4 marzo 2010: arrivati ad Ushuaia
Oggi dovrebbe essere il giorno del nostro arrivo ad Ushuaia, la prima grande meta del nostro viaggio. Aspettiamo le nove per partire, perchè prima la temperatura è ancora bassa.
Generalmente le ore più calde sono quelle pomeridiane ma si sta già bene dalle undici. Ad una settantina di chilometri ci fermiamo alla frontiera tra Argentina e Cile. Le formalità doganali sono lunghette ma relativamente semplici. Moduli da riempire nell’una e nell’altra frontiera. Tutti simpatici e gentili. Un doganiere mi offre perfino il matè dalla sua tazza. Amaro ma buono.
Dopo meno di un’ora arriviamo in vista del braccio di mare noto come Stretto di Magellano.
Il Ferry è già lì che aspetta e dopo un’ora siamo già sbarcati nella Terra del Fuego.
Lo spirito si esalta con la sensazione di essere protagonisti di un’avventura che ripercorre luoghi e ricorda personaggi che hanno fatto la storia della navigazione e delle scoperte geografiche.
Di qua son passati i grandi navigatori, primo tra tutti Magellano che scoprì il passaggio interno verso ovest nel 1520. Era con lui il nostro concittadino Antonio Pigafetta. Tra gli avventurieri dei primi secoli della storia moderna ricorderò solamente i famosissimi Drake e Cook. Tra gli scrittori Chatwin e Sepulveda e tra gli scienziati naturalisti Charles Darwin che percorse il canale a bordo della nave Beagle da cui trasse il nome, nell’ottocento, questo braccio di mare ed il botanico Joseph Banks, compagno di viaggio di Cook nella scoperta della Terra Australis a bordo della HMS Resolution.
Innumerevoli gli altri personaggi, famosi o no, attirati qui da curiosità scientifica, desiderio di gloria, di ricchezza o per semplice curiosità. Su tutti ed a tutti, questa terra ha lasciato un segno indelebile. Nessuno è rimasto indifferente al fascino dei suoi contrasti.
Qui da Ushuaia, da dove ora sto scrivendo, vedo il braccio di mare del Canale di Beagle entro cui si specchia una cornice di basse montagne dalle cime innevate. Oggi il cielo è ceruleo e cade una lieve pioggerellina che crea la giusta atmosfera di calma e serenità ed invita alla riflessione. La temperatura è di 2 gradi.
Superato lo Stretto, appare tangibile il cambiamento del territorio. Ci si addentra nell’isola seguendo una starda sterrata per 150 chilometri. La via è tortuosa e sale di quota, addentrandosi in un ambiente ancora mai visto dalla partenza. Appare più come un paesaggio alpino, con pascoli gialli d’alta quota, su cui appaiono incastonati, di tanto in tanto, specchi d’acqua di un blu intenso o lagune secche, bianche di sale. Oltre le recinzioni che sfilano da ambo i lati della via, pascolano mandrie di vacche che sembrerebbero appartenere al tipo europeo Simmental, greggi di pecore dal vello grigio e gli immancabili guanachi. Difficile resistere e non fermare la moto per immortalare questi paesaggi bucolici. Raramente si intravvedono insediamenti umani.
Al primo contatto con lo sterrato Nini si rivitalizza. Finalmente si trova nel suo ambiente e dà gas. Per me la cosa è differente. Sono almeno 2 anni che non esco in fuoristrada e siamo carichi come muli. Il retrotreno sculetta e la cosa mi agita un po’. La velocità va tenuta altina e non mi sento ancora sicuro. Dopo la prima ora di cammino le mani sono indolenzite e mi accorgo di stringere le manopole con troppa forza. Devo rilassarmi. All’incrociare dei camion che transitano in senso inverso, la polvere che ci investe è tale da oscurare tutto per alcuni secondi e non mi diverto per niente.
Stiamo correndo a 100/110 km/ora e dobbiamo avvicinarci al bordo dove si sono accumulati depositi di ghiaia sciolta ed in piu’ alla cieca. Tutto sommato l’asfalto non mi dispiaceva.
Eravamo entrati in Cile ed ora ci stiamo nuovamente avvicinando alla frontiera. Altro passaggio in dogana e via, verso Ushuaia, attraversando paesaggi sempre più belli. Per la prima volta, da quando sono in Argentina e dopo aver percorso 3400 chilometri, vedo la sagoma di una albero. Rinsecchito, contorto, spezzato. Dopo poco eccone un altro, no, sono due, tre, cento. Come definirli, residuati di boschi? Gli alberi sembrano simili al nostro Pino Cirmulo d’alta quota, bassi e contorti, con qualche ciuffo di verde e molti rami spezzati e cadenti. Il terreno ne è ricoperto. Sembra una foresta pietrificata. Procedendo la strada si inerpica ed affrontiamo un paesaggio decisamente alpino.
