16 aprile 2010
A due passi dall’oceano, abbiamo approfittato per percorrere le bianche spiagge caraibiche.
Qui a Puerto Viejo vivono molti europei. La natura è ben conservata e le strutture di ricezione turistica vi sono inserite apparentemente senza troppi danni. La strada per arrivarci non è delle migliori ma va bene così.
É ormai mezzogiorno quando mettiamo la prua su Puerto Limon. La strada è buona e scorriamo lungo la costa sbirciando il mare tra le palme. Dirigiamo poi verso l’interno. Il cielo è plumbeo ed annuncia pioggia. Proteggiamo l’equipaggiamento ma decidiamo di non indossare la tuta impermeabile. Con il caldo che fa preferiamo un po’ di pioggia.
Purtroppo la pioggia non è poca e quando comincia a scendere ci inzuppa in pochi istanti. Ormai siamo bagnati e procediamo così per altre 2 ore.
La strada sale e attraversa la “rain forest” che non si smentisce. A 800 metri di quota comincia a fare freddo e continua a piovere. Smette solo in possimità di San Josè ma ormai siamo al tramonto e non riusciremo ad asciugarci per tempo.
Ci fermiamo un attimo alla periferia della città ma subito un tizio corre da noi per avvertirci che la zona è pericolosa e che faremmo meglio a ripartire………… Che avrà voluto dire????
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15 aprile 2010
Per fronteggiare il caldo torrido che abbiamo patito ieri, abbiamo deciso di anticipare la partenza.
Alle 7,30 siamo già sulla strada, lontani da David. Dopo un’ora ci ritroviamo in un paesaggio inatteso. Attorno a noi verdi pascoli di alta montagna con pini e felci. Una fitta nebbiolina rinfresca l’aria.
É stato sufficiente salire di qualche centinaio di metri sulla sierra e tutto si è trasformato. Non sembra proprio di essere all’equatore. Mandrie di vacche pasciute pascolano libere e l’impressione è quella di essere tra le nostre montagne. Sul valico tira un vento forte e dietro lo stau scarica pioggia. L’aria dell’atlantico che sale spinta dal vento si sta liberando dell’umidità in eccesso.
Una cupola bianca di nubi riveste le cime. Scendiamo con molti tornanti dentro una boscaglia che pian piano cede le aghifoglie ed acquista palmeti e banani. Non più verdi prati ma foresta sempre più densa. Torrenti d’acqua torbida si precipitano a valle scavalcando la strada e trascinando con sè fango e tronchi d’albero. Numerose squadre di operai e molte macchine combattono contro la natura che cerca di riappropriarsi della propria terra cancellando la cicatrice della strada.
Percorriamo molti sterrati, lì dove l’acqua ha cancellato l’asfalto e scendiamo nei greti dei torrenti guadando tra le pietre. Sulle cime dei monti si stagliano contro il cielo gli alti pennacchi delle palme da cocco.
Le abitazioni degli indigeni sono frequenti e tutte su palafitte. Semplici capanne in tavole di legno, senza finestre ma tutte con la veranda. Vorrà dire qualcosa il cartello stradale con il simbolo del serpente? Si, un cartello come quelli che da noi, in montagna, riportano l’immagine di una mucca o di un capriolo. La strada è bellissima e procediamo lentamente per assaporare colori e profumi.
Giunti sul lato atlantico, dirigiamo a ponente, verso la frontiera con il Costa Rica. Giuntivi, per ben tre volte imbocchiamo la strada sbagliata, poichè quell’unica giusta non ci sembra credibile. É infatti una carrareccia in ghiaia che si inerpica lungo un’argine. Ci rendiamo conto che invece si tratta della strada giusta, quando scorgiamo un camion enorme che la percorre nell’altro senso, provenendo da un ponte di cui si intravvede l’arco della struttura metallica. É incredibile. Si tratta di poco più di un ponte ferroviario tipo Bailey, costruito dagli americani nei primi anni del secolo scorso e tuttora in funzione, rappresentando l’unico punto di comunicazione tra i due stati, sulla costa atlantica.
I camion passano a turno, uno alla volta, sfiorando i bordi del ponte che riportano evidenti ferite e procedento sull’impalcato di tavoloni sconnessi che scricchiolano e si schiantano sotto il carico. Molte tavole mancano e tutte sono mobili. Sotto scorre l’acqua ambrata del fiume.
