14 marzo 2010
Oggi solo tappa di trasferimento, da Esquel a San Carlo de Bariloche.
Vento molto forte e difficoltà di avanzamento. Molto freddo in questo paesaggio tipicamente alpino, con foreste di conifere, laghi e valli verdeggianti.
Mi sembra si stia andando verso aree più popolate, però da Esquel il primo distributore lo abbiamo trovato solo dopo 180 km.
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Riepilogo itinerario
Percorso completo dalla partenza da Buenos Aires il 25 febbraio fino all’arrivo a Esquel il 13 marzo 2010.
13 marzo 2010
Oggi giornata molto dura. Abbiamo percorso la Carretera Austral per varie centinaia di chilometri, attraversando più volte dei passi tra le Ande.
Il paesaggio splendido. La strada, che costituisce l’unico collegamento dell’area sud del Cile con il resto del Paese e che porta un nome così importante, è più o meno come sono le strade del nostro altopiano di Asiago che portano i turisti alle malghe. Quasi tutto il percorso si sviluppa su sterrato.
La vegetazione lussureggiante invade da ambo i lati parte della carreggiata che di per sè non è molto larga. Due mezzi, incrociandosi, non potrebbero passare. Fortunatamente il traffico è estremamente limitato. Oggi, in 150 km, abbiamo incontrato 2 fuoristrada e nient’altro.
La pista, credo sia più opportuno chiamarla così, sale e scende di quota tra boschi di aspetto tropicale, in vicinanza di ghiacciai eterni.
Questa è una terra di contrasti. Caldo e freddo, deserto e foresta, siccità e laghi, tutto dai connotati molto netti, molto duri.
E qui, in Cile, anche la gente è diversa. Già dalla frontiera si percepisce che il clima è più severo, in tutti i sensi. C’è più burocrazia. La gente non ha voglia o tempo per farsi attorno a noi, come succede invece in Argentina. Sembra quasi che le persone siano troppo indaffarate a sopravvivere.
Il clima è duro e già ora fa freddo. Passando nei villaggi, meglio sarebbe dire tra le rare baracche che affiancano la strada, anche a distanza di 100 chilometri un gruppo dal successivo, si nota solamente l’attività dei boscaioli che stanno preparando la legna per l’inverno. Grandi cataste attorniano le povere casupole e dai camini di tutte esce il fumo.
All’imbrunire fa già freddo. Mi chiedo come facciano a trascorrere il lungo inverno vivendo così isolati dal resto del mondo. Non ci sono collegamenti telefonici e tantomeno di rete. Non credo ci sia la televisione. Le case sono povere. Quasi tutte in legno e lamiera, alcune sono costituite da prefabbricati da campo, cui hanno aggiunto porticati o tettoie. Spesso sono dipinte con colori vivaci, giallo, rosso, azzurro. Si sono appropriati dei posti più improbabili per viverci. Bambini se ne vedono pochi, però in ogni villaggio ho sempre visto un parchetto con i giochi classici dei bimbi, con altalene e scivoli.
Tra le case e nei dintorni dei pueblos non c’è disordine, non ci sono immondizie abbandonate. Credo che qui ogni cosa sia preziosa e non si possano permettere sprechi. Ricordo che anche in Algeria, molti anni fa, durante un viaggio attraverso il deserto, i bambini si contendevano le nostre bottiglie di plastia vuote. Tutto può essere utile, a chi non ha niente.
Nei villaggi di maggior dimensione non è raro scoprire che nomi di hosterie, alloggi od altre attività sono in tedesco. Anche le vie richiamano località germaniche. Sicuramente ci sono ancora, tra queste valli, dei fuggitivi dell’ultima guerra mondiale. O i loro discendenti. Forse anche per questo la gente è più riservata e nessuno chiede nulla.
Ormai a notte fatta siamo arrivati al confine con l’Argentina. Solite formalità ma la speranza di poter percorrere gli ultimi chilometri su asfalto viene presto delusa. Ci aspettano altri 50 km di sterrato, di notte, in una discesa piena di curve e con la strada in condizioni pietose. La polvere rende quasi invisibile il percorso.
