21 aprile 2010

Oggi non c’è alcun itinerario da inserire nel sito. Siamo rimasti a Puerto Cortes per contattare alcune agenzie marittime. Dopo molti giri a vuoto abbiamo incontrato, all’entrata del porto, un signore molto gentile, tra i tanti che si sono precipitati attorno a noi per curiosare, domandare e toccare le moto, che si è prodigato per procurarci un contatto. Sembra che ci sia riuscito. Ora non resta che attendere un giorno o due per avere le informazioni necessarie e procedere poi all’imbarco oppure proseguire verso altra destinazione.
Ci siamo trasferiti nell’altro hotel. Più moderno e confortevole ma comunque lontano dal centro. Non avevamo alcun desiderio di toccare le moto e così siamo rimasti a gozzovigliare tutto il pomeriggio. Nini a sistemare le valige ed io a studiare le carte e gli itinerari dei prossimi giorni.
Oltre la strada, a due passi, c’è il mare. Nell’hotel c’è anche una piscinetta. Ho prelevato dalla borsa il costume da bagno ma è rimasto lì, sul letto. La pigrizia e la necessità di riposo hanno avuto il sopravvento. Domani mi impegnerò di più e mi dedicherò ad una approfondita revisione della moto.

Itinerario del 20 aprile 2010

Itinerario del 20 aprile 2010

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20 aprile 2010

Giornata piatta. Poca strada. Nulla da vedere se non uno strano connubio, in paesaggi alpestri, di pini e banani. Come negli altri paesi che abbiamo visitato, anche qui esistono le aree specializzate, nelle quali si concentrano i produttori/venditori di certi prodotti.
Attraversiamo una certa area e notiamo un chiosco di vendita di miele. E poi un altro ed un altro ancora. Poi a decine, sui due lati della strada, che espongono vasetti e bottigliette di miele ambrato.
Dopo di che è il momento dei venditori di amache e allora per un po’ è tutta un’esposizione di amache.
In seguito vengono le arance, le banane, i cocchi e così via. Non comprendo la logica di queste aggregazioni che mettono in concorrenza tra di loro i vari espositori. Questa particolarità l’avevamo notata un po’ dappertutto, anche nelle città. Intere vie sono ad esclusiva presenza di officine, altre di ferramenta, altre di negozi di moto e così via. Un negozio dopo l’altro con esposto lo stesso prodotto.
Oggi, sulla montagna, abbiamo visto un nuovo segnale stradale. Riportava in nero, su sfondo rosso, la sagoma di un tapiro. Finora sui cartelli avevamo visto disegnato, oltre alla classica mucca, il guanaco, il lama, l’armadillo, il bradipo, l’iguana e il serpente.

Viaggiamo bene, su strade larghe e ben tenute ma il caldo ci mette a dura prova. Arriviamo infine a Puerto Cortes. Cerchiamo un hotel ma la cosa si presenta difficile. Dopo 2 ore di ricerca decidiamo di fermarci in un posto fuori dal paese, immerso nella natura, sulla spiaggia del caribe. Lo stabile è decadente e l’ambiente un po’ tetro. Per stanotte andrà bene comunque. La doccia è fredda e non c’è cucina. La causa, dice il gestore, è del terremoto che ha colpito la zona lo scorso anno. Mah, sono punti di vista……..

Girando nel paese, nel pomeriggio, ci siamo fermati ad un lavaggio auto per far ripulire le moto, ormai ricoperte di polvere e fango. Il gestore, persona affabile e simpatica, ci ha voluto omaggiare del servizio e ci ha addirittura offerto le bibite che avevamo consumato nell’attesa. Mi ha inoltre accompagnato dal suo oculista dove in mezz’ora mi son fatto montare le lenti dei miei occhiali rotti su una nuova montatura.

In serata il padrone dell’hotel è venuto a prenderci con l’auto per condurci a cena nell’altro suo hotel, dall’altra parte del paese. L’ambiente è decisamente diverso e domani ci trasferiremo qui. Prima di cena ci ha raccontato della guerra di mafia che si sta svolgendo, in Honduras, come negli altri stati del centroamerica, dove le gang messicane stanno imperversando e fanno strage degli avversari.

