10 maggio 2010
625 chilometri di Patagonia in Baja California. Questa in sintesi la giornata di oggi. Vento e freddo come non mi capitava di sentire da quando ho lasciato la Ruta 40. I guanti pesanti non sono stati sufficienti a proteggermi, come pure il collare leggero. Mi son dovuto fermare per indossare il collare con pettorina pesante. Maglietta tecnica con manica lunga e maglia da cross sotto alla giacca, non sono servite ad evitarmi qualche brivido di freddo.
Il paesaggio ha presentato qualche variazione ma sempre su basi vulcaniche rivestite di cactus. Molti i posti di blocco militare che non so bene cosa cerchino. Sarà per impedire che si portino via i cactus?
Solo nella parte finale del mio viaggio odierno ho attraversato zone ad alta specializzazione agricola, come non avevo ancora visto in tutto il Mexico.
Ho anche rischiato di rimanere senza benzina. L’ultimo distributore che avevo visto, si trovava ad appena 100 km dalla partenza. Poi non ne ho più trovati!!! Dopo 320 km, già in riserva da un pezzo, mi sono fermato presso un ristorante dove vendevano privatamente anche la benzina. Mi è andata bene. Avevo messo nel serbatorio anche la scorta che mi portavo dietro da Puerto Cortes e che ormai da 3 litri si era ridotta a 2.
Il freddo mi dà molto fastidio, mi costringe ad indossare molti indumenti che legano i movimenti. Spero proprio che si tratti di un momento particolare. La stagione dovrebbe gia essere buona, così mi assicurano anche i locali, il caldo non dovrebbe tardare.
Ormai sono alle porte degli USA, domani dovrei attraversare San Diego. Stasera mi cucirò sulla giacca la penultima bandierina, quella a stelle e strisce.
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9 maggio 2010
Ieri sera ero arrivato a Santa Rosalia che il sole stava tramontando. Ero stato tentato di fermarmi lungo la strada in un paio di baiette dove avevo notato dei gruppi di turisti attendati o con i camper. Poi avevo deciso di proseguire per arrivare più avanti possibile, prima di notte.
L’albergo mi era sembrato carino, sebbene il personale avesse mancato, come sempre ultimamente, di disponibilità e cortesia. Avevo saltato il pranzo a causa del problema della moto e mi prefiguravo una buona cenetta nel ristorante dell’hotel, visto che il centro abitato distava alcuni chilometri. Una doccia per lavar via polvere e sudore, una sistematina al bagaglio ed eccomi pronto per la cena. PC sottobraccio, mi sono avviato verso il ristorante che nel frattempo aveva chiuso. Conclusione? Salto della cena. Ultimamente mi sta riuscendo così bene!
Oggi, dopo una ricca colazione, preparo tutto per bene, controllo la moto e poi parto. É ormai mezzogiorno ed il caldo si fa sentire. La tappa è di soli 220 km e mi porterà dal “Mar de Cortes”, lato orientale della penisola, alla costa del Pacifico.
Il tratto da attraversare è desertico con vulcani, sabbia e gli immancabili cactus. Comincia a soffiare un vento piuttosto forte, a raffiche, che mi costringe ad avanzare piegato sul fianco. Procedendo, l’aria si fa più fredda e dopo alcuni chilometri mi devo fermare per indossare la giacca che non porto più da oltre un mese. Spero che la temperatura risalga avvicinandomi all’oceano, ma mi sbaglio. Anche quando arrivo a livello del mare, il freddo è sempre uguale, come lo è il vento.
La cittadina di “Guerrero Negro” è decisamente brutta. Una sola strada centrale asfaltata, costeggiata da costruzioni basse e distanziate tra loro e le vie laterali sabbiose che si perdono in lontananza. La sensazione che ricevo è quella di una cittadina provvisoria, come fosse un insediamento di frontiera o una cittadella mineraria, destinata ad essere col tempo abbandonata.