Siamo stanchi, dopo 12 ore di sterrato. L’ultima ora è un vero calvario. Arriviamo in pianura sbiancati dalla polvere come dei Pierrot.
Siamo a Esquel, sani e salvi.
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12 marzo 2010
Siamo in Cile. Fortunatamente ieri sera abbiamo deciso di passare la notte a Chile Chico, un piccolo pueblo appena oltre la frontiera.
Il programma originario avrebbe previsto di scendere fino all’innesto con l’Austral, 123 chilometri entro il confine. Dico fortunatamente perchè questa mattina abbiamo percorso il tratto di strada che dalle informazioni raccolte sarebbe dovuto essere in asfalto ed abbiamo impiegato quasi tre ore.
La strada si arrampica sul fianco della montagna che confina con il lago Buenos Aires, con giri viziosi, ripide salite ed altrettanto ripide discese. Il fondo naturalmente in terra battuta ma molto compromesso.
Bellissima la vista di un nuovo contesto, non più desertico e piatto, bensì roccioso, sinuoso e colorato. Questa è una zona di miniere d’oro e d’argento, ormai abbandonate. La vista sul lago è mozzafiato. Le sue acque si tingono di blu cobalto e poi virano sull’azzurro. Sullo sfondo il sole trae riflessi argentei. É un laghetto di montagna lungo 200 chilometri. Sulle rive la vegetazione esplode con esemplari quasi tropicali e foreste da favola.
La guida è, ancora una volta, molto impegnativa. Lo sterrato non ci abbandonerà nemmeno oggi per più di otto ore. A sera, nell’ultimo tratto, il vento frontale è cosi’ forte che la moto non ha potenza sufficiente per superare gli ottanta Km/h.
Poco prima del tramonto arriviamo a destinazione e come giusto compenso ci soddisfiamo con una deliziosa cenetta.
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11 marzo 2010
Oggi viaggio di trasferimento. Nessuna meta particolare, solamente chilometri da macinare per spostarsi più a nord, lungo la “Ruta 40″.
Da oggi potrò fregiarmi con orgoglio del distintivo di chi ha percorso questa strada lunga e difficile. In altri tempi si trattava sicuramente di un’impresa alla portata di pochi, ora è sicuramente più facile ma rimane tuttavia esclusiva per motociclisti di un certo tipo.
É molto faticoso percorrerla, anche se a tratti cominciano a vedersi lavori di ripristino che non sempre però costituiscono un vantaggio.
Spesso la terra appare smossa e ci sono tracce profonde. Il territorio che percorre è sempre deserto e selvaggio. In tutta la giornata, percorrendo 380 chilometri, avremo incrociato 5 o 6 auto. Branchi di cavalli bradi e qualche mucca, pecora o volpe sono stati gli unici esseri viventi che abbiamo incontrato. A metà della via un paesino di quattro case, un negozietto ed una pompa di benzina.
A sera avanzata ci dirigiamo verso la frontiera cilena. Passiamo i controlli, fastidiosi perchè i cileni ci fanno smontare tutto per verificare che non stiamo portando con noi frutta o vegetali. Nini si irrita ed inizia a bofonchiare. Tento in tutti i modi di farlo ragionare ma non sente ragioni. Chiede perfino il nome al funzionario per intimidirlo. Naturalmente la situazione peggiora e, sotto lo sguardo indifferente del doganiere, deve smontare il bagaglio ed aprire tutte le borse. Dopo mezzora ripartiamo, per fermarci quasi subito al primo paese per passare la notte.
Domattina scenderemo a valle per imboccare l’inizio di un’altra mitica strada, che corre da sud verso nord, la “Carretera Austral”, ancora in sterrato per almeno altri 200 chilometri.