Acquistano tutto e di tutto, investendo i proventi del commercio di coca. La polvere bianca si trova ovunque, ci dice, vista la semplicità di collegamento tra Colombia ed il porto locale. Ci sono lance molto veloci, dotate di 4 motori potenti che riescono a sfuggire a tutti i controlli e trasportano anche 5 tonnellate di droga alla volta. Un ambientino molto particolare………..


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Itinerario del 19 aprile 2010

Itinerario del 19 aprile 2010

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19 aprile 2010

Controllo moto e partenza. Paesaggio privo di interesse, questo del Nicaragua. Solamente negli ultimi chilometri prima del confine lo scenario muta, arricchendosi di pascoli e pinete.
La strada continua ad essere bella e sale con un succedersi di curve, inoltrandosi nella vallata che ci condurrà in Honduras.

Alle 10 siamo già alla frontiera. Una folla di aspiranti aiutanti si fa attorno ancor prima che fermiamo le moto. Sono pressanti e la cosa comincia a dar fastidio. Assumiamo il “nostro” assistente. É un ragazzo giovane, con evidenti segni di problemi motori e con difficoltà ad articolare le parole. Ciò nonostante ci rende un buon servizio. Si premura di far mettere i visti sui passaporti e paga le diverse gabelle che vengono imposte dalla Municipalità, Polizia e Dogana del Nicaragua. Ci riconsegna le carte e gli diamo una mancia di 3 dollari. Il tutto richiede meno di mezz’ora.

Passiamo ora dalla parte dell’Honduras. Polizia bene, nessun problema. Dogana ben……… no, aspetta, il capo della dogana è una donna!! Ci risiamo. Ci chiede 2 copie di ogni documento che abbiamo e che non abbiamo. Naturalmente le copie bisogna arrangiarsi a farle. La faccio breve. 2 ore e mezza e solo ricorrendo alla serie più ipocrita e meschina di falsi sorrisi di cui sono capace (ma segretamente augurandole una crescita abnorme di quelle ghiandoline che disturbano quando ci si siede).

Eccoci in questo nuovo paese, simile al precedente, che però denota lievi segni di maggior benessere. Qui almeno si vede qualche area coltivata ed i villaggi appaiono più vivi.
Tegucigalpa la lasciamo, scorrendole sulla sinistra e procediamo verso nord. Il nostro prossimo obbiettivo dovrebbe essere Puerto Cortez.
Naturalmente le cose non vanno come previsto. Una prima pattuglia di polizia ci ferma ed esamina tutti i documenti. Ripartiamo. Una seconda pattuglia ci riferma e vuol vedere i documenti. Un poliziotto mi contesta la rottura della lampada del faro e mi sventola sotto al naso il blocchetto delle contravvenzioni, oltre al codice della strada. Gli spiego che dei due fari uno è per la luce anabbagliante, l’altro per l’abbagliante. Nulla da fare. Insiste che ho un faro rotto e vuol farmi la multa. Mi sembra proprio un asino. Scendo e gli ripeto, nell’ordine, l’accensione delle luci ai vari stadi: posizione, anabbagliante ed abbagliante. Niente. Allora lo mando a quel paese e finalmente capisce. Diventiamo amici ed andiamo tutti al bar dove ci scrocca una bottiglia da 2 litri di aranciata. Ce ne fosse stata una da 4 litri, avrebbe scelto quella. Beviamo, saluti, abbracci e baci e ripartiamo. Che bel paese……………Naturalmente a Puerto Cortez ci arriveremo domani.


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Tanti auguri, Ugo!

Itinerario del 18 aprile 2010

Itinerario del 18 aprile 2010

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18 aprile 2010

Oggi ci siamo dati un po’ di margine di tempo per riprenderci delle fatiche di ieri. Io ho dormito come un sasso, Nini invece ha sofferto per il caldo.