La zona è tuttavia rinomata per le saline e per la presenza, nei mesi invernali, delle balene che qui vengono numerose a riprodursi.
Lungo la via principale, su alcune costruzioni, è riportata la scritta “hotel”, ma senza troppa convinzione. Giro su e giù un paio di volte e poi entro nel cortile dell’hotel El Morro. Fa freddo e la stanza è fredda in tutti sensi. Mi verrebbe da accendere il riscaldamento. Ad appena 200 km da dove ero partito solo 4 ore prima, la temperatura è crollata di almeno 10 gradi.
Domattina dovrò partire presto, per tentare di percorrere i 600 km che mi separano da Ensenada e farà freddo. Ispeziono le valige ed estraggo un maglietta con le maniche lunghe, il girocollo ed i guanti pesanti che avevo smesso già dalla Colombia.
A cena ci vado con una giacca a vento, che tengo indossata durante tutto il pasto. Spero sia solo un evento locale e che poi torni il caldo. Chissà come sarà più a nord……….
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8 maggio 2010
Lascio Loreto a mezzogiorno. Devo percorrere solo 200 km per arrivare a Santa Rosalia, ultimo paese sulla costa, prima che la strada si inerpichi sulle montagne per attraversare la penisola e sboccare dall’altra parte, sul Pacifico, altri 200 km più avanti.
Esco dal paese ma mi sorge il dubbio se ci siano o meno dei distributori di benzina tra Loreto e ma mia meta. Accosto e chiedo ad un locale che mi conferma l’assenza di stazioni di servizio. Inverto la direzione e rientro in paese. Riparto.
Ho delle percezioni strane, mi par di sentire una leggerissima anomalia nel suono di fondo del motore, o forse del telaio. Compio qualche evoluzione zigzagando sulla larghezza della carreggiata e colgo un rumorino, forse una leggera vibrazione. Rallento, accelero, freno. Nulla. Riprendo la mia corsa che nel frattempo mi porta fuori dal paese, all’attacco delle prime salitine. Eppure c’è qualcosa che non mi convince, sembra quasi che la ruota posteriore sia sbilanciata. Già quella davanti balla da tempo. Il copertone non rimane calzato bene ed il rotolamento non è regolare. L’ho già fatta rimettere in sesto tre volte ma evidentemente devo solo cambiarlo. Ormai mi ha già fatto percorrere 14.500 km ed ha fatto un buon lavoro. Con altri 2.000 sarò a Reno, in Nevada, dove penso di procedere con il cambio delle gomme e quello di catena, corona e pignone. Ho parlato di questo proprio ieri sera con Miriano, che mi aspetta a casa sua, tra una decina di giorni. Qui in Messico inutile tentare.
