Salar di Uyuni







Itinerario del 23 marzo 2010

Itinerario del 23 marzo 2010

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23 marzo 2010

Abbiamo passato la notte a Uyuni. Le moto hanno girato la boa dei 10500 km.
Oggi ci siamo presi un giorno da turisti. Con un’auto fuoristrada, assieme ad un olandese e due americani, abbiamo fatto un’escursione nel Salar di Uyuni, il più grande e più alto deserto salato del mondo.
Residuo di mari di ere remote, questo altipiano è per 12.000 km2 ricoperto da sale puro, per uno spessore che raggiunge anche i 6 metri.
Ciò che si vede è lo spazio infinito del nulla bianco, nel silenzio assoluto. Anche in questo caso, l’obiettivo della macchina fotografica non riesce a cogliere le sfumature del bianco, rimane accecata e non valuta i contrasti di colore con lo sfondo delle montagne che incorniciano la piana ed il blu del cielo senza una nuvola.

All’inizio dobbiamo guadare delle aree di salamoia ma poi si corre spediti seguendo le numerose tracce che solcano il salar.
Nella stagione delle piogge sarebbe impensabile avventurarcisi. Ci sono delle aree umide appena ricoperte da un sottile strato di sale che sotto il peso di una moto o di un auto si romperebbe, facendo sprofondare le ruote nella melma salmastra.

Anche oggi si percepisce la differenza di solidità del fondo ma siamo con una guida. Visitiamo dapprima un cimitero di treni andini. Solo rottami ma tuttavia suggestivi. Poi una fabbrica di sale, dove tutto viene fatto rigorosamente a mano, infine i luogli di estrazione del sale.
Proseguiamo verso l’interno della desolata landa, fino a giungere ad un basso edificio, adibito ad hotel, interamente costruito con blocchi di sale. Muri, tavoli, mobili, letti, tutto è di sale purissimo.

La meta successiva è un’isola in questo mare di sale e come tale appare ai nostri occhi. L’isola è molto bella e ricca di vegetazione. Costituita però quasi essenzialmente da cactus di proporzioni enormi. Uno di questi, probabilmente il più antico, data 1200 anni di età.

La Bolivia continua a stupirci. A differenza dell’Argentina, qui il paesaggio è più vario ed in poche centinaia di chilometri si possono vedere cose diverse e provare sensazioni diverse……


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Itinerario del 22 marzo 2010

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22 marzo 2010

L’albergo di La Quiaca, inaspettatamente, era di buon livello. Con l’equivalente di 30 dollari abbiamo dormito, pranzato, cenato, fatto colazione e fatto lavare tuta e magliette varie.

Già ieri avevo visitato l’area doganale e non ci aveva fatto una buona impressione. Stamattina cercheremo di essere lì presto, per poter avere davanti l’intera giornata per viaggiare.

Alle 9 siamo dall’assicuratore. Per compilare 2 bollette con i nostri dati, ci impiega quasi un’ora. Con 22 dollari saremo assicurati per un mese in Bolivia. Naturalmente, adesso che abbiamo il certificato assicurativo, nessuno ce lo chiede.Tantomeno il certificato di vaccinazione. Ieri era stata la prima ed unica cosa che ci avevano chiesto, per poi respingerci.

La dogana apre alle 10,30. Passiamo, uno dopo l’altro, cinque differenti uffici ed in ogniuno chiedono le stesse cose. Il caos regna sovrano. Durante l’attesa abbiamo modo di osservare il passaggio dei boliviani che entrano in Argentina con passo di corsa, in una colonna continua ed infinita ed altri che escono, tornando in Bolivia, stracarichi di merci fino all’impossibile. Uomini e donne, giovani e anziani, tutti stracarichi e tutti correndo. Se penso che qui, a 3600 metri di altitudine, risulta faticoso anche salire le scale, non riesco a comprendere dove trovino la forza per correre così caricati di ceste, cassette, sacchi di tutti i tipi. Probabilmente avranno in bocca un lobo di foglie di coca, come ci ha suggerito di fare il comandante della guarnigione locale.
Le foto non riusciranno a rendere l’idea di quanto abbiamo avuto modo di vedere, sono statiche. Essere lì ad osservare questa povera gente mi fa un po’ vergognare del nostro status. E noi ci lamentiamo perchè le nostre moto sono troppo cariche!!

A mezzogiono e mezzo riusciamo a partire. Ci attendono trecento chilometri di ripio, fino a Uyuni, capitale del “Salar”.
I primi cento km sono un tormento di deviazioni su piste di sabbia e polvere. Non oso pensare a cosa diventerebbe il fondo in caso di pioggia. E’ quasi tutta pista ma dobbiamo pagare il pedaggio e lo dovremo pagare ben 3 volte, in 3 “caselli” (baracche a bordo pista) lungo la strada. Facciamo il pieno con benzina a 75 ottani al modico prezzo, riservato agli stranieri, di un dollaro al litro. Quasi tre volte quanto pagano i locali. Buona, come accoglienza!