Dopo molte ore di viaggio non sentiamo ancora la stanchezza perchè la strada costeggia bracci di mare, foreste via via più fitte e verdi. Nini passando scorge dei castori sul bordo di un laghetto. In cielo volteggiano grandi rapaci. Il freddo è sempre più intenso e finisco per cambiare le marce senza usare la frizione perche’ muovo le dita, ormai ghiacciate, con difficoltà.
Finalmente attraversiamo la catena montuosa che ci separa dalla cittadina ed iniziamo la discesa. Si coglie il sapore del mare e l’aria si riscalda. Arriviamo in città e con noi i due motociclisti brasiliani con i quali abbiamo percorso gli ultimi 400 chilometri. E’ d’obbigo una fotografia di gruppo davanti alla tabella di benvenuto della città di Ushuaia. Domani sarà dedicato al riposo ed alla revisione dei mezzi. Faremo una capatina fino al limite meridionale dell’isola e poi programmeremo l’itinerario che ci porterà verso nord.
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3 marzo 2010
Ieri mattina faceva veramente freddo. Per le prime due ore mi sono ghiacciato e mi son dovuto fermare per prendere un giornale da inserire sotto la giacca a protezione del vento.
Il cielo era coperto e minacciava pioggia. Nini si è messo la tuta antipioggia ma io mi sono limitato a coprire le borse con del nylon. So che se indosso la tuta impermeabile mi bagno di sudore più dentro che fuori e così solitamente attendo le prime gocce prima di metterla. Invece è andata bene e dopo poca strada il cielo si è aperto e sono rimasti solamente dei batuffoli bianchi la cui ombra però, proiettata sulla strada, correva più o meno alla nostra velocità (120 km/h).
Il sole cambia sempre le cose e a me cambia l’umore. La luce ma soprattutto il calore mi ridà vita e mi sento bene.
Il viaggio proseguiva spedito fino a che la mia moto non ha cominciato a lanciare brutti segnali, strattonando ed infine spegnendosi a varie riprese. Speravo fosse un’episodio come quello già occorsomi alla partenza e che poi si era risolto da solo consentendomi di percorrere senza intoppi i successivi 2000 km. Invece il problema non dava cenno di volersi risolvere e così, approfittando della vicinanza di una pueblo, abbiamo fatto una deviazione per consultare un meccanico locale.
A parer suo, di primo acchito,sembrava trattarsi di presenza di acqua nel carburatore. Fatto uno spurgo, abbiamo ripreso il cammino, dovendo percorrere, prima di sera, altri 400 km. Dopo un quarto d’ora il problema si è ripresentato e a questo punto ho deciso di ritornare all’officina per evitare di trovarmi fermo a metà strada senza alcuna possibilità di ottenere assistenza o ricovero. Il meccanico però non sarebbe stato disponibile prima delle 19, in quanto impegnato in altra riparazione fuori sede. Nini non ha preso posizione e mi ha lasciato decidere se aspettare o tentare di ripartire. Ho deciso di rimanere ed abbiamo pertanto atteso per 4 ore il suo rientro. Ho approfittato del tempo disponibile per smontare tutto e predisporre la moto per la riparazione. Sembrava potesse dipendere da un problema di presenza d’acqua nel carburatore. Ho pertanto tolto tutti i bagagli per poter smontare sella e quindi serbatoio. Poi ho atteso. Al suo arrivo, in 2 orette ha fatto delle prove ed infine smontato e sostituito la pompa di alimentazione della benzina con l’altra che avevo portato di scorta. Spero che ora la moto funzioni. Tra poco ripartiremo ed avremo modo di verificare.
Questi episodi, ancorchè fastidiosi, sono quelli però che ti fanno entrare in contatto con la gente che altrimenti scorrerebbe via lungo la strada senza lasciare nessun segno.
Con l’officina vuota ed in assenza del marito, la moglie mi ha fatto entrare per lavorare sulla moto mettendomi a disposizione tutti gli attrezzi, senza mai venire a controllare cosa io stessi facendo. Ho smontato le parti che andavano tolte e poi è arrivato il marito. Ha lavorato 2 ore e spero che mi abbia risolto il problema, chiedendomi l’equivalente di 10 euro. Poi uno dei personaggi che giravano nell’officina ci ha portati a mangiare in un suo ristorante, accompagnandoci in moto. Bravi no?
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Il territorio è cambiato. Nei giorni precedenti osservavamo vaste aree cespugliose, poi i cespugli son diventati ciuffi d’erba. Infine tutto è diventato deserto di sabbia e pietre.
