terminata l’operazione di montaggio e sistemati i bagagli, andiamo alla Hot Spring. Un camminamento su palafitte ci porta fino alla fonte.Nella vasta piscina naturale fumante c’è ancora molta gente, nonostante sia tardi. Entriamo anche noi. L’acqua scotta a tal punto che bisgna immergersi con cautela e lentamente. Vicino alla sorgente supera i 55 gradi. Un bel bagno rilassante era proprio ciò che mi serviva.
Torniamo alla piazzola, inseguiti dai feroci mosquitos ed accendiamo un falò per allontanarli con il fumo. Sembra che funzioni. Alle unidici è ancora chiaro ma ci buttiamo sotto la tenda perchè la giornata è stata comunque dura.
Domani Mick rimarrà a riposarsi qui, mentre io vorrei partire presto ed arrivare fino a White Horse, nello Yukon. Per Fairbanks mancano 1.750 kilometri. Le notizie sulla viabilità da lì a Deadhorse, sono controverse. Sarà necessario verificare meglio una volta sul posto. Anche la meteo sarà determinante nella decisione. Se dovesse piovere sarei costretto a rinunciare in quanto gi pneumatici che monto non sono adatti per il fango.
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4 giugno 2010
Il diario di ieri sera mi ha tenuto sveglio fino all’una. C’erano tante più cose che avrei voluto scrivere ma poi ho pensato a Nini che diceva sempre che sono prolisso e così ho tagliato corto (si fa per dire).
Il cielo è rimasto chiaro fin oltre le 23 e stamattina alle cinque era già nuovamente giorno. Avrei avuto voglia di alzarmi e partire a quell’ora ma poi il sonno mi avrebbe tormentato durante il viaggio. Anche i 4 gradi di temperatura sconsigliavano una partenza mattiniera. Così ho deciso di rimanere a poltrire fino alle 8.
I miei compagni di camerata (chiedo scusa per il gioco di parole), si erano alzati alle 5 per recarsi al lavoro lungo la strada in costruzione. Colazione la faccio con i biscotti che avevo comperato ieri sera. Perdo una mezz’ora per collegarmi ad internet e scaricare foto e diario sul sito ma la rete non regge e non riesco a completare l’invio. Poco male, provvederò stasera.
Stanotte ho avuto modo di pensare al racconto del gestore del campeggio, quello sugli incontri del terzo tipo con i grizzly. Io non prevedo di avventurarmi nei boschi ma potrebbe sempre capitarmi un guasto alla moto nel bel mezzo della foresta (qui è tutta foresta e se la moto si dovesse fermare in un posto qualunque, mi troverei esattamente “nel bel mezzo della foresta”). Ecco pertanto che prima di partire decido di procurarmi un’arma, più per una questione psicologica che pratica. Dubito infatti che mi cimenterei in un corpo a corpo con un grizzly o anche con un orsetto lavatore. Psicologia o no, il fatto di avere a portata di mano un bel coltellaccio da caccia con una lama affilatissima di 22 centimetri, non mi dispiace.
Monto la telecamerina sul casco e parto. Oggi niente tuta e niente stivali. Il cielo è tutto blu, le previsioni rosee, io fiducioso. Arrivo quasi subito alle propaggini delle Rocky Mountains e le attraverso salendo lentamente con le ampie curve della highway 97. Poi dirigo su Dawson Creek, celebre in quanto dal centro cittadino prende origine la storica “Alaska Highway”. Un monumento indica la posizione del kilometro 0.
La sua costruzione iniziò nel 1941, a seguito dell’attacco giapponese alla base di Pearl Harbour, per garantire un collegamento con l’Alaska non dipendente dalle vie marittime. Per quanto ho potuto leggere su alcuni libri e per le fotografie che hanno ripreso le fasi lavorative, posso affermare che la sua costruzione è stata davvero un’impresa eccezionale. Dal marzo 1942 al novembre dello stesso anno, 10.000 militari e 6.000 civili, lavorando h 24 sui due fronti, hanno completato i 2500 km di strada fino a Fairbanks.