Ancora una vibrazione, sembra la catena. Eppure l’ho appena controllata prima di partire. Mi fermo, scendo, controllo la catena che sembra a posto. Riparto. Un rumore strano, di fondo, non mi tranquillizza. Dopo 100 metri mi rifermo su uno spiazzo. Ispeziono nuovamente ruote e catena. Sulla catena, vicino al carter che copre il pignone, scopro una striscia di gomma o di plastica penzolante, che si appoggia sulla catena. Sarà quella la fonte del rumore, penso, il paracatena si è consumato fino a rompersi in due troconi e quello inferiore penzola sulla catena e di tanto in tanto provoca dei rumori o dei colpi strani. Decido di tagliare la parte inferiore, per evitare che si stacchi completamente e finisca nella corona, facendo uscire la catena dalla sede. Riavvio la moto e contento di aver individuato il problema, riprendo la corsa. Un rumore nuovo, molto forte, associato ad una vibrazione che percepisco tra i piedi, mi raggela. Fermo nuovamente la moto a bordo strada. La alzo sul cavalletto centrale, cosa che richiede più tentativi ed un grande sforzo a causa del carico sul retrotreno. Ripasso le maglie della catena una ad una, più volte e testo la stabilità della ruota. Sembra tutto a posto, eppure………… Si ferma un pick up con alcune persone sul cassone. Ci parliamo due minuti e poi io riparto finchè loro rimangono ad osservarmi. Percorro appena 100 metri e dalla base del motore, ormai inequivocabile segno di rottura, sale una raffica di rumori e percepisco dei colpi. Giro immediatamente la moto e torno a fianco del pick up. Sono piuttosto angosciato e chiedo, quasi senza speranza, se mi sanno indicare dove trovare un meccanico. Naturalmente oggi è sabato. Se, come credo, si tratta di un ingranaggio del cambio, la mia corsa finisce oggi qui, nel sud della Baja Clifornia, a mezzogiorno e trenta minuti. Scoraggiato, ascolto le indicazioni ma percepisco che deve trattarsi di un praticone, più che di un meccanico. Tuttavia non ho altra scelta. Sono appena fuori dal paese e tento di rientrarvi. Vado piano ma i rumori cominciano ad aumentare. Di tanto in tanto un colpo più forte accompagnato da un senso di instabilità della moto, come se da dentro qualcosa sbattesse sulle pareti del carter. Ecco le prime case. Mi hanno detto di arrivare all’altezza del primo “tope”, che lì c’è una chiesa e poi di girare a fianco dell’arroyo per due quadre e poi, all’esquina, girare nuovamente all’ischierda. Ma sono sicuro che sto per fare la cosa giusta? Mi sto avviando su uno sterrato polveroso, in mezzo ad una baraccopoli di catapecchie, con la moto che ormai strepita e trema ad ogni giro di ruota. Procedo lentamente e la temperatura sale. Mi fermo per chiedere informazioni. Nessuno sa dirmi nulla. Sono indeciso, proseguo o torno indietro? Sto già pensando a come recuperare la moto per spedirla a casa. Tanto è chiaro che ormai è finita, da qui non riuscirò mai a ripartire. Finalmente trovo un passante che mi indica con sicurezza l’abitazione del “taller”. Ci arrivo, al fondo di una discesa polverosa, con la moto che ormai geme e si sconquassa. Vado sulla porta di casa. Nessuno mi bada. Due donne continuano a parlare tra loro e mi viene il dubbio che non mi abbiano visto. Eppure sono lì, a 50 centimetri da loro, vestito che sembro un marziano, con il casco in mano. Ma si chiederanno, perdiana, chi cavolo sono e cosa ci sto a fare lì, a casa loro, o no? Dopo un po’ spunta un signore che sembra stia per andarsene. Poi mi parla. Allora esisto, mi hanno visto, evviva!!!
“Si – mi dice – io un tempo facevo il meccanico, ma ora ho smesso per mancanza di lavoro”. Forse sta leggendo lo sconforto sul mio volto ed accetta di dare un’occhiata alla moto. Anche per lui è il cambio, la catena è a posto, la ruota anche. “Io ho cessato l’attività – continua – ma c’è mio cognato che mi faceva da aiutante, che invece pratica ancora. Se ti va, ti accompagno da lui”. Sale in auto e si avvia. Lo seguo ma dopo pochi metri non me la sento, tali e tanti sono i rumori ed i colpi che salgono dalla scatola del cambio. Eppure le marce entrano bene. Mi fermo appena arriviamo all’asfalto e non intendo più procedere oltre. “Dai – mi dice – è qui vicino, ormai siamo arrivati!”