Si son cominciate a vedere delle rugosità del terreno che in precedenza era di un piatto assoluto. Sulla carreggiata, a cadenza di qualche centinaio di metri si notano tracce di sangue di animali che hanno impattato con auto o camion, probabilmente durante la notte. A lato della strada ci sono innumerevoli carcasse di guanachi, lepri, uccelli e perfino di un cavallo. Benchè lungo tutta la strada, sui due lati, corrano recinzioni continue, gli animali pascolano appena fuori dall’asfalto a centinaia. Gruppi di guanachi brucano l’erba fin sul bordo della carreggiata e si spostano appena al nostro passaggio. Lungo il tragitto, di tanto in tanto, scorgiamo delle grandi pozze d’acqua dove si ritrovano per bere pecore, uccelli e perfino dei fenicotteri rosa. Vediamo e ci fermiamo a fotografare un branco di nandù, sorta di struzzi di taglia ridotta. Si spostano velocemente ma non scappano e riesco ad avvicinarmi abbastanza da poterli fotografare.
La moto va abbastanza bene ma ho sempre la sensazione che possa accadere qualcosa. Ogni tanto percepisco uno strappetto, segnale che la benzina non giunge al carburatore con costante pressione. Non me la sento di continuare il viaggio addentrandomi verdo l’interno della zona meno popolata senza avere almeno un’altra pompa di ricambio. Temo inoltre che questa difficoltà di alimentazione finirebbe, presto o tardi, col danneggiare anche il motore.
Arriviamo comunque bene e velocemente fino a Rio Gallegos e qui, al distributore di benzina, reincontriamo due motociclisti brasiliani che avevamo conosciuto ieri. Loro avevano proseguito in viaggio quando noi avevamo invece deciso di rimanere al paese di San Julian per la riparazione. Oggi li abbiamo incontrati dallo stesso nostro meccanico. Loro per un problema di camera d’aria, anzi, di 2 camere d’aria rotte entrambe, benchè nuove. Io ho deciso di cambiare la pompa della benzina, sostituendo quella a depressione attualmente montata con una pompa elettrica originale che fortunatamente si è trovata in loco. L’operazione ha richiesto, come ieri sera, lo smontaggio di tutto il bagaglio, delle borse, sella, fianchetti e serbatoio. Il meccanico se la sta prendendo comoda e temo che farà notte, prima che mi consegni la moto. Per adesso scrivo e aspetto, seduto su un quad, all’ombra. Credo che rivedremo i brasiliani stasera, se decideremo di rimanere qui e ripaartire domattina. Lascerò a Nini la decisione in quanto lo sento smanioso di ripartire e non desidero creargli problemi.
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2 marzo 2010
Man mano che scendiamo verso sud la temperatura scende e specie la mattina e verso sera comincia a far freddino.
Abbiamo l’impressione però che anche il calore che avevamo colto con sorpresa e piacere nella gente del nord, stia sparendo con la stessa velocità delle nostre motociclette. Salvo qualche raro episodio, siamo accolti con indifferenza e nessuno ci gira più attorno per chiedere di noi o raccontare di se stessi.
A Buenos Aires, a parte il caos del traffico, chiunque, interpellato o no, si prodigava per darci assistenza, indicarci la strada e perfino accompagnarci per chilometri fino a trovare quella giusta.
Qui le cose sono diverse. A mala pena ti rispondono ed i modi sono piuttosto freddini se non addirittura maleducati.
Ieri abbiamo fatto alcuni incontri simpatici. Un ragazzo di La Plata (dintorni di Buenos Aires) che stava scendendo ad Ushuaia in bicicletta. Ammirevole e simpatico. Al solo pensiero di questo giovanotto che pedala da giorni controvento nella steppa più desolata, carico e senza la sicurezza di arrivare ogni sera in un paesino dove dormire o mangiare, mi ha fatto sentire piccolo ed ho provato quasi un senso di vergogna per l’opulenza dei mezzi con cui ci stiamo muovendo noi e per tutto il carico di comfort che ci portiamo dietro. Bravo, bravo davvero!!
Ad un distributore abbiamo poi incontrato una coppia di tedeschi che stavano risalendo da sud con una Holda Africa Twin 750. Provenivano da Ushuaia, dove erano arrivati partendo da Saltiago del Cile. Lì erano giunti dall’Australia, dove erano arrivati partendo dall’India. Il raid era iniziato in Germania ed avevano percorso i balcani, Grecia, Turchia, Siria Giordania e da Dubai, in volo, fino all’India. Gran bel viaggio. Un po’ strettini su di una moto sola in due e con tutto il necessario per sopravvivere e viaggiare dall’agosto scorso. Bravi, anzi bravissimi anche loro.