Le pratiche dalla parte panamense sono sbrigate in pochi minuti. Dall’altra parte si intravvedono molti camion in attesa. Decine di persono vanno e vengono a piedi.
Non ci decidiamo a partire. Il funzionario della dogana ci invita a far presto. Io mi infilo il casco ma nella fretta dimentico di togliermi gli occhiali. Mi ritrovo con stanghette e lenti incastrate dai due lati della testa. Ovviamente una delle lenti si è spezzata.
Nini parte sul lato sinistro ma è indeciso. Avanza lentamente. Il suo cupolino è cieco e gli impedisce di vedere davanti alla ruota. I piedi rischiano di non trovare l’appoggio laterale. Nessuno si cura di noi, ovviamente, e non possiamo aiutarci reciprocamente. Ci ricordiamo di un video visto mesi fa. Un gruppo di motociclisti inglesi aveva ripreso questo passaggio. Si erano aiutati spingendo le moto a mano ed uno era anche caduto. É solo una questione psicologica. In realtà il tratto di ponte non rappresenta una difficoltà maggiore di quanto non sia seguire la traccia di una ruota sullo sterrato. Solo che qui una caduta porterebbe conseguenze disastrose.
I tavoloni si muovono e si alzano. I parapetti sono in parte divelti. Quando arriviamo dall’altra parte siamo piuttosto provati. La dogana del Costa Rica, che ha il suo bugigattolo in uno slargo, appena fuori dal ponte, ci fa infilare le moto su uno spiazzetto dove entrano appena. Chiudiamo così l’accesso agli uffici e la gente passa con fatica. I camion ci sfilano davanti a pochi centimetri.
Il funzionario della dogana è una donna. Guai in vista. Le donne sono molto più difficili e pignole. Questa non fa eccezione. Comincia con chiedere fotocopie di tutti i documenti, una fotografia e l’assicurazione. Naturalmente non abbiamo nulla di tutto ciò. Non ci era mai capitato.
La doganiera ci informa che le fotocopie si possono fare presso il salone del barbiere. Nini scende una specie di scalinata intagliata sul fianco della scarpata e segue un sentiero che lo porta tra gli acquitrini. Non lo vedo per più di mezz’ora e quando ritorna appare esausto. Mi racconta che l’ufficio è in realtà un’area promiscua adibita in buona parte a salone di barbiere con presenza di ciuffi di capelli sparsi sul pavimento di tavole, angolo con piccola cartoleria (4 penne e alcuni fogli di carta), zona copisteria con PC, scanner e fotocopiatrice relegate dietro ad una rete metallica a maglie fitte, tanto che per infilare la carta il titolare deve arrotolarla, passarla oltre alle sbarre e srotolarla con l’ausilio di una penna, prima di inserirla nella macchina, zona residenziale con frigorifero centrale che divide un letto più grande da altri tre più piccoli ed infine bagno aperto e free sull’impiancito, dove uno dei bimbi sta facendo pipì e l’altro la cacca, sotto allo sguardo ammirato del terzo fratello.
Consegnamo le carte ma………….manca ancora (e non ce l’aveva chiesta) la copia della patente di guida. Nuova spedizione verso il barbiere. Io nel frattempo vado in farmacia, dove dovrebbero farmi le assicurazione delle moto. Naturalmente mi vengono chieste le fotocopie dei documenti (che non abbiamo fatto). Nini torna dal barbiere…………
La doganiera vuole vedere i numeri di serie dei telai e dei motori. Acrobazie acrobatiche. Torno con le copie dalla farmacista. Sulle copie dei certificati mancano i numeri di serie. Torno alle moto per prendere gli originali dei libretti.
Ancora un’oretta e tutto è finito. Ormai abbiamo perso la giornata.
Il nostro obbiettivo è troppo lontano e ci fermiamo al paese più vicino. Ci rifugiamo in un lodge e prendiamo un bungalow nella foresta. La natura attorno a noi è stupenda. Piante e fiori dai mille colori.
Scende il buio ed esplodono i suoni della notte. Uccelli, scimmie ed insetti ci fanno compagnia fino a mattina. É stupendo.