Fatta la foto di rito, imbocco nuovamente la 97 in direzione nord. Il paesaggio è diverso, nella prima parte. I terreni sono coltivati in maniera estensiva e dove non ci sono coltivazioni ci sono recinti di bestiame o pascoli. Più avanti la pianura cede il passo alle prime colline, i pascoli diventano foresta. É qui che faccio il primo avvistamento della giornata. Sul lato destro, appena sotto strada, vedo una sagoma marrone, un batuffolone di pelo bruno. Sto correndo e riesco a fermarmi solo dopo un centinaio di metri, forse meno. Il tempo di accendere la telecamera sul casco, di invertire la marcia e quando ripasso non vedo che il prato. Vuoto! Pazienza, mi dico, sono appena all’inizio e non mancheranno le occasioni.
Qui a nord ritrovo tra la gente un atteggiamento che non avevo più notato nell’ultimo mese. Le persone, ho capito, diventano più gentili in maniera proporzionale con l’aumentare delle difficoltà ambientali. Già da ieri avevo notato questa differenza ed oggi ne ho avute altre dimostrazioni. Ieri sera, cosa che non mi capitava da tempo, ho fatto rifornimento prima ed ho pagato poi. Tutto qua? Eh no, non è cosa da poco, c’è tutto un atteggiamento mentale diverso che questo semplice fatto denota. Anche oggi, nella stazione di servizio dove ho anche preso un caffè, i gestori, cinesi, me lo hanno offerto come dono di benvenuto in Canada. E questa sera la proprietaria del B&B dove mi son fermato mi ha messo subito in forno due tranci di pizza perchè il ristorante alle 9 era già chiuso e il conto lo pagherò domattina e non in anticipo come sempre.
Torno agli avvistamenti.
Sto procedendo spedito. Vedo davanti a me, sul lato sinistro della strada, un pelone nero che si affaccia dalla scarpata. Rallento. Lui si ferma. Gli passo davanti e ci guardiamo negli occhi. Che musone simpatico, che pelo nero!! Un orso nero non l’avevo ancora visto. Avevo appena tolto la telecamera perchè, correndo, mi dava fastidio. Mi fermo ad una cinquantina di metri ed apro freneticamente la borsa da serbatoio per estrarre la telecamera e posizionarla sul casco. L’operazione va per le lunghe, non riesco ad inserire la telecamera nell’attacco sopra al casco. Nel frattempo tengo d’occhio la bestia nello specchietto. Vedo che si posiziona a centro strada e rimane ferma ad osservarmi. Sto per completare il montaggio e riaccendere il motore ma sopraggiunge un veicolo ed il mio orso riprende la strada del bosco. Due persi su due. Ora la telecamera la terrò sempre in posizione. Dopo mezz’ora, sempre sul lato sinistro ecco due cerbiatti. Il tempo di rallentare e fermarmi e dallo specchietto li vedo mentre attraversano e lentamente se ne vanno. Mi giro, accendo la telecamera e mi avvicino in tempo per vederli sparire tra gli alberi. Tre persi su tre!!