. Altri 300 metri di sofferenza, un incrocio da attraversare a passo d’uomo e ci siamo. Non vedo nessuna officina! “Ma qui – mi rassicura l’ex meccanico – è questa l’officina, mettila qui la moto”. E mi indica una spazio di due metri per tre, a bordo strada, compreso tra un pick up senza cassone e chiaramente in disarmo, ed un’altro, sempre sfasciato, con i cerchi che ormai si sono compenetrati nel terreno ed il cui cassone funge da tempo da immondezzaio per i passanti del quartiere. Scoraggiato mi guardo attorno. La vita continua normalmente, nessuno si cura di me, sono impotente e senza speranza. É sabato, il sole picchia verticale sulla testa e non rimane che tentare. Solleviamo la moto sul cavalletto. Accendo ed inserisco la marcia. Il cambio lavora bene. Allento la leva della frizione e la ruota posteriore inizia a girare, sospesa nell’aria, ma il suo movimento appare ondivago, più di quanto avessi osservato solo quindici minuti prima. La catena pure, presenta un movimento ondeggiante. “Ecco – dice l’ex aiutante meccanico – è senz’altro la catena, si è deformata e batte sul carter”. “Ma si trova qui una catena nuova di questo tipo?” – chiedo senza troppe illusioni. “No, – mi risponde – bisogna ordinarla negli States e ci vorranno almeno 2 settimane prima che arrivi”. “Io – dice – posso solo togliere questa, pulirla bene ed ingrassarla, per vedere se il movimento migliora”. “Ok, procediamo allora” – dico io senza tanta convinzione ed ormai rassegnato.
Il meccanico non ha nemmeno la chiave inglese necessaria a smontare la ruota. Va e viene da una casupola che sarà probabilmente il suo deposito attrezzi ma la chiave più grande di cui dispone è una 20. Il dado del mozzo è un 24. Io nella mia borsa ho una chiave del 24, nuova, acquistata prorio alla vigilia della partenza, per un eventuale smontaggio della ruota. Bene, possiamo procedere con l’operazione. Viene estratto il perno, la ruota si stacca e come esce dalla sua sede ruzzolano nella polvere numerose biglie lucenti. Il cuscinetto sinistro appare spappolato. Ecco il motivo del rotolamento ondivago della ruota, ecco perchè la catena appare torta, ecco perchè dalla scatola del pignone provenivano colpi e rumori terrificanti. Fosse davvero questo il motivo, allora ci sarebbe speranza di risolvere il problema con relativa semplicità. “Si – mi conferma il ventiquattrenne meccanico – in tre giorni si dovrebbe riuscire a farsi mandare da La Paz i cuscinetti nuovi. Comunque tento di vedere anche qui, in paese, non si sa mai” – mi dice, e se ne parte alla ricerca. Torna quasi subito per chiedermi un finanziamento. Lui non ha una lira, anzi un peso, per comperare nulla.
Rimane assente per un’oretta ma quando torna il suo volto è sorridente.
Stringe in mano l’unico cuscinetto che esiste nel raggio di 200 km ed è quello giusto. Non mi par vero, sorrido, dentro di me e già mi rivedo in sella. Sono ormai le 17 quando faccio il giro di prova. I rumori sono spariti. Terminiamo di registrare la catena, spurghiamo i freni e ripongo gli attrezzi nella borsa. Alle 18 pago il conto di 30 pesos e ne aggiungo altri 10 di mancia, poi finalmente riparto. La mia corsa verso il Grande Nord è ripresa. Aspettami Alaska!!!!!!!!!!!!
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7 maggio 2010
Lo spettacolo della nave che lascia il porto, lasciandosi dietro una lunga scia di schiuma bianca ed il volo planato delle Fregate (uccelli appartenenti all’ordine dei pelecaniformi con hanno un’apertura alare di oltre 200 cm), perde ben presto i suoi spettatori. Il ponte comincia a farsi deserto. I sole tramonta e l’umidità della sera non tarda a farsi sentire. É aperta la caccia al giaciglio. Negli angoli più nascosti fanno la lora apparizione le prime coperte. Alle nove e mezza c’è già chi dorme tranquillo, steso sul pavimento, sopra ad una coperta che ha perso i colori di un tempo. Osservo le stelle. Siamo alla latitudine del Tropico del Cancro, che attraverseremo tra qualche ora. Da qui si distinguono nettamente la Stella Polare e parte della Costellazione della Croce del Sud. Acrux, la stella più luminosa, non appare alla vista.