Partiamo che sono già le 11.30. C’è un bel cielo sereno ma già “mucho calor”. Costeggiamo il lago Nicaragua e scegliamo un itinerario che ci faccia evitare Managua. Il passaggio nelle città, da queste parti, non è raccomandato.
Da quanto riusciamo a vedere, il paese si presenta molto più povero dei precedenti da noi visitati. L’agricoltura è assente in gran parte del territorio. Sterpaglie e savana secca contrastano con il verde brillante dei panorami degli ultimi giorni. Le rare piantagioni di banane hanno le piante striminzite e molte sono ammalate, con fogliame secco e cadente. I cocchi sono piccoli e la canna da zucchero molto bassa. Il bestiame è magro e sofferente. Vediamo delle vacche e dei cavalli scheletrici e piagati che ci fanno proprio pena. Sono lungo la strada, legati con una cordicella, sotto al sole cocente e restano immobili con lo sguardo fisso nel vuoto, le costole si possono contare tutte.
Qui i cavalli sono il mezzo di locomozione più diffuso. Si vedono cavalieri ovunque, con il loro lazo e la coperta legata alla sella di cuoio e tela. Per il trasporto di più persone sono utilizzate le corriere, piene dentro ed affollate sul tetto, i furgoni telati, stipati di donne e bambini ed i pick up, “ripieni” di persone e animali. I cassoni aperti dei camion portano un carico misto e alternato (tipo doppio hamburger) di persone e cavalli o vacche. Non voglio pensare che tipo di polpetta potrebbe uscirne in caso di frenate brusche o peggio, di incidente.

Sulla strada i banchetti che vendono frutta hanno poco da esporre. Tuttavia ci fermiamo, dopo un centinaio di kilometri, per ristorarci. Mi assaporo un succo di cocco, suggendolo direttamente dal frutto. La noce è piccolina e rimango subito a secco. Nini si fa tagliare un melone e nel frattempo assaggiamo delle banane. Il melone di Nini non è molto buono e allora procediamo con l’ananasso. Anche questo non è all’altezza di quelli dell’Ecuador, anzi, siamo ad anni luce per gusto, colore, dimensioni e presentazione. Siamo seduti all’ombra, sotto alla tettoia di stuoia e si sta bene. La famiglia che gestisce il chiosco è composta da più generazioni. Sono simpatici e sembrano brava gente. Le bambine giocano con un pappagallino verde. É libero e quando lo desidera se ne va, ma poi ritorna.

Sulla strada si ferma un gruppo di motociclisti locali. Sono di Managua. Hanno visto le nostre moto e le stanno osservando con interesse. Nini si avvia verso di loro ed inizia a conversare. Le domande sono sempre le stesse: – Dove state andando, da dove venite, qual’è la cilindrata, da quanto tempo state viaggiando etc, etc.- Ci scattano anche delle foto. Stanno compiendo un giro domenicale e per un tratto il percorso sarebbe comune. Si offrono quindi di guidarci per indicarci la via. Tra una chiacchiera e l’altra saltiamo sulle moto e partiamo. Una ventina di kilometri assieme e poi si fermano per darci le ultime indicazioni. Poi proseguiamo da soli. Altri 15 kilometri e sto pensando a come mi sento leggero oggi al confronto del patimento di ieri. La schiena poi, non sento nemmeno il peso dello zaino………LO ZAINO!! Dov’è lo zaino! O Madonna mia, ho dimenticato lo zaino sulla sedia del chiosco. Dentro allo zaino ci sono il passaporto, il PC e tutti i dollari in una busta. Fermo la moto all’istante, spiego a Nini il problema e ripartiamo in senso opposto. In un quarto d’ora arriviamo al chiosco. Tutta la famiglia è sulla strada e non appena sentono il rumore delle moto si sbracciano per richiamare la nostra attenzione. Io infatti ero passato davanti senza accorgermene. Mi danno lo zaino e mi informano che avevano anche tentato di rincorrerci con una moto ma non erano riusciti a raggiungerci. Nello zaino c’è tutto. Ma allora non è vero che sono tutti “ladrones”.

Riprendiamo il viaggio. Abbiamo perso un’ora. Dopo un po’ di strada, mentre ci stiamo rifornendo di benzina, si scatena l’uragano. Fulmini si schiantano attorno a noi ed i tuoni esplodono come cannonate. La pioggia scende a “sece roverse”. Partiamo che ancora sta gocciolando ma vista l’esperienza di ieri, senza tuta. In pochi minuti siamo fradici. Percorso un breve tratto esce il sole che in un batter d’occhio ci asciuga. Se avesssimo indossato la tuta da pioggia ora saremmo in imbarazzo, toglierla o tenerla? Proseguiamo fino ad incontrare un paese più grosso degli altri e qui ci fermiamo per la notte. Non ce la siamo sentita di sfidare la sorte nelle prossime dogane all’imbrunire.

