15 aprile 2010
Per fronteggiare il caldo torrido che abbiamo patito ieri, abbiamo deciso di anticipare la partenza.
Alle 7,30 siamo già sulla strada, lontani da David. Dopo un’ora ci ritroviamo in un paesaggio inatteso. Attorno a noi verdi pascoli di alta montagna con pini e felci. Una fitta nebbiolina rinfresca l’aria.
É stato sufficiente salire di qualche centinaio di metri sulla sierra e tutto si è trasformato. Non sembra proprio di essere all’equatore. Mandrie di vacche pasciute pascolano libere e l’impressione è quella di essere tra le nostre montagne. Sul valico tira un vento forte e dietro lo stau scarica pioggia. L’aria dell’atlantico che sale spinta dal vento si sta liberando dell’umidità in eccesso.
Una cupola bianca di nubi riveste le cime. Scendiamo con molti tornanti dentro una boscaglia che pian piano cede le aghifoglie ed acquista palmeti e banani. Non più verdi prati ma foresta sempre più densa. Torrenti d’acqua torbida si precipitano a valle scavalcando la strada e trascinando con sè fango e tronchi d’albero. Numerose squadre di operai e molte macchine combattono contro la natura che cerca di riappropriarsi della propria terra cancellando la cicatrice della strada.
Percorriamo molti sterrati, lì dove l’acqua ha cancellato l’asfalto e scendiamo nei greti dei torrenti guadando tra le pietre. Sulle cime dei monti si stagliano contro il cielo gli alti pennacchi delle palme da cocco.
Le abitazioni degli indigeni sono frequenti e tutte su palafitte. Semplici capanne in tavole di legno, senza finestre ma tutte con la veranda. Vorrà dire qualcosa il cartello stradale con il simbolo del serpente? Si, un cartello come quelli che da noi, in montagna, riportano l’immagine di una mucca o di un capriolo. La strada è bellissima e procediamo lentamente per assaporare colori e profumi.
Giunti sul lato atlantico, dirigiamo a ponente, verso la frontiera con il Costa Rica. Giuntivi, per ben tre volte imbocchiamo la strada sbagliata, poichè quell’unica giusta non ci sembra credibile. É infatti una carrareccia in ghiaia che si inerpica lungo un’argine. Ci rendiamo conto che invece si tratta della strada giusta, quando scorgiamo un camion enorme che la percorre nell’altro senso, provenendo da un ponte di cui si intravvede l’arco della struttura metallica. É incredibile. Si tratta di poco più di un ponte ferroviario tipo Bailey, costruito dagli americani nei primi anni del secolo scorso e tuttora in funzione, rappresentando l’unico punto di comunicazione tra i due stati, sulla costa atlantica.
I camion passano a turno, uno alla volta, sfiorando i bordi del ponte che riportano evidenti ferite e procedento sull’impalcato di tavoloni sconnessi che scricchiolano e si schiantano sotto il carico. Molte tavole mancano e tutte sono mobili. Sotto scorre l’acqua ambrata del fiume.
Le pratiche dalla parte panamense sono sbrigate in pochi minuti. Dall’altra parte si intravvedono molti camion in attesa. Decine di persono vanno e vengono a piedi.
Non ci decidiamo a partire. Il funzionario della dogana ci invita a far presto. Io mi infilo il casco ma nella fretta dimentico di togliermi gli occhiali. Mi ritrovo con stanghette e lenti incastrate dai due lati della testa. Ovviamente una delle lenti si è spezzata.
Nini parte sul lato sinistro ma è indeciso. Avanza lentamente. Il suo cupolino è cieco e gli impedisce di vedere davanti alla ruota. I piedi rischiano di non trovare l’appoggio laterale. Nessuno si cura di noi, ovviamente, e non possiamo aiutarci reciprocamente. Ci ricordiamo di un video visto mesi fa. Un gruppo di motociclisti inglesi aveva ripreso questo passaggio. Si erano aiutati spingendo le moto a mano ed uno era anche caduto. É solo una questione psicologica. In realtà il tratto di ponte non rappresenta una difficoltà maggiore di quanto non sia seguire la traccia di una ruota sullo sterrato. Solo che qui una caduta porterebbe conseguenze disastrose.
I tavoloni si muovono e si alzano. I parapetti sono in parte divelti. Quando arriviamo dall’altra parte siamo piuttosto provati. La dogana del Costa Rica, che ha il suo bugigattolo in uno slargo, appena fuori dal ponte, ci fa infilare le moto su uno spiazzetto dove entrano appena. Chiudiamo così l’accesso agli uffici e la gente passa con fatica. I camion ci sfilano davanti a pochi centimetri.
Il funzionario della dogana è una donna. Guai in vista. Le donne sono molto più difficili e pignole. Questa non fa eccezione. Comincia con chiedere fotocopie di tutti i documenti, una fotografia e l’assicurazione. Naturalmente non abbiamo nulla di tutto ciò. Non ci era mai capitato.
La doganiera ci informa che le fotocopie si possono fare presso il salone del barbiere. Nini scende una specie di scalinata intagliata sul fianco della scarpata e segue un sentiero che lo porta tra gli acquitrini. Non lo vedo per più di mezz’ora e quando ritorna appare esausto. Mi racconta che l’ufficio è in realtà un’area promiscua adibita in buona parte a salone di barbiere con presenza di ciuffi di capelli sparsi sul pavimento di tavole, angolo con piccola cartoleria (4 penne e alcuni fogli di carta), zona copisteria con PC, scanner e fotocopiatrice relegate dietro ad una rete metallica a maglie fitte, tanto che per infilare la carta il titolare deve arrotolarla, passarla oltre alle sbarre e srotolarla con l’ausilio di una penna, prima di inserirla nella macchina, zona residenziale con frigorifero centrale che divide un letto più grande da altri tre più piccoli ed infine bagno aperto e free sull’impiancito, dove uno dei bimbi sta facendo pipì e l’altro la cacca, sotto allo sguardo ammirato del terzo fratello.
Consegnamo le carte ma………….manca ancora (e non ce l’aveva chiesta) la copia della patente di guida. Nuova spedizione verso il barbiere. Io nel frattempo vado in farmacia, dove dovrebbero farmi le assicurazione delle moto. Naturalmente mi vengono chieste le fotocopie dei documenti (che non abbiamo fatto). Nini torna dal barbiere…………
La doganiera vuole vedere i numeri di serie dei telai e dei motori. Acrobazie acrobatiche. Torno con le copie dalla farmacista. Sulle copie dei certificati mancano i numeri di serie. Torno alle moto per prendere gli originali dei libretti.
Ancora un’oretta e tutto è finito. Ormai abbiamo perso la giornata.
Il nostro obbiettivo è troppo lontano e ci fermiamo al paese più vicino. Ci rifugiamo in un lodge e prendiamo un bungalow nella foresta. La natura attorno a noi è stupenda. Piante e fiori dai mille colori.
Scende il buio ed esplodono i suoni della notte. Uccelli, scimmie ed insetti ci fanno compagnia fino a mattina. É stupendo.
Download itinerario del 15 aprile 2010 >> (per visualizzare il tour è necessario Google Earth)