Aspetto il più possibile e poi scendo. Il salone si è trasformato in dormitorio. La televisione tace, le luci sono soffuse e le persone presenti sono tutte in posizione orizzontale. Chi sopra ai sedili, chi sotto, nei corridoi e tra le poltrone. A molti sedili mancano i cuscini che sono stati smontati per creare i giacigli a terra. D’altra parte la gente deve pur dormire in qualche modo. Strano che una nave così, con un servizio giornaliero di questo tipo, non si sia dotata di spazi idonei, attrezzati a cuccette, se non proprio cabine. Mi appisolo ma non dormo molto. Mi alzo spesso e vado a prendere un po’ d’aria.
L’umidità ha già creato delle pozze d’acqua sul ponte. Controllo sul GPS la rotta e la distanza che ancora manca. Viaggiamo ad una velocità di crocera di 29 Km/ora. Arriveremo in orario, dopo 16 ore di traversata.
Alle 5,30, quando io dormirei ancora volentieri, comincia il traffico. La gente si sveglia e si alza. Va in bagno e chiacchiera come fosse giorno pieno. Loro sono a posto, hanno dormito ed ora chiedono di accendere la televisione. Evito di lasciarmi andare a commenti poco forbiti.
L’approdo è leggermente in ritardo. Riesco a fare tutti i controlli alla moto, prima che arrivi il mio turno.
Appena a terra c’è un posto di blocco militare. Alla classica domanda – “da donde viene?”- riesco a trattenere una legittima risposta spiritosa e me la cavo senza ispezione. Fa già caldo. La giacca l’ho legata sul bagaglio e viaggio con la sola protezione di sicurezza.
La cittadina di La Paz è fiorente, per il ricco turismo americano di cui si nota subito la presenza. Ci sono banche internazionali, hotel e ristoranti in abbondanza. Prelevo un po’ di dollari e prendo un caffè con pastina (3 dollari), poi riparto verso nord.
I primi 200 chilometri si possono riassumere cosi: “cactus”. Solo castus? Si, solo ed esclusivamente cactus. Ne ho contati diecimiliardicinquecentomilionicentosettantatremilaundici, uno più, uno meno. E poi, i successivi 150 Km? Cactus su rocce laviche e cactus su piroclasti. -Piroclasti?- Si, piroclasti litici accessori, litici accidentali e xenoliti. Piroclasti per tutti i gusti, insomma. Montagne di piroclasti, di bombe, blocchi, lapilli. Frane di piroclasti e su tutto….cactus!!!
Si sale lentamente tra spuntoni rocciosi di origine chiaramente vulcanica, neri ed affumicati. Il paesaggio è lunare (ma ci sono i cactus per riportarci sulla terra) finchè non appare tra le gole qualche scorcio di mare di un azzurro come solo gli occhi di un angelo potrebbero essere.
Dalla strada salgono folate di calore soffocante. Ci saranno almeno 50 gradi. Arrivo a puerto Escondito (non quello dell’altro giorno, ovviamente) e mi fiondo in un supermercato dove mi scolo un succo d’arancia ed un mezzo litro d’acqua fresca. A Puerto Escondido non c’è nulla, solo un marina.
25 km più avanti arrivo a Loreto, altro contro balneare americanizzato. Mi sa che ormai dovrò abituarmici. Mi si rivolgono tutti in inglese. Peccato, cominciavo a trovarmi così bene con lo spagnolo…………
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6 maggio 2010
Sto traversando il Mare di Cortes, a bordo del traghetto “Santa Marcela”. É la prima volta che navigo in Pacifico. La prossima sarà su una barca più piccola.