Ancora avanti. Questa volta lo vedo da lontano. É grosso grosso e nero nero. Rallento e mi fermo sul ciglio della strada. É li, a meno di venti metri da me, fuori dal bosco ma tra l’erba alta. Ha sentito la moto. Si alza sulle zampe posteriori e muove le orecchie. Mi osserva ed io lo osservo. Non so se spegnere il motre o tenerlo acceso e pronto. Poi lui si abbassa e ritorna a fare i fatti suoi. Spengo, prendo la macchina fotografica ed aspetto. É quasi invisibile, tra l’erba alta. Si vede solo la sagoma. É un bel bestione. Vorrei riprenderlo con la cinepresa che ha uno zoom più potente ma dovrei smontare mezza borsa, togliermi i guanti, trafficare con cose che poi mi impedirebbero di partire con rapidità. Aspetto ma lui se ne frega. Dopo cinque minuti decide di andare. Lui di là ed io di qua. Bella emozione però. Il sole è ancora alto ma mi rendo conto che dev’essere già tardi perchè non c’è più nessuno sulla strada. Infatti sono quasi le 9 ed il traffico è sparito. Mi mancano ancora un centinaio di chilometri ma sono scarso di benzina. Dovrei farcela ma non ne sono completamente sicuro. Ho corso molto ed il consumo potrebbe essere stato più forte che nella media dei giorni scorsi. Per fortuna più avanti c’è un distributore, ho visto il cartello segnaletico. Quando arrivo però lo trovo chiuso. Rimango un po’ a valutare sulla situazione. É vero che ho la tanichetta di scorta ma ho notato che con lo sfregamento si è bucata e sta perdendo benzina. Non ho più la quantità intera. Poco prima della stazione di servizio ho notato l’insegna di un B&B. Ci vado. Sono ancora a cavalcioni dell’Honda che si apre una porta ed esce la proprietaria. Si, mi conferma, ho ancora una camera.
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3 giugno 2010
Giornata favorevole e favolosa. Il chiarore entra prepotentemente nella stanza, annullando lo schermo delle tende. Mi sono addormentato tardi ieri sera, anzi questa mattina e dormirei volentieri ancora un po’ ma non resisto al richiamo della luce. Mi avvicino alla finestra e scosto la tenda. Il prato luccica per le goccioline di pioggia che riflettono la luce del sole. Dalla grondaia l’acqua cola ancora. Mi vesto con calma e comincio a caricare i bagagli sulla moto.
Guardo il cielo che promette sole e promette pioggia. Decido di rischiare e parto senza tuta impermeabile. Tengo però calzati gli stivali di gomma.
Le prime due ore trascorrono giocando a rimpiattino con le nubi che scaricano pioggia da ogni parte, davanti, a lato e dietro di me. La temperatura è bassa però mi sento bene. Mi sto avvicinando a Prince George, l’ultima città della British Columbia che meriti di essere chiamata così.
Faccio rifornimento ogni volta che trovo un distributore, in media ogni 100 o 130 km. Se ne dovessi saltare uno potrei rischiare di rimanere a secco. Ho riempito per prudenza anche la tanichetta di scorta, come non facevo ormai da molto tempo.
Anche oggi pochi camions e molti camper. I boschi si susseguono ai boschi ed i laghi ai laghi. La ferrovia corre a lato della strada ed un lunghissimo treno merci mi fa compagnia per un lungo tratto. Mi verrebbe da fermarmi dopo ogni curva, quando lo sguardo si allarga su valli e montagne e laghetti incontevoli. Alcuni sono solo delle paludi e dall’acqua spuntano tronchi d’albero secchi e spogli. Nella trasparenza dell’acqua, ad ogni alito di vento si creano giochi di luce e magici riflessi. Spengo il motore e l’apparente silenzio della foresta torna a vivere del canto degli uccelli, del fruscio delle fronde, degli scrosci d’acqua del torrente che passa sottostrada. Non ho mai visto una pattuglia di polizia anzi, non ho mai visto un poliziotto. E le giubbe rosse ci saranno ancora? A cavallo? Spero proprio di riuscire a vederle, mi hanno sempre ispirato una gran simpatia. Considerato che fino ad ora non le ho viste, ne approfitto per tirare un po’ oltre al limite e guadagnare strada.
Il motore suona come un violino ed io, per la prima volta, sento il desiderio di musica. Infilo le cuffie sotto al casco ed avvio Beethoven, tutte le sinfonie, random!! Mi viene da cantare ma ho paura di spaventare l’alce. Si, perchè finalmente l’ho visto, l’alce! Magari per ora solo sul cartello stradale ma l’ho presa come una promessa. Ora l’alce va ad aggiungersi a tutto l’altro bestiario di cui ho visto le silhouettes sui cartelli stradali, a partire dal guanaco per passare poi alle rane, ai serpenti e persino al bradipo e alle iguana.