Il vento rinforza sempre più. Stamattina abbiamo cercato di cambiare gli euro o i dollari ed abbiamo tentato in 4 posti differenti. Chi per una ragione, chi per un’altra, non siamo riusciti a cambiare fino alle 11. Mattinata persa e in più una sudata pazzesca alll’interno della banca. Una volta partiti, il sudore ha cominciato a raggelarsi. Minacciava di piovere e Nini ha indossato la tuta da pioggia. Io ho posizionato dei sacchi di nylon sulle borse. Naturalmente è uscito il sole…
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1 marzo 2010
La penisola di Valdes è una piattaforma di terra che si allunga sull’oceano Atlantico per un centinaio di chilometri.
Da qualche anno, grazie alla ricca e particolare avifauna che la popola, è stata inclusa tra le aree protette dall’UNESCO e definita “Patrimonio dell’Umanità”. Lo stesso Charles Darwin, nel suo peregrinare alla ricerca di nuove specie da catalogare, ne era rimasto colpito.
Nell’interno, la sua enorme superficie è attualmente suddivisa in 80 proprietà terriere. Vi crescono esclusivamente sterpaglie e piccoli arbusti adatti solo all’allevamento di ovini che si contendono i germogli con i numerosi e graziosi guanachi selvatici, presenti ovunque.
Ogni Estancia (fattoria) possiede e gestisce decine di migliaia di pecore che forniscono una lana così pregiata da avere giustificato, in passato, la creazione di un porto per favorirne l’invio verso i mercati lontani.
Oltre alle volpi grigie, alle lepri di Patagonia dalle lunghe zampe, tanto da farle apparire più come piccoli cani che come le nostre lepri, alle faraone selvatiche che razzolano ovunque lungo la pista e a “los aves caroneros”, grandi uccelli veleggiatori mangiatori di carogne, la caratteristica peculiare sono le numerose colonie di pinguini, di elefanti di mare e di leoni marini. Qui, lungo le coste frastagliate, trovano il loro habitat ideale e qui vengono per riprodursi. Un solo maschio di elefante riesce a coprire fino a cento esemplari di femmina.
Anche l’Armadillo “peludo” è presente con numerosi esemplari. Sembra un gigantesco bruco corazzato con un simpatico musetto da porcospino e la coda di un gigantesco ratto. E’ curioso e non teme l’uomo, per cui si riesce ad avvicinarlo fino a pochi centimetri. Con le lunghe unghie di cui e’ dotato, è in grado di scavarsi un rifugio sottoterra e sparire alla vista in pochi secondi. I locali lo mangiano, trovandone il sapore gradevole. Io devo dire che riuscirò a farne a meno senza rimpianti.
L’osservazione dei mammiferi del mare è semplificata dalla creazione di osservatori, posti a debita distanza e soprelevati. Gli esemplari presenti sono numerosissimi, stipati uno a fianco dell’altro, mescolati tra razze e dimensioni. I giganteschi elefanti si distinguono facilmente per la loro mole (arrivano a pesare fino a 4000 kg) ed il loro colore biancastro. Sono meno numerosi dei leoni marini che si crogiolano al sole finchè i loro piccoli sguazzano nelle piscine naturali tra “las restingas” (canali scavati nella roccia dall’acqua che sale e scende con la marea) e si satollano di alghe, pesciolini e piccoli crostacei.
Sulle restingas si notano anche resti di antichi velieri che vi si sono arenati nel tentativo di trovare rifugio dalla tempesta. La visita ci ha riempito gli occhi. Abbiamo ricaricato lo spirito e siamo pronti a ripartire.
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Siamo partiti presto stamattina e lungo la strada il traffico era intenso. Via via che scendiamo diventano sempre più rari i distributori e la mia Honda è davvero assetata. L’autonomia è più bassa del previsto ed abbiamo dovuto ricorrere all’uso delle tanichette di emergenza che teniamo appese alle casse di alluminio. La KTM di Nini non ha invece problemi di questo tipo. Consuma meno ed ha un serbatoio molto più capiente del mio.
Il vento è divenuto ormai il compagno più assiduo. Non ci molla mai. E’ molto forte e temo che ci accompagnerà fino a destinazione. Quando lo abbiamo di lato, ci spinge e ci si appoggia con la sensazione di viaggiare di bolina stretta. Sbandati ma stabili. Quando invece viene di fronte o da dietro e cambia anche di pochi gradi a destra e sinistra, ci fa ondeggiare visibilmente. I camion che passano rappresentano un ulteriore momento di destabilizzazione e ci schiaffeggiano con pesanti spostamenti d’aria che si aggiungono o sottraggono alle raffiche del vento.
L’asfalto a tratti è fortemente deteriorato e bisogna evitare di entrare nelle profonde orme delle ruote dei camion, impresse sulla carreggiata ed evitare le buche che la punteggiano.
Abbiamo attraversato la città di Comodoro Rivadavia, lasciandola scorrere senza fermarci. Come si fa a vivere in un posto così?
Ora, percorsi più di 650 chilometri, ci siamo fermati a Caleta Olivia. Ma quanto è lunga l’Argentina? Domani proveremo a farne altri 700.
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