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10 marzo 2010
Stamattina presto la moto era pronta. Il ragazzo della “gomeria” è stato di parola ed aveva montato il copertone, arrivato con il corriere di mezzanotte, e fatto il cambio dell’olio motore.
Pagato l’hotel, con 120 pesos (24 euro), abbiamo ripreso il nostro viaggio verso nord, attraversato pianure infinite di un giallo paglierino, deserti sabbiosi color ocra punteggiati da grandi laghi di acqua azzura e lagune blu cobalto. Tutto sotto un cielo reso limpido dal forte vento.
Già dalla “Ruta 40″ cominciamo a scorgere, in lontananza, il picco del Fitz Roy. Sono più di 100 chilometri ma si vede così bene che quasi non serve deviare per andarlo a vedere da vicino.
Tuttavia decidiamo di andare a rendere omaggio al mitico Cerro Torre, ben noto a tutti gli alpinisti nostrani. I picchi montuosi si staccano dalla pianura e svettano verso il cielo, senza pedemontana. Siamo ad una quota relativamente bassa ma la neve è lì, a poca distanza da noi. Un’altro ghiacciaio, più piccolo e meno famoso del “Perito Moreno”, si riversa nel lago.
Troviamo molti turisti stranieri. Dall’abbigliamento sono tutti chiaramente appassionati di montagna, se non proprio alpinisti. Alcuni di loro sono italiani. Sulla strada incrociamo anche diversi cicloturisti, stracarichi di bagagli. Penso a quanto siano coraggiosi, con questo vento, senza mai sapere con certezza se arriveranno al prossimo centro abitato che può trovarsi anche a 200 km di distanza, portandosi appresso tutto il necessario per dormire, mangiare, vestirsi in caso di freddo o pioggia. Alcuni viaggiano in coppia, altri sono soli.
Reso omaggio a questa splendida montagna, rifatto il pieno, ci dirigiamo verso est per riprendere la mitica “Ruta 40″.
L’inizio non è dei migliori e lo sterrato presenta alcune difficoltà. Bisogna seguire le traccie delle ruote con molta attenzione. La striscia percorribile è molto stretta, anche meno di venti centimetri ed i bordi sono dei cordoni di ballast sciolto che basta toccare per cominciare a sbandare.
Con il vento diventa difficile mantenere la traiettoria. In un tratto particolarmente ostico, dove lo strato di ghiaia e pietrisco raggiunge i venticinque centimetri e la traccia è quasi invisibile, sbando un paio di volte e rischio di cadere. Fortunosamente rimango in equilibrio e proseguo, ma rallento. Renato mi supera e cinquanta metri dopo inizia una sbandata che non riesce a controllare e dopo una decina di metri è a terra, con la moto che si ferma sul bordo della pista, girata di 180 gradi. Fortunatamente la caduta è stata morbida e senza conseguenze. Dieci minuti affinchè si possa riprendere e ripartiamo.
Non e’ facile correre in questo tratto di strada. La tensione è massima ed i pugni sono serrati sulle manopole. Le mani mi dolgono. Centosettanta chilometri in questo modo non passano mai. Nini invece si trova a suo agio e probabilmente si sta divertendo.
Arriviamo ad un bivio dove un cartello indica l’Estancia Angostura, cinque chilometri di deviazione ed arriviamo nel paradiso terrestre.
Proprio sul limite di proprietà, appena oltre il cancello di accesso, alcune lepri ci fuggono davanti alle ruote. Un piccolo rio costeggia il viottolo che ci conduce alla Estancia. Delle oche selvatiche ci sguazzano e non si curano di noi che stiamo passando con le moto. La prateria di un verde lussureggiante contrasta con tutto ciò che abbiamo visto lungo il percorso ed è popolata di armenti. Mucche, pecore e cavalli si pasciono dell’erbetta fresca. Pavoni ed altri uccelli razzolano nella corte. Appena arresto la moto, un bel gattone bianco ci salta sopra, dandomi il benvenuto.