I paesi sono sempre più rari ed anche quando ne leggo il nome sulla carta, a volte sono solo 4 case. Alle 7 di sera ho percorso 400 km e mi fermo per far benzina. Chiedo se ci sono hotels nelle vicinanze ed il gestore mi informa che dovrei deviare di 30/40 km per trovare un paese e poi domattina ritornare a percorrerle per riprendere il cammino. In alternativa dovrei avanzare di altri 150 km sulla freeway. Ma c’è un passaggio tra le Rocky Mountains e ci vogliono più di 2 ore.
Parliamo del mio viaggio e dopo un po’ mi offre la disponibilità di una stanzetta nel suo campeggio. É uno steccone di prefabbricato uso cantiere di una cinquantina di metri di lunghezza, con docce e servizi in comune. É perfetto, non me lo faccio ripetere e pago senza nemmeno aver visitato la stanza. Mi prendo una bella doccia calda, mi vesto e salgo appena in tempo per ingurgitare l’ennesimo hamburgher prima che il “ristorante” chiuda. Qui non si mangia d’altro. Hamburgher così, hamburgher colà, in tutte le forme, con tutte le salse ma sempre dello stesso gusto. Povere le mucche che pascolavano lungo la starda, ecco la fine che faranno, hamburgher!!!!!
Ho anche capito perchè fanno tanti hamburgher, la carne è durissima e così praticamente la premasticano.
Da noi il mangiare è anche un piacere, qui si mangia per nutrirsi. Eh si, perchè dopo un po’ che si sta qui, si rimpiange perfino il “caldo de pollo” del sudamerica.
Riescono a mettere su tutto tali e tante spezie e salse che mi si è gonfiata la lingua e faccio fatica a deglutire. Ogni tanto sono costretto a ricorrere ad un ristorante cinese, il che è tutto dire, per cambiare regime e magari mangiare una zuppa.
Dal tavolo della sala da pranzo vedo il bosco. Il sole ne accende i colori e benchè siano già le nove di sera, ancora indora le rocce ed i prati ingialliti. Percorro ormai quasi 400 km al giorno verso nord ed ogni sera il tramonto si sposta più avanti. Stasera il cielo è stato chiaro fino alle 11,30.
Dopo cena mi sono seduto sotto al portico, davanti allo shop. Una volpe grigia mi si è avvicinata cautamente ed è venuta a mangiare dalla mia mano. Straordinario.
Il gestore dello shop mi ha raccontato storie d’orsi, di grizzly. Vivono in questa zona almeno 2 persone che hanno incontrato un grizzly e sfortunatamente non erano armate. Entrambe hanno il volto devastato dai morsi e dalle unghiate dell’animale. L’orso nero è cattivo, mi racconta, ma c’è qualche speranza di salvezza. Con il grizzly non c’e nulla da fare. Corre, si arrampica e nuota più veloce di te e se non hai un fucile, puoi solo accucciarti a terra e rimanere immobile, sperando che ti annusi, ti lecchi e se ne vada disgustato dalla tua puzza. E si, perchè nel frattempo chi riuscirebbe a trattenersi?
Nel negozio sono appesi in bella vista numerosi coltelli e pugnali. Me li faccio mostrare e rimango a maneggiarli per un po’, indeciso. Che possano mai essermi utili nei prossimi giorni?
Temo che più avanti diverrà difficile anche il collegamento via internet, come pure il reperimento di alloggio. É il prezzo da pagare per poter disporre di spazi enormi ed incontaminati e godere della generosità della natura.
