Itinerario del 22 marzo 2010

Itinerario del 22 marzo 2010

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22 marzo 2010

L’albergo di La Quiaca, inaspettatamente, era di buon livello. Con l’equivalente di 30 dollari abbiamo dormito, pranzato, cenato, fatto colazione e fatto lavare tuta e magliette varie.

Già ieri avevo visitato l’area doganale e non ci aveva fatto una buona impressione. Stamattina cercheremo di essere lì presto, per poter avere davanti l’intera giornata per viaggiare.

Alle 9 siamo dall’assicuratore. Per compilare 2 bollette con i nostri dati, ci impiega quasi un’ora. Con 22 dollari saremo assicurati per un mese in Bolivia. Naturalmente, adesso che abbiamo il certificato assicurativo, nessuno ce lo chiede.Tantomeno il certificato di vaccinazione. Ieri era stata la prima ed unica cosa che ci avevano chiesto, per poi respingerci.

La dogana apre alle 10,30. Passiamo, uno dopo l’altro, cinque differenti uffici ed in ogniuno chiedono le stesse cose. Il caos regna sovrano. Durante l’attesa abbiamo modo di osservare il passaggio dei boliviani che entrano in Argentina con passo di corsa, in una colonna continua ed infinita ed altri che escono, tornando in Bolivia, stracarichi di merci fino all’impossibile. Uomini e donne, giovani e anziani, tutti stracarichi e tutti correndo. Se penso che qui, a 3600 metri di altitudine, risulta faticoso anche salire le scale, non riesco a comprendere dove trovino la forza per correre così caricati di ceste, cassette, sacchi di tutti i tipi. Probabilmente avranno in bocca un lobo di foglie di coca, come ci ha suggerito di fare il comandante della guarnigione locale.
Le foto non riusciranno a rendere l’idea di quanto abbiamo avuto modo di vedere, sono statiche. Essere lì ad osservare questa povera gente mi fa un po’ vergognare del nostro status. E noi ci lamentiamo perchè le nostre moto sono troppo cariche!!

A mezzogiono e mezzo riusciamo a partire. Ci attendono trecento chilometri di ripio, fino a Uyuni, capitale del “Salar”.
I primi cento km sono un tormento di deviazioni su piste di sabbia e polvere. Non oso pensare a cosa diventerebbe il fondo in caso di pioggia. E’ quasi tutta pista ma dobbiamo pagare il pedaggio e lo dovremo pagare ben 3 volte, in 3 “caselli” (baracche a bordo pista) lungo la strada. Facciamo il pieno con benzina a 75 ottani al modico prezzo, riservato agli stranieri, di un dollaro al litro. Quasi tre volte quanto pagano i locali. Buona, come accoglienza!

A ridosso della frontiera la cittadina è tutto un mercato. Rimango stupefatto nel vedere che quasi tutti i negozi mettono in vendita materiale elettronico. Molti vendono abbigliamento, profumeria ed altre frivolezze. Mi sarei aspettato piuttosto un mercato di verdure, frutta, pellami e cose di questo tipo. Appena oltre il pueblo inizia il nulla.
Ci ritroviamo soli sulla pista, come spesso è successo nel corso di questa viaggio. Ma in questa parte del mondo, così vicina al cielo, non ci sono nemmeno le indicazioni stradali, nè i nomi dei paesi. Chiedere informazioni è quasi inutile. L’interpellato, in quasi la totalità dei casi, non è in condizioni di rispondere. Dev’essere a causa delle foglie di coca che masticano perennemente, oppure è la questione dei neuroni fulminati dall’altitudine. Questo è l’aspetto che più mi impressiona. Spero di essere smentito nei prossimi giorni.
Comunque imbocchiamo una delle due strade che ci troviamo davanti, orientandoci con il sole. Nella seconda parte del viaggio, dopo i primi cento chilometri, la pista inizia ad arrampicarsi sulla montagna e sale, sale………..e sale. Raggiungiamo i 4219 metri slm. La moto arranca ma va. Sui tornanti si mette la prima ed ancora stenta a riprendere. Poi, un po’ per volta, si avvia e prende velocità. Anche la nostra respirazione diventa più faticosa.
Sugli sterratoni che salgono lungo il fianco della valle va tutto bene, sulle curve a gomito e sui tornanti, dove necessita un minimo di impegno fisico, si sente il battito del cuore che accelera e si cerca l’aria. Buche dappertutto e ghiaia.

La cosa peggiore però è la sabbia che si accumula sui tornanti e rende difficoltoso il controllo della moto. E poi la polvere. Quanta polvere. Più di quella mangiata in un mese intero si ripio argentino. Quando incrociamo uno dei rari veicoli che percorrono la pista, la visibilità cala a livello 0 per alcune centinaia di metri e siamo costretti a fermarci.

Le montagne che ci circondano sembrano colline, ma sono tutte oltre i 4500 metri di quota. Corriamo in cresta per alcune ore. Il sole brucia. Lungo il percorso, squallide baracche offrono rifugio ai pastori di lama. Non so come possano vivere qui, ma soprattutto quanto possano vivere.
Ci sono anche dei villaggetti di sette/otto casette, con la loro scuola. Probabilmente sono minatori di qualche compagnia statale.

Il sole cala inesorabilmente e qui, a quattromila metri, sull’altipiano, fa buio presto. La nostra media è bassa. Tranne che in alcuni tratti di sterratone, dove riusciamo a tirare fino a cento km/h, non riusciamo a tenere una velocità sufficiente. Quando il sole si abbassa sull’orizzonte, proprio davanti a noi, la visibilità diviene molto difficoltosa. La visiera impolverata rifrange i raggi del sole e diventa inutilizzabile. Gli occhiali si coprono di polvere anch’essi e mi devo fermare più volte per pulirli.

Cala la notte e siamo ancora a 50 km dalla meta. La strada è tutta una tole ondulee ed è molto pericolosa. Già di giorno, sulla tole, la moto galleggia, perdendo aderenza con il terreno, ma la notte è molto peggio. Un paio di volte si mette di traverso e la tengo con difficoltà. D’altra parte non abbiamo scelta, siamo in pieno deserto. Siamo scesi dai monti e probabilmente stiamo correndo sulla distesa di sale.
Ora inizia anche il vento e la pista si copre di un velo di sabbia (o sale) trasportata dal vento. Non si vede più il terreno. Il paesaggio è irreale. Un velo biancastro scorre sotto le nostre ruote, sospeso a cinquanta centimetri da terra, spettralmente illuminato dall’ultima luce del tramonto che tinge di giallo il cielo sopra la silouette delle montagne che si stagliano all’orizzonte.
Procediamo alla cieca, finchè non ci ridossiamo a delle basse colline che però ci proteggono nuovamente dal vento. Torniamo a vedere, alla luce dei fari, i bordi della pista.
Alle 9 di sera, ormai sfiniti, scorgiamo in lontananza le luci del pueblo. Che visione meravigliosa. Vorrei fare come Cristoforo Colombo, quando sbarcò nelle americhe la prima volta. Ma qui c’e’ troppa polvere……………..


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