Il titolare dell’azienda ci spiegherà poi della presenza di puma in numero consistente. Loro li chiamano “Leones”. E di come a volte, per istruire alla caccia i loro piccoli, questi felini di dimensiomi notevolissime, compiano stragi di pecore, arrivando ad ucciderne, in una sola notte, fino a sessanta unità. Ci spiega inoltre che tra poco la stagione sarà finita e loro torneranno in paese, abbandonando tutto per tutto l’inverno. Greggi e mandrie rimarranno incustodite per tutto il periodo e dovranno arrangiarsi per sopravvivere. Qui la neve arriva a ricoprire il territorio con almeno 30 cm di spessore.
Nini era già passato per questo luogo 10 anni fa ed ora racconterà lui le emozioni che sta provando.
Ugo
—
Mi approprio solo per questa volta del pc di Ughetto e unicamente per fare tutti pertecipi di ciò che sto provando.
Sono passati dieci anni da quando in una fredda notte di dicembre, ho trovato per caso questo paradiso: l’Estancia “La Angostura”.
Inspiegabilmente, ci siamo ritrovati nel medesimo posto che molti anni prima aveva contribuito a risolvere i non pochi problemi che avevo vissuto da viaggiatore solitario. Ora, con amici e con una giornata favolosa alle spalle, assaporo un piacere diverso. Riscopro me stesso e tutto ciò che era da molti anni sopito. L’emozione è tanta. Auguro agli amici più cari di vivere questi momenti.
Ho chiesto di “Bamby”, il piccolo guanaco che mi aveva accolto con la sua piccola padroncina ma, purtroppo, non ci sono più. Il primo per vecchiaia e la piccola a causa di un incidente. E’ inspiegabile che in un località tanto sperduta e per nulla trafficata si possa morire in questo modo. La tristezza che provo si mischia con l’emozione di essere nuovamente qui.
Tra poco ceneremo e, per quanto mi riguarda, il piccolo Bamby sarà al mio fianco e la piccola sulle mie gambe.
Nini
P.S. Lo sterrato (“il ripio”) è una favola. Ughetto sta diventando la freccia della Patagonia!!!
—
É un viaggio particolare. Di viaggi in giro per il mondo ne ho fatti diversi. Vuoi per lavoro, vuoi per turismo. Con la famiglia, con gli amici, a volte da solo.
Quasi mai c’è stato il modo o il tempo per la riflessione.I periodi, sempre troppo brevi, non mi avevano mai consentito di staccare completamente, di allontanarmi dai problemi e pensieri di ogni giorno. In questa occasione sto cogliendo l’opportunità di stare un po’ con me stesso.
Sembrerebbe un paradosso. Siamo partiti in 2 ed ora siamo quasi sempre in 4. Eppure è così. Le lunghe ore di guida della mia moto, mi lasciano quotidianamente ampio spazio per stare con me stesso. Si, è vero, guardo il paesaggio, controllo se gli altri si vedono nello specchietto o davanti a me, incontro gente, faccio fotografie. Però lo spirito lo sento diverso da quello che sempre mi aveva accompagnato in precedenza.Comincio pan piano ad espellere le scorie che mi hanno incrostato la mente. Ci vorrà ancora del tempo.
Per ora il rapporto principale è con la mia moto. Fedele e vecchia compagna, non abbandonarmi! Io e lei ormai ci conosciamo bene. Ha sofferto un po,’ all’inizio del viaggio, dopo tanti anni di quasi inattività, ma non ne aveva colpa. Ora il suo motore gira come un orologio svizzero e tutto funziona a meraviglia. La seguo, le parlo, la sento. Colgo ogni variazione nel ritmo dei suoi giri. Come gira il vento anche i rumori e le vibrazioni che percepisco cambiano ed io cerco di capire se tutto è normale. Un attimo con fiato sospeso e poi mi tranquillizzo.
Sono anche altri i pensieri, ovviamente, ma per la maggior parte del viaggio tengo la mente sgombra e lascio che il tempo scorra……….
Ugo
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