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2 giugno 2010
Stamattina, prima ancora di aprire gli occhi, ho teso le orecchie per capire se il rumore di fondo che sentivo provenisse da una doccia del piano di sopra o della pioggia sulla tettoia sotto alla finestra. Valida la seconda!!! Mi sono girato dall’altra parte ed ho proseguito da dove avevo interrotto. Dopo un’oretta, ancora steso, ho cominciato a sentire il letto vibrare. Il treno era passato da poco ed era ormai lontano. Nella stanza a fianco non mi pareva ci fosse qualcuno. Non si poteva trattare che di un terremoto e bello lungo anche. Beh, io di alzarmi non ne avevo proprio voglia e così sono rimasto steso, a contare i secondi di durata della scossa. Una ventina direi, forse di più. Su internet ho trovato questo interessante articoletto: “Each year, seismologists with the Geological Survey of Canada record and locate more than 1000 earthquakes in western Canada. The Pacific Coast is the most earthquake-prone region of Canada. In the offshore region to the west of Vancouver Island, more than 100 earthquakes of magnitude 5 or greater (large enough to cause damage had they been closer to land) have occurred during the past 70 years”.
Continua a piovere forte e così approfitto per studiare la cartina e pensare a dove potrei arrivare in giornata. Verso le undici la pioggia diventa pioggerellina e così approfitto per caricare la moto. Posiziono le sacche morbide all’interno delle valige di alluminio, carico la borsa sul serbatoio e scarico gli stivali di gomma che oggi mi serviranno di sicuro.
Salgo in camera per vestirmi e la pioggia ricomincia a cadere con maggior forza. Che fare? Alle undici devo lasciare libera la stanza e fuori piove. Mi vesto ma indosso solo la parte bassa della tuta impermeabile e gli stivali. Tengo la finestra aperta per avere un po’ di aria fresca ma già inizio a sudare. Mi sposto nella Hall e aspetto. Fa caldo e sento le gocce di sudore che mi scendono lungo il collo. Esco all’aria aperta e mi sembra di stare meglio. Finchè son li, indeciso se vestirmi o meno, osservo il bidone della spazzatura che sta a lato dell’ingresso. Pur essendo in centro del paese, anche questo ha il dispositivo di chiusura anti orso. Per evitare che gli orsi che di notte dovessero scendere in paese in cerca di cibo riescano ad aprire il bidone, lo hanno dotato di una chiusura particolare, azionabile solo mediante l’introduzione di una mano in un’apposita tasca. Il bidone è inoltre dotato di una solida zavorra di base in calcestruzzo.
Decido di completare la vestizione. La manovra è complessa, la tuta è stretta e la traspirazione aumenta. Quando son pronto e salgo in moto, la pioggia termina. Non mi manca molta benzina nel serbatoio ma decido di fare il pieno. Da queste parti ci possono essere anche cento kilometri senza possibilità di rifornire. Appena esco dal paese ed imbocco nuovamente la 99 north, ecco infatti un avviso: “Check your fuel, no gas ahead for 97 km”.
Qui si è tornati a ragionare in kilometri e in litri. Tutto torna ad essere più semplice. Sarà una stupidaggine ma mi dà come l’impressione di essere più vicino a casa.
La strada parte stretta e tutta curve. Si arrampica verso la montagna e con pochi tornanti mi porta sulla neve. Il termometro che ho montato dietro al parabrezza scende costantemente. Sono ben vestito e non sento il freddo. La foresta che sto attraversando è di una bellezza rara. Sul lato della strada scorre un torrente impetuoso e l’acqua spumeggia saltando tra le rapide. Poi la valle si apre ed il torrente sfocia in un lago, intorbidendone l’acqua per un buon tratto. Più avanti, dove la superficie riflette le cime dei monti, l’acqua torna ad essere smeraldina. Si sente l’odore della legna tagliata di fresco, un odore d’altri tempi che mi riporta sulle montagne di casa, nella stagione del taglio, quando andavo con mio padre a prendere la razione per l’inverno, concessa in osservanza degli Usi Civici locali. Tante famiglie sparse nel bosco e si udivano i colpi di accetta, i motori delle seghe ed i canti allegri delle donne. Poi, verso mezzodì, col profumo di legna bruciata si levava quello della carne messa a rosolare sui fuochi. E per un po’ il bosco taceva.