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14 aprile 2010
Panama è una megalopoli moderna su stile americano con un centro irto di grattaceli e grandi arterie scorrevoli. É un paradiso fiscale e come tale ha goduto e gode di giri d’affari che coinvolgono società off shore e finanzieri di tutto il mondo.
Qui è tutto un cantiere. Costruiscono e vendono terreni, resorts e qualsiasi tipo di immobile. Non so quale possa essere la clientela ma sarà probabilmente americana, come sono anche i prezzi che qui si praticano. La moneta ufficiale è il Balboa ma praticamente si usa il dollaro americano. Ma quando paghiamo con i dollari sono sospettosissimi e li guardano girandoli tra le mani per minuti.
Campi da golf ce ne sono ovunque, a decine e così pure altre attività sportive di elite.
La zona nord del paese è deserta e così pure la zona di confine con la Colombia. Non ci sono strade nè collegamenti.
L’area che abbiamo percorso sembra prosperosa e le abitazioni sono di qualità nettamente superiore a quelle che ci eravamo abituati a vedere nei paesi del sud america.
Anche l’agricoltura sembra funzionare bene ed i fondi sono ben tenuti.
L’attività correlata al transito sul canale è senza dubbio una delle principali fonti di ricchezza della Repubblica di Panama che è recentemente entrata in pieno possesso di tutti i diritti di sfruttamento del Canale che fino a qualche anno fa appartenevano agli Stati Uniti.
Curiosità ed informazioni
a) Per ingegneri ed affini interessati:
Generale
Il Canale di Panama è un canale parzialmente artificiale che attraversa l’istmo di Panama.
É lungo 81 km, ha una profondità massima di 12 m, ed una larghezza variabile tra i 90 ed i 300 m nel lago Gatún. Il sistema funziona con delle chiuse che permettono alle navi di superare un dislivello totale di 27 m.
Le navi provenienti dall’Atlantico percorrono l’impianto di 3 chiuse, e giungono sul Lago Gatún, percorrono poi il tratto di Gamboa e lo Stretto di Culebra, giungendo poi alla chiusa di Pedro Miguel. Passano poi, con un altro salto di livello di 9 metri, nel Lago di Miraflores ed infine alle due chiuse di Miraflores per raggiungere, all’uscita di queste, il livello del mare presso il porto di Balboa. La navigazione prevede il passaggio sotto al Ponte delle Americhe (vedi foto) fino a giungere poi nel Golfo di Panama.
La costruzione del canale
Il progetto originario del canale risale al XIX secolo. La proposta fu fatta nel 1879 in occasione del Congresso Internazionale di Parigi. Uno dei promotori fu Ferdinand de Lesseps, già costruttore del Canale di Suez.
Le prime società fondate con lo scopo di studiare la fattibilità del progetto fallirono.
Nel 1901 gli Stati Uniti ottennero dal governo colombiano (all’epoca Panama faceva parte della Grande Colombia) l’autorizzazione per costruire e gestire il Canale per 100 anni.
Nel 1903 però il governo della Colombia decise di non ratificare l’accordo. Gli USA allora organizzarono una sommossa a Panama e minacciarono. Panama divenne così una Repubblica indipendente ma sotto la tutela degli Stati Uniti che ottennero l’affitto perpetuo della Zona del Canale e l’autorizzazione ad iniziare i lavori.
I lavori, iniziati nel 1907, dal genio militare statunitense, si conclusero nel 1914.
Va notato che il progetto prende spunto dallo studio delle chiuse progettate per la prima volta al mondo dagli architetti ducali Filippo da Modena e Fioravante da Bologna. La prima conca costruita fu infatti quella del 1439 in via conca dei navigli a Milano su ordine di Filippo Maria Visconti. L’inaugurazione ufficiale, a causa dell’inizio della prima guerra mondiale, fu rinviata al 1920.
La gestione
Vari trattati hanno regolato nel tempo la condizione giuridica della gestione del canale.
Il primo prevede che gli Stati Uniti abbiano il diritto permanente di difendere il Canale da ogni minaccia che possa interferire con la sua accessibilità continuata e neutrale alle navi in transito di tutte le nazioni, mentre il secondo ha indicato l’anno 2000 come termine dell’affitto del Canale agli USA.
Nell’aprile 2006 si è concluso lo studio durato cinque anni per un ampliamento del canale. I lavori, iniziati nel 2007, dovrebbero essere terminati per il 2014.
b) Note per geografi e studiosi in genere:
Repubblica di Panama
Superficie: 78.200 kmq
Popolazione: 3.039.150 abitanti (tasso di crescita demografica 1,3%)
Capitale: Panama City (437.200 abitanti, 1.053.500 nell’area metropolitana)
Popoli: 70% meticci (amerindi ed europei), 14% amerindi e indiani occidentali, 10% di origine spagnola, 6% amerindi
Lingua: spagnolo (lingua ufficiale), 14% inglese; lingue autoctone
Religione: 85% cattolica, 15% protestante
Ordinamento dello stato: repubblica costituzionale
Presidente: Martin Torrijos (2004)
Profilo economico
PIL: 20,57 miliardi di dollari
PIL pro capite: 6.900 dollari
Tasso annuale di crescita: 6%
Inflazione: 2%
Settori/prodotti principali: settore bancario e finanziario, raffinazione del petrolio, rame, edilizia, fabbricazione della birra, macinatura dello zucchero, abbigliamento, banane, riso, cereali, caffè, canna da zucchero, ortaggi, bovini, gamberi
Partner economici: USA, Svezia, Costa Rica, Honduras, Colombia, Giappone, Venezuela
Documenti e notizie utili
Visti: ai cittadini italiani non occorre il visto per entrare a Panama. È però richiesto un biglietto di uscita dal paese. La permanenza consentita è di 90 giorni; si può comunque richiedere un’estensione in loco
Rischi sanitari: malaria e febbre gialla in alcune province, dengue, epatite A e febbre tifoide
Fuso orario: cinque ore indietro rispetto al meridiano di Greenwich
Elettricità: 110V o 220V
Pesi e misure: sistema metrico decimale
Valuta: Dollaro USA (conosciuto come “Balboa”, abbreviato B/.)
c) Note per finanzieri ed evasori fiscali:
Costituire una Fondazione a Panama costa 2.500 Euro. Vi é un assoluto anonimato riguardo a coloro che traggano benefici dal patrimonio dell’ ente. Tale segretezza non viene scalfita neppure dalla dichiarazione annuale dei redditi, che non è richiesta. Infatti, qualora i beni compresi nel patrimonio, siano ubicati al di fuori del territorio panamense, come usualmente avviene, la legislazione tributaria qualifica la Fondazione come “società offshore”, godendo, pertanto, della totale esenzione dalle imposte sui redditi di fonte estera. Se si valuta poi la presenza di un segreto bancario inderogabile a favore di autorità straniere, l’assenza di trattati sottoscriti con altri Paesi, ai fini dell’ assistenza legale, possiamo definire Panama “un paradiso fiscale e bancario”.
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Itinerario del 13 aprile 2010: volo Bogotà – Panama
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13 aprile 2010
Abbiamo preso l’aereo. Perche? Perchè dalla Colombia a Panama, via terra, non si passa.
La Pan-americana si interrompe per un tratto di qualche centinaio di chilometri di foresta tropicale ed acquitrini sterminati, abitati da serpenti, puma e guerrilleros. Impraticabile per qualsiasi mezzo.
Nel corso del nostro viaggio abbiamo incontrato molti motociclisti e condiviso le reciproche esperienze. Con quelli che provenivano dal Nord America veniva spontaneo chiedere su come avessero risolto il problema del passaggio da Panama alla Colombia o all’Ecuador. Le risposte sono state eterogenee. Alcuni di loro avevano scelto di effettuare il passaggio in nave o barca. Chi con soddifazione, altri con grossi problemi. La maggior difficoltà sembrava causata dall’impossibilità di controllare i tempi. Oltre alla durata della traversata, esisteva di fatto l’incognita della data di partenza. Alcuni messicani che abbiamo incontrato sulla Ruta 40, avevano atteso l’imbarco per 15 giorni e spesa comunque una cifra rilevante, cui si doveva sommare il costo per vitto ed alloggio per i giorni di attesa. Un altro americano ci ha raccontato di una traversata piuttosto avventurosa e poco raccomandabile. Altri di passaggi su velieri con la moto assicurata in coperta ed esposta agli spruzzi d’acqua salata. Alcuni avevano scelto la via piu’ breve, anche se apparentemente più costosa, del trasporto aereo.