Avevo lasciato Guadalajara dopo averla attraversata con relativa facilità, lungo una sorta di periferica che però è piuttosto interna. Il traffico intenso era abbastanza fluido e sono sempre riuscito a mantenere la temperatura del motore a livelli bassi. Quando entro nelle città e comincio a fermarmi in fila a tutti i semafori, è sempre questa la preoccupazione più grande, la temperatura. Specialmente a queste latitudini, quando si arriva spesso oltre ai 40 gradi, può diventare un problema. La ventola entra in funzione ma contiene, non riduce. Per prudenza, quando mi fermo, spengo subito e riaccendo con il verde. La situazione peggiore è quando la fila si muove piano e si ferma continuamente. Sento la ventolina che parte con un sibilo leggero e osservo la lancetta che scende lentamente. Su e giù, su e giù……….. Non vedo l’ora di uscire dal traffico e lanciare la moto in velocità. Solo allora la temperatura scende a livelli tranquillizzanti.
Da Guadalajara a Mazatlan è quasi tutta autostrada. Come ieri, i caselli sono numerosi ed il costo spropositato. Solo così riesco però a tenere una media sufficiente a garantirmi l’arrivo al porto di Mazatlan per il primo pomeriggio. Ho consultato Internet per verificare orari e prezzi dei traghetti. Le notizie non sono chiare. Qualche sito pubblicizza servizi giornalieri, qualche altro a giorni alterni. L’orario probabile dovrebbe essere alle 17,00.
Alle 14,45 esco dall’autostrada, a 26 km da Mazatlan. Gli ultimi 26 km mi mangiano un’ora.
Arrivo al porto alle 15,40. Il traghetto parte alle 16,00!! A pelo, anzi no, con un’ora di margine. L’orario infatti è cambiato. Qui il fuso è diverso rispetto a Mexico City, è un’ora indietro e sono quindi le 14,40. Che c……ortuna.
Anche il prezzo del trasporto è una sorpresa positiva. Paga solo la moto. Sono 1.950,00 pesos, pari a circa 170 dollari. Non esistono cabine ma solo sedili tipo aereo (o pullman).
Sistemo la moto al primo livello e cerco il salone dei passeggeri. Quasi tutte le poltroncine sono occupate da persone sdraiate o da coperte stese su 3/4 sedili. Mi adeguo ed occupo un sedile per borsa serbatoio e zaino, un sedile per abbigliamento da moto che mi tolgo immediatamente eseguendo uno spogliarello tra la gente (e chi se ne frega) ed uno per il casco. Poi esco a godermi la manovra di partenza e l’ultimo sole che ancora scotta. Il volo di fregate ed altri volatili marini ci accompagna fino al tramonto. Sfruttano la dinamica che crea la prua della nave per farsi trasportare in alto e poi veleggiare senza batter le ali. Di tanto in tanto si tuffano in mare per ghermire una preda e poi riprendere il volo. Comincia a far freddo. Scendo nel salone per prendermi la giacca e quando risalgo la mia sedia non c’è più. Ovvio, ce ne sono così poche. Scendo nella stiva e mi sdraio sul sedile della moto, con le gambe stese ai lati del manubrio. Sto proprio bene e rapidamente mi addormento. Oggi non ho mangiato nulla, solo un caffè prima di partire. Non volevo perdere tempo.
Appena salito sul Ferry e notato un locale “simil cucina”, mi ci ero recato per metter qualcosa sotto ai denti. – No, troppo presto, la cucina apre alle 17,30 – , mi aveva detto la cuciniera. Beh, non importa, andrò più tardi, mi son detto. Quando ci torno sono le 19,40. – Troppo tardi, la cucina chiude alle 19,00 – recita a memoria la solita cuciniera. Poco male, da quello che vedo nei piatti non dev’essere stata una grande perdita. L’arrivo è previsto per le 8 di domattina. Sarò tra i primi a far colazione.
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