13 maggio 2010
Mi sono avvicinato alla Death Valley in punta dei piedi, come stessi andando a trovare un vecchio amico ammalato. Non so perchè mi ha fatto questo effetto, forse la suggestione, le storie lette, i racconti sentiti.
Ho guidato lentamente, osservando l’asprezza e la solitudine della montagna che si apriva davanti a me per poi farmi scendere in un catino, sempre più in basso, fino ad arrivare sul fondo della depressione più profonda dell’America settentrionale, a – 87 metri.
Nella valle non ci sono città, nè paesi, nè gruppi di case. Nella valle non ho visto nè sentito alcun animale, nè di pelo, nè di penna. Quando mi è capitato di fermarmi, la cosa che mi ha colpito di più è stato il silenzio. Nemmeno il fruscio del vento, solo il silenzio, assoluto. Tutto questo in apparenza, perchè in realtà la valle vive.
Mi sono informato e mi è stato detto che nella Valle della Morte sono state individuate e catalogate ben 600 specie di piante e fiori del deserto. Tipologie di piante che si sono acclimatate alle condizioni estreme della valle. Vento, scarsità d’acqua e salinità del terreno hanno richiesto particolari adattamenti.
Anche la fauna sembra sia ben rappresentata, con più di 200 specie di uccelli, quaranta tipi di mammiferi, una quarantina di rettili tra i quali 20 di serpenti. Inaspettatamente, sembra vivano qui anche crostacei e perfino una chiocciola marina. Sono infine rappresentati anche dei pesci, alcuni rari, altri frequenti nelle pozze e sorgenti di montagna.
E l’uomo? I primi coloni che si avventurarono da queste parti, poterono constatare come l’area non fosse libera ma bensì abitata da indigeni Timbisha, poi rinominati Shoshoni e Paiute. Di questi antichi popoli rimane solamente qualche centinaio di rappresentanti, dei quali una cinquantina continua a vivere nella valle. Sono passato a fianco del loro villaggio, costituito da carrozzoni in metallo e case prefabbricate. Mi si è stretto il cuore. Gli Stati Uniti saranno anche la più grande democrazia del mondo ma la loro storia si è abbeverata del sangue dei nativi e del sudore degli schiavi d’Africa. E questo non va dimenticato.
Nel 1849 la corsa dei cercatori d’oro spinse migliaia di poveracci verso questa terra arida e crudele. Nacquero decine di leggende su favolose miniere perdute sulle montagne.
Nel 1849 un centinaio di pionieri con famiglie e carri si inoltrarono nella valle. Passo’ un mese prima che riuscissero a scamparne. Dovettero mangiare i buoi ed abbandonare i carri. La loro epopea divenne una leggenda e diede il nome alla valle.
Geologicamente parlando, la Valle della Morte è una criptodepressione, lunga 220 chilometri e larga circa 40.
Le rocce risalenti a 500 milioni di anni fa, ritrovate sulle montagne, sono di arenaria e quindi di carattere sedimentario.
Preponderante però, per la formazione della valle, è stata l’intensa attività vulcanica, svoltasi principalmente nel Terziario.
Mi sono fermato a Zabriskie Point, celebrato nell’omonimo film di Antonioni. Le rocce che lo formano sono colorate e datano 10 milioni di anni.
La valle costituisce indubbiamente un laboratorio all’aria aperta per geologi e scienziati
Anche se ancora non siamo in estate, qui fa caldo. Nel luglio 2005, registrati con certezza i 54 gradi, la Valle della Morte segna il record storico mai registrato sulla Terra. La piovosità è minima e si registrano precipitazioni annue da 30 a 60 mm.
Non è un posto dove ci si sognerebbe di costruirsi una casetta.
Dei due resort esistenti nell’area, uno era chiuso ed uno era occupato completamente. Ho continuato quindi per altri 40 km, uscendo dall’area del parco, finchè non ho trovato un albergo con una stanza graziosa e qui mi sono fermato per la notte. Sono ancora in un’area desertica ed il silenzio è assordante. Buona notte!!!!
Download itinerario del 13 maggio 2010 >> (per visualizzare il tour è necessario Google Earth)