A cena ci vogliamo trattare bene, abbiamo notato un avviso che pubblicizza un ristorante “Casa Italia” con precisato “Chef Italiano”. Non ce lo possiamo perdere!! É innegabile, la pasta ci manca. In 50 giorni l’abbiamo mangiata bene a Nazca, nell’Hotel Cantayo di Enzo, in Costa Rica, quando mi sono appropriato della cucina e diretto la Mamy di colore che pretendeva di cuocere la pasta in mezzo bicchiere d’acqua, senza sale, lasciandola bollire per un’oretta, ed infine stasera, nel locale scalcinato di questo salernitano, ex funzionario dell’Unipol che da sette anni risiede in Nicaragua, dove si è improvvisato cuoco. Nell’attesa della pasta ci prepara delle bruschettine cariche di aglio che degustiamo mentre improvvisiamo una sfida a biliardo su un tavolo che deve aver visto tempi migliori.
A fine cena accettiamo l’invito di un tedesco/nicaraguegno, qui residente da 25 anni, che in coppia con il gestore del ristorante desidera sfidarci. Naturalmente ci “lasciamo” battere………


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Itinerario del 17 aprile 2010

Itinerario del 17 aprile 2010

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17 aprile 2010

Oggi il giorno più lungo…………. Problemi intestinali mi hanno costretto a sedute multiple e ridotto a brandelli.
Partiamo sotto alla pioggia battente. Naturalmente indossiamo la tuta da pioggia che già di per sè rappresenta una costrizione quasi insopportabile.
Le prime due ore scorrono in un paesaggio neutro. Ci fermiamo in un ristorantino dove bevo un the e sonnecchio un po’. Le forze mi stanno tornando ma le gambe le sento ancora pesanti.

Il tragitto di oggi è relativamente breve e manca ancora poco alla frontiera con il Nicaragua. Lungo la strada si affacciano Fazendas ben tenute ed apparentemente ricche. É una zona di allevatori di vacche e di cavalli.
La giornata piovosa ed il mio malessere sconsigliano la deviazione per compiere un tour sui vulcani che rappresentano una delle attrazioni principali del paese.
Ci fermiamo a pranzo. Io mangio un piattino di riso asciutto e Nini una bistecca. 27 dollari!!! Qui sono davvero pazzi. Con quello che guadagna mediamente la gente i prezzi sono completamente fuori dalla realtà.
É chiaro che approfittano del turista spendaccione ma è una politica sbagliata. Questo succede da Panama in su.
Prima, in sudamerica si riusciva a mangiare bene e bere con 4/7 dollari. Arriviamo alla frontiera alle 16.30, con un buon margine per espletare tutte le pratiche prima di notte. Oltre il confine avremo da percorrere solamente 35 km per arrivare ad un centro abitato con possibilità di pernottamento.

Le pratiche della Migracion e Aduana di Costa Rica richiedono una mezz’oretta o poco più. Passiamo dall’altra parte e subito veniamo assaliti da uno stuolo di cambiavalute che litigano tra loro per accaparrarsi i clienti. Veniamo presi in carico da un ragazzotto che ci sembra di capire potrà darci una mano per gestire il complicatissimo iter delle pratiche burocratiche Nicaraguensi. Per fortuna!!!
Mi par di rivedere l’episodio del libro “La Pelle” di Curzio Malaparte, nel quale gli scugnizzi napoletani si rivendono tra loro il militare americano.