Le valli che sto attraversando sono deserte e per ben due volte rallento e poi mi fermo davanti ad alcuni cerbiatti che passeggiano tranquilli sull’asfalto. Camion non ce ne sono, come del resto non ne ho mai visti da quando ho lasciato le regioni del centroamerica. In un solo giorno, in Equador, ho visto più camion che nell’ultimo mese, qui negli States ed in Canada. Certo le ferrovie ci sono ma non mi sono sembrate nè tante, nè affollate di traffico. In compenso, se mancano i camion, ci sono i camper. Anzi, il traffico è quasi essenzialmente composto da camper ed il 90% sono a nolo e di questi quasi tutti portano le insegne della stessa società di noleggio. Anche gli spazi adibiti a campeggio sono ovunque ed occupano le posizioni più belle.
La pioggia mi ha fatto un regalo. Mi ha seguito con discrezione, facendomi solo una doccetta leggera di tanto in tanto ma allontanandosi quando doveva scaricarsi con forza. Molte volte l’ho vista cadere davanti a me, da nuvoloni congesti, neri, neri, ma poi se ne è sempre andata altrove, lasciandomi passare indenne. E così per tutto il giorno.
Sto seguendo la vecchia traccia dei cercatori d’oro ed i nomi dei paesi portano nomi storici e tipici dell’epoca. C’è “Home 75 miles”, “Home 100 miles” e così via, a ricordare punti di sosta e ristoro per coloro che transitavano esausti sotto il carico dell’attrezzatura tipica del cercatore, lungo un percorso che molti non avrebbero più rivisto. Una folle avventura per molti, una fortuna per pochi. L’economia americana languiva a quel tempo, cercando di risollevarsi dalla crisi del 1890 che aveva portato al fallimento numerose banche e causato una forte recessione. Le ulteriori crisi del 1893 e 1896, avevano ridotto sul lastrico numerose famiglie e mai si era registrato un così alto tasso di disoccupazione. Ecco perchè la notizia della scoperta dell’oro al nord trovò così ampia risposta tra le folle di disperati.
La frenetica Corsa all’oro ne portò decine di migliaia sulle rive del fiume Klondike, nello Yukon, dove nacquero città divenute poi famose e rimaste nella memoria di tutti, grazie ai libri di Jack London, che partecipò di persona alla corsa ed ai numerosi film western sul tema. Da Dawson City transitarono in quel periodo più di 400 tonnellate del lucido metallo.
Ebbene, lungo la 99 North, ogni pochi chilometri una tabella ricorda che si sta seguendo il “Gold Rush Trail” e la tabella riporta il disegno stilizzato di un cercatore con il suo mulo carico di attrezzi. E non dev’essere stata una marcia facile. Lunghissima, attraverso terre inesplorate ed ostili, con interminabili stagioni di freddo intenso e metri di neve ed i pellerossa non sempre disposti ad accettare il passaggio delle carovane.
Oggi ho attraversato numerose riserve indiane. I villaggi sono poveri e molte case sono costituite da semplici carovane in metallo. Nelle cittadine ho visto invece delle belle costruzioni denominate “Tribes Councils” e sono le strutture dove si radunano i capi tribù che costituiscono l’organo di governo per vari gruppi della medesima etnia e/o lingua. Sono pochi tuttavia e generalmente non si vedono in città, non si vedono nei negozi, non ne ho visti lavorare come commessi o impiegati o operai in nessuna delle situazioni che mi hanno portato a contatto con la realtà produttiva del paese. Ma credo che al di fuori delle poche strade e dei piccoli paesi, là fuori, sui monti e lungo i fiumi, siano ancora loro i signori della terra………….
Mappa della distribuzione delle tribù di indiani nativi in British Columbia
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