A ridosso della frontiera la cittadina è tutto un mercato. Rimango stupefatto nel vedere che quasi tutti i negozi mettono in vendita materiale elettronico. Molti vendono abbigliamento, profumeria ed altre frivolezze. Mi sarei aspettato piuttosto un mercato di verdure, frutta, pellami e cose di questo tipo. Appena oltre il pueblo inizia il nulla.
Ci ritroviamo soli sulla pista, come spesso è successo nel corso di questa viaggio. Ma in questa parte del mondo, così vicina al cielo, non ci sono nemmeno le indicazioni stradali, nè i nomi dei paesi. Chiedere informazioni è quasi inutile. L’interpellato, in quasi la totalità dei casi, non è in condizioni di rispondere. Dev’essere a causa delle foglie di coca che masticano perennemente, oppure è la questione dei neuroni fulminati dall’altitudine. Questo è l’aspetto che più mi impressiona. Spero di essere smentito nei prossimi giorni.
Comunque imbocchiamo una delle due strade che ci troviamo davanti, orientandoci con il sole. Nella seconda parte del viaggio, dopo i primi cento chilometri, la pista inizia ad arrampicarsi sulla montagna e sale, sale………..e sale. Raggiungiamo i 4219 metri slm. La moto arranca ma va. Sui tornanti si mette la prima ed ancora stenta a riprendere. Poi, un po’ per volta, si avvia e prende velocità. Anche la nostra respirazione diventa più faticosa.
Sugli sterratoni che salgono lungo il fianco della valle va tutto bene, sulle curve a gomito e sui tornanti, dove necessita un minimo di impegno fisico, si sente il battito del cuore che accelera e si cerca l’aria. Buche dappertutto e ghiaia.

La cosa peggiore però è la sabbia che si accumula sui tornanti e rende difficoltoso il controllo della moto. E poi la polvere. Quanta polvere. Più di quella mangiata in un mese intero si ripio argentino. Quando incrociamo uno dei rari veicoli che percorrono la pista, la visibilità cala a livello 0 per alcune centinaia di metri e siamo costretti a fermarci.

Le montagne che ci circondano sembrano colline, ma sono tutte oltre i 4500 metri di quota. Corriamo in cresta per alcune ore. Il sole brucia. Lungo il percorso, squallide baracche offrono rifugio ai pastori di lama. Non so come possano vivere qui, ma soprattutto quanto possano vivere.
Ci sono anche dei villaggetti di sette/otto casette, con la loro scuola. Probabilmente sono minatori di qualche compagnia statale.

Il sole cala inesorabilmente e qui, a quattromila metri, sull’altipiano, fa buio presto. La nostra media è bassa. Tranne che in alcuni tratti di sterratone, dove riusciamo a tirare fino a cento km/h, non riusciamo a tenere una velocità sufficiente. Quando il sole si abbassa sull’orizzonte, proprio davanti a noi, la visibilità diviene molto difficoltosa. La visiera impolverata rifrange i raggi del sole e diventa inutilizzabile. Gli occhiali si coprono di polvere anch’essi e mi devo fermare più volte per pulirli.

Cala la notte e siamo ancora a 50 km dalla meta. La strada è tutta una tole ondulee ed è molto pericolosa. Già di giorno, sulla tole, la moto galleggia, perdendo aderenza con il terreno, ma la notte è molto peggio. Un paio di volte si mette di traverso e la tengo con difficoltà. D’altra parte non abbiamo scelta, siamo in pieno deserto. Siamo scesi dai monti e probabilmente stiamo correndo sulla distesa di sale.
Ora inizia anche il vento e la pista si copre di un velo di sabbia (o sale) trasportata dal vento. Non si vede più il terreno. Il paesaggio è irreale. Un velo biancastro scorre sotto le nostre ruote, sospeso a cinquanta centimetri da terra, spettralmente illuminato dall’ultima luce del tramonto che tinge di giallo il cielo sopra la silouette delle montagne che si stagliano all’orizzonte.
Procediamo alla cieca, finchè non ci ridossiamo a delle basse colline che però ci proteggono nuovamente dal vento. Torniamo a vedere, alla luce dei fari, i bordi della pista.
Alle 9 di sera, ormai sfiniti, scorgiamo in lontananza le luci del pueblo. Che visione meravigliosa. Vorrei fare come Cristoforo Colombo, quando sbarcò nelle americhe la prima volta. Ma qui c’e’ troppa polvere……………..