Primo passaggio presso un ufficio non meglio identificato per controllo e compilazione di una prima scheda. Passaggio al punto disinfezione ruote moto (Fumigacion). Ridicolo!! 3+3 dollari e rilascio di un attestato di avvenuta disinfezione.
Percorriamo altri 100 metri. Entro con passaporti etc. nell’ufficio di Polizia. Nel frattempo ha smesso di piovere ed è iniziato un caldo infernale. Stiamo indossando la tuta impermeabile e stiamo facendo la sauna. Grondo di sudore come una fontana. Devo togliere gli occhiali che continuano a raccogliere le gocce di sudore. Non posso togliere la tuta perchè sono inscatolato tra la gente e la manovra richiede spazio, dovrei inoltre levare gli stivali e non saprei come tenere in mano le carte, la tuta e lo zaino.
30 minuti di fila durante i quali il funzionario gira e rigira le carte senza nulla fare. Poi chiede 7+7 dollari che non ho, in quanto abbiamo appena cambiato tutti i dollari della cassa in valuta locale. Il mio “assistente” si assume l’incarico di ricambiare i biglietti locali in dollari. Nel frattempo dei camionisti Panamensi cercano di sopraffarmi passando davanti ma il Poliziotto gli respinge i documenti e così tutti rimaniamo in attesa dei miei dollari in arrivo.
Ora devo chiamare Nini, che era rimasto a guardia delle moto, perchè vogliono vederlo di persona.
Completato questo passaggio, si procede con la stipula dell’assicurazione. Una signora viene chiamata dal ragazzotto e riempie due schede con tre dati in croce. Impiega mezz’ora e 12+12 dollari.
Tappa finale, la Oficina de Aduana. Un calvario. Ancora una donna. La peggiore finora incontrata. Sono davanti al banchetto e grondo sudore. La mia aria sofferente la lascia del tutto indifferente. Inizia a chiedere documenti ed a creare difficoltà. Il Carnet de Passage en Douane, che ha valenza internazionale e raccoglie tutti i dati delle moto non lo vuole nemmeno guardare. Vuole gli originale di libretto e titolo di proprietà delle moto. Ovviamente non trova i dati che cerca e solleva una montagna di problemi. Butta tutto da una parte ed inizia a complilare le carte per una signora che stava dietro a me nella fila.
Su insistenza riprende a guardare le carte ma sul Foglio Complementare non trova indicato il modello della moto e ferma tutto. Di qui non si passa!!! – dice. Il mio scugnizzo prende le carte e lo seguo fin nell’ufficio dove lavorano altri funzionari, dall’altra parte del piazzale. Il “capo” capisce al volo e predispone un ordine firmato per la doganiera. Torno indietro ed apetto. LEI, di malavoglia ricomincia a preparare le carte che passa poi ad una collega della polizia. Questa “caprona” inizia a girarsele sul tavolino quasi facesse un solitario e dopo mezz’ora si decide ad apporre dei timbri. Mi restituisce il tutto ma manca ancora il timbro sul Carnet de Passage. Nulla da fare. Si rifiuta. “Senza l’autorizzazione del capo, che ora non c’è” – dice – “non posso firmare nulla”.
Nuovo passaggio dello “scugnizzo” oltre il piazzale e questa volta arriva il “funzionario-capo” di prima che prende le carte e senza dire nulla appone i timbri e finalmente riusciamo ad andare. Lo scugnizzo ora pretende il suo compenso. Gli allungo 10 dollari, convinto di essere più che generoso. Mi guarda torvo e mi dice che sono pochi. Sono sfinito e non vedo l’ora di toglirmelo di torno. Lo stramaledico, associandolo in ciò a tutti gli altri personaggini incontrati nelle ultime ore e lo accontento. Riesce a fregarmi sui cambi e così, invece che 20 dollari, me ne estorce 27. Va detto che senza il suo aiuto non ne saremmo venuti fuori. Qui è tutto già organizzato. Funziona così, prendere o lasciare.

Ormai è buio pesto. Siamo completamente disidratati. Ci fermiamo per bere un po’ d’acqua. Due bottigliette 2 dollari e mezzo, con l’obbligo di restituire i vuoti (di plastica). Ultimi 35 km e finalmente un hotel decoroso. Non ne potevamo più.
Tolta la tuta impermeabile, sotto siamo completamente bagnati. La giacca pesa 10 kili. Che sfinimento. Domattina attraverseremo di corsa il Nicaragua, sperando di non incappare nuovamente in una doganiera alla prossima “Frontera”.


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