Quasi tutti perà avevano esperienze del tragitto da Panama a Bogotà, e non viceversa. Anche su internet ci sono molte indicazioni, a volte controverse, a volte positive, a volte no. Per questo motivo, nella speranza di poter fornire notizie utili a chi volesse un domani seguire le nostre orme, aggiorno il diario con i dati più importanti di cui ora dispongo.
A parziale rettifica di quanto scritto nel diario di ieri, la compagnia che si è occupata del trasporto aereo delle moto è la GIRAG SA Avenida el Dorado n. 116-87 Bodega 04 Modulo 02 Aeropuerto International El Dorado Bogota’ – Colombia. Il costo della spedizione delle moto è stato di 650 US$. Il tempo impiegato per sbrigare tutte le formalità è stato di 5/6 ore.
A Panama, dall’aeroporto Tocumen siamo andati con un taxi e 10 US$ al Terminal Carga. Individuato l’hangar della GIRAG, abbiamo ritirato le moto in una ora e mezza, senza formalità nè controllo alcuno. Abbiamo solamente pagato 5 US$, con regolare ricevuta, perchè eravamo fuori orario. Gli uffici della dogana chiudono infatti alle ore 16.00.
Per il biglietto aereo, su internet la sola andata veniva offerta a 178 US$. In realtà, per lo zelo dei funzionari locali, siamo stati costretti, in quanto italiani, a comperare un biglietto di andata e ritorno che poi nessuno si è preoccupato di verificare nè in Colombia e tanto meno a Panama ed abbiamo speso 570 US$, dei quali 30 ci sono stati rimborsati dal Duty Free.
Il volo è stato piacevole, a bordo di un velivolo moderno di ottima qualità.
Ora siamo a Panama City. Il caldo è torrido. Che nostalgia degli altipiani di Bolivia e Perù…….
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12 aprile 2010
Questa mattina siamo andati con il pullmino dell’hotel fino all’aeroporto per informarci sui voli per Panama.
Dopo alcuni tentativi a vuoto, finalmente siamo stati indirizzati correttamente.
A poche centinaia di metri dal terminal passeggeri, c’è il terminal cargo. Abbiamo contattato la compagnia Centurion che ha iniziato subito le pratiche per effettuare la spedizione delle moto. Siamo quindi tornati all’Hotel per recuperare le nostre cose e partire con le moto per portarle al deposito della Compagnia Aerea.
Naturalmente nel quarto d’ora necessario al trasferimento delle moto è sceso il diluvio e così ci siamo bagnati come pulcini e resteremo bagnati per il resto della giornata. Non possiamo acquistare subito il biglietto per noi fintantochè non siamo sicuri che le moto partano.
Cominciano i passaggi di carte da un uffico all’altro. Ci avevano avvisato che sarebbero stete necessarie 6 ore per completare l’iter e così è stato. Tra dogana e polizia, controllo della antinarcotici che ci ha fatto svuotare le borse, abbiamo terminato alle 17.
Corriamo in aeroporto e l’ultimo volo passeggeri è chiuso da 7 minuti. Nulla da fare, sarà necessario partire domani.
Altra sorpresa, a Panama noi italiani non possiamo andare con il biglietto di sola andata ma dobbiamo avere anche il ritorno. Sorpresa costosa e fastidiosa. Di tutti i motociclisti che abbiamo incontrato in sudamerica, nessuno mai ci aveva rappresentato questo problema. Tentiamo con tutte le compagnie ed agenzie di viaggi ma non c’è nulla da fare. Alla fine ci dobbiamo rassegnare. Comperiamo un andata/ritorno e ce ne torniamo mestamente in albergo.
Sulla moto sono rimaste le scarpe ed il resto dell’abbigliamento pesante e così la sera esco per cena con le infradito. Qui fa freschetto, piove e siamo a 2600 metri di quota. Domattina faremo il salto di mezzo continente. Abbiamo percorso 16.000 km e siamo oltre la metà del tragitto.