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I lama

Itinerario del 21 marzo 2010

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21 marzo 2010

Stamattina ce la siamo presa comoda. Io avevo comperato delle bandiere di stoffa da cucire sulla giacca ed ho chiesto alla proprietaria della locanda se me ne poteva cucice qualcuna. Non lo avessi mai fatto!! Intanto mi ha chiesto ago e filo, che non aveva. Già questo poteva farmi capire il seguito. Poi le ho spiegato per bene cosa volevo mi cucisse, e dove, e mi sono dedicato ad altre cose. In conclusione ho capito che farò bene ad arrangiarmi. La prima me l’ha attaccata sghimbescia e da tutt’altra parte, rispetto a quanto raccomandato. Fatta togliere e spiegato meglio, stava per cucirla nuovamente fuori posto. Ho messo via tutto e continuerò a cucirmele da solo, man mano che attraverserò i vari confini.

Partiti, la strada ha preso a salire con larghe curve, fino a raggiungere i 3780 metri del passo. Panorama, inutile ripetere, magnifico.

Sull’altopiano, a 3700 metri, abbiamo visto per la prima volta i lama. Carichi di pelo, brucavano a decine sul bordo della strada, senza scomporsi al nostro passaggio.

Arrivati in frontiera a La Quiaca, ed affrontate le prime formalità, eccoci subito nei pasticci. Ci manca l’assicurazione per le moto. Niente paura, in paese c’è chi può risolvere il problema. Ci forniscono le informazioni necessarie ed incominciamo un carosello su e giù per le vie polverose del paese. Paese di catapecchie, con strade in terra battura e buche ovunque. In conclusione: oggi è domenica. Abbiamo dovuto cercare un albergo e sistemarci per la notte.
Da quanto visto e dai molti contatti avuti con gli indigeni, ci vien da pensare che l’altitudine bruci rapidamente i neuroni dei residenti.


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Itinerario del 20 marzo 2010

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20 marzo 2010

Oggi arriveremo in prossimità della frontiera con la Bolivia. Ci dispiacerà lasciare l’Argentina, dopo quasi un mese di permanenza. L’impressione è di essere qui solo da pochi giorni. Sicuramente porteremo con noi un bellissimo ricordo dei luoghi, così diversi da quelli a noi consueti, e della gente così gentile e disponibile.

Le cittadine che abbiamo attraversato o visitato hanno l’aspetto dei paesi di frontiera, con abitazioni basse e sparse, quasi tutte di semplice struttura. L’impianto cittadino è a Castrum romano, con tutte le strade in quadro delle quali alcune sono a doppio senso di marcia ma quasi tutte a senso unico, con una che va e la successiva che torna, come nella Grande Mela. La circolazione risulta pertanto facile, una volta individuate le microscopiche tabelle con la freccia che indica la direzione obbligata. I primi giorni, ma accade tuttora, abbiamo più volte imboccato il controsenso. I semafori sono quasi invisibili e posti sul lato opposto alla provenienza. Anche in questo caso, i primi giorni ci fermavamo quasi a centro strada, non avendo a terra nessun riferimento e con il semaforo posto oltre l’incrocio.

I pueblos, i piccoli villaggi, sono più poveri ed a volte raccolgono poche casupole sghimbescie, di legno o pietra ed alcune volte di fango. Sono abitati in prevalenza da Indios. Non esiste però la sporcizia e nella loro modestia i centri abitati appaiono ordinati.
Le persone sono speciali. Per tutti, a tutte le età e senza distinzione di rango sociale o razza, gentilezza ed educazione sono d’obbligo. Forse un po’ curiosi ma mai invadenti. La gente saluta e sorride, proprio come da noi… quando chi ti incrocia per strada, si fa venire il torcicollo per non guardarti e perfino in ascensore c’è chi si scruta le scarpe come le vedesse per la prima volta, pur di non alzare lo sguardo. Timidezza? No, io la chiamo maleducazione. Beh, qui non c’è.

Ieri ci siamo fermati cinque minuti a bordo starda, in un piccolo paesino di dieci case ed una scuola. Nini è sceso per recarsi ad un chiosco in cerca di sigarette. Alcuni ragazzini con il grembiule, appena usciti da scuola, stavano camminando lungo la via e si sono subito avvicinati. Hanno chiesto, hanno guardato le moto ma nessuno ha toccato nulla. Delle scolarette erano ferme al chiosco e stavano bevendo una gazosa. Subito una di loro, riempito un bicchiere di bibita fresca, me lo ha porto con un sorriso. Anche da noi sarebbe successo, vero?
E poi l’Argentina è grande, enorme. Tutto è grande, la Pampa, le steppe, le montagne, i ghiacciai, i laghi, le strade, le valli, le portate al ristorante. Ogni cosa ha dimensioni inusuali in rapporto alla nostra normalità.

Gli argentini guidano generalmente bene, sono educati e molto rispettosi dei limiti. Segnalano con la freccia quando la strada è libera, davanti a loro, per consentirci di sorpassare. Il problema è che lo fanno accendendo la freccia sinistra. Le prime volte non capivo e non mi fidavo a sorpassare. Nei paesi dell’Est europeo, i conducenti di camion sono altrettanto disponibili con i motociclisti, ma segnalano con la freccia destra. Ebbene, in un paio di occasioni, vista la freccia a sinistra ho iniziato il sorpasso ma l’auto doveva veramente svoltare a sinistra!!!! Bisogna stare molto attenti.

Gli argentini hanno l’abitudine di dire che nel loro paese “nulla è come dicono che sia”. E questo lo possiamo confermare.

Anche la gamma di offerta di Hotels e ristoranti è la più ampia possibile. Abbiamo trovato di tutto, dall’hotel di lusso (relativamente) da 157 dollari, alla locanda da 16 euro. Per un buon pasto si possono spendere da 5 euro ad un massimo di 30.

Inoltre, in Argentina non abbiamo mai avuto, nemmeno per un momento, la sensazione che le nostre cose fossero a rischio di furto. Non credo sarà così d’ora in avanti, passando in Bolivia, Peru’ e negli altri paesi del centro America. Molti motociclisti che abbiamo incontrato ci hanno allertato sul problema.

Oltre all’Argentina, finora, abbiamo visitato solo la parte meridionale del Cile. Il Cile è diverso, interessante ma più triste, più complicato da vivere e, soprattutto, molto più caro dell’Argentina. Abbiamo pertanto scelto di non rientrare in quel paese ma procedere lungo la Ruta 40, fino al confine nord con la Bolivia.

Anche oggi è stata una giornata speciale. Il panorama maestoso delle montagne di argilla rossa ci ha accompagnato per centinaia di chilometri. Nelle valli scorrevano fiumi di un colore rosa pastello, ricchi di fanghi dilavati dalle alture, anch’esse scolpite ed incise in profondità dalle precipitazioni e dal vento.

Ai lati delle valle, le alture apparivano scure, poi rosse, poi coperte da un leggero manto di verde, quasi fosse muschio, poi di nuovo brulle. Le parti erose rivelavano strati di sedimenti multicolori, dall’ocra al rosso, al giallo, al nero. Pareti strapiombanti spiccavano dalla strada verso il cielo, cariche di massi incastonati, in attesa di precipitarsi a valle con prima pioggia.

Verso sera la strada ha preso a salire e con larghe ed invitanti curve ci ha portato oltre quota 2500, dentro le nuvole.
Sentivo la perdita di potenza della moto che tuttavia ha fatto il suo dovere. Il suono del motore è cambiato, divenendo più ovattato, la risposta all’acceleratore più lenta, ma il suo ron, ron, non ha cessato di farsi sentire continuo, rotondo e rassicurante. Ti voglio bene, vecchia mia, continua così!

Nell’ultima parte del percorso odierno il cielo era coperto. Ci siamo fermati per un caffè ed è iniziata la pioggia. Siamo ripartiti ed è cessata. Qualcuno o qualcosa sicuramente ci protegge. In un mese mai uno scroscio d’acqua, niente vento quando abbiamo attraversato lo stretto di Magellano, sia nell’andata che nel ritorno. Tutto è stato perfetto.

All’imbrunire abbiamo attraversato il Tropico del Capricorno. Sui due lati della strada, maestose montagne sulle cui cime di cresta, illuminate dal sole al tramonto, stavano i saguari, immobili sentinelle svettanti contro il cielo terso.

Ci siamo fermati ad Humahuaca, un pueblo a 150 km dal confine. Abbiamo preferito non arrivare alla frontiera di notte, con il dubbio di trovare o meno alloggio.
Abbiamo girato il paese, che ci era stato definito quale centro turistico, senza troppa fortuna. Alla fine ci siamo dovuti accontentare di un sistemazione piuttosto spartana. C’erano ospiti due coppie di ragazzi argentini, in vacanza con lo zaino. Stavano cucinando l’asado e noi ci siamo uniti a loro. Ci siamo fatti accompagnare in macelleria ed abbiamo acquistato un paio di kg di carne mista, cotta poi sulle braci e mangiata assieme ai ragazzi. Abbiamo chiacchierato per tutta la serata ed è